Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4471 del 21/02/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. 2 Num. 4471 Anno 2013
Presidente: ROVELLI LUIGI ANTONIO
Relatore: CARRATO ALDO

durata del
processo ai sensi
della legge n. 89
del 2001

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

ROSSIELLO Giovanni (C.F.:RSS GNN 32R12 L259M), rappresentato e difeso, in
forza di procura speciale in calce al ricorso dall’Avv. Gaetano Mastropasqua ed
elettivamente domiciliato in Roma, al viale del Monte Oppio, n. 24, presso lo studio
Ferrai;

– ricorrente –

contro

fl

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore;
– intimato avverso il decreto della Corte d’appello di Roma reso nel proc. R.G.V.G. 5286/2008 e
depositato in data 5 ottobre 2011 (non notificato).
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’8 febbraio 2013
dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

Data pubblicazione: 21/02/2013

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Aurelio Golia, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
Il sig. Giovanni Rossiello chiedeva alla Corte d’appello di Roma, con ricorso

della legge 24 marzo 2001, n. 89, per la irragionevole durata di un processo civile
instaurato nell’aprile 1999 dinanzi al Tribunale di Napoli e definito, in primo grado,
con la sentenza n. 9581 del 2006 (depositata il 27 settembre 2006), invocando la
condanna del Ministero della Giustizia al risarcimento del danno non patrimoniale
subito da quantificarsi in euro 6.500,00 (in relazione alla durata eccedente di anni 4 e
mesi 4), oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo o, in subordine, nella diversa
misura, maggiore o minore, che sarebbe stata ritenuta congrua.
Disposta l’udienza di comparizione delle parti, non avendo il ricorrente provveduto
alla prescritte notifiche, all’udienza del 10 maggio 2010 la Corte di appello adita
dichiarava il “non luogo a provvedere” sul ricorso. In data 21 giugno 2010, il predetto
ricorrente depositava ricorso in riassunzione del procedimento e la Corte di appello,
ai sensi dell’art. 3 della legge n. 89 del 2001, fissava la nuova udienza di discussione
per il 22 novembre 2010. Nella costituzione del convenuto Ministero, la Corte di
appello, con decreto depositato il 5 ottobre 2011, dichiarava l’inammissibilità del
ricorso sul presupposto che la mancata notificazione del ricorso originariamente
proposto aveva determinato la sopravvenuta decadenza in ordine all’osservanza del
termine di cui all’art. 4 della stessa legge n. 89 del 2001, non potendo produrre alcun
effetto sanante la successiva notifica del ricorso in riassunzione nel termine
concesso, siccome effettuata allorquando il suddetto termine di decadenza era
ampiamente decorso.

– 2 –

depositato in data 17 aprile 2008, il riconoscimento dell’equa riparazione, ai sensi

Avverso il menzionato decreto (non notificato) ha proposto ricorso per cassazione il
Rossiello Giovanni, con atto notificato il 3 aprile 2012, sulla base di due motivi. Il
Ministero della Giustizia è rimasto intimato.
Considerato in diritto

c.p.c.) la violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 4, della legge n. 89 del
2001 per la mancata possibilità di rinnovazione degli atti in caso di omessa notifica
del ricorso introduttivo e, quindi, per la disapplicazione, nel caso di specie, della
norma processuale generale di cui all’art. 291 c.p.c.
2.- Con il secondo motivo il ricorrente ha censurato il decreto impugnato per
violazione dell’art. 6, paragr. 1 (equo processo) con riferimento al diniego di accesso
alla Corte di appello ai sensi della legge n. 89 del 2001, sul presupposto che egli
aveva ottemperato alla nuova notifica del ricorso in base ad espressa autorizzazione
della stessa Corte territoriale e, malgrado il rituale adempimento, si era visto
dichiarare l’inammissibilità del ricorso per sopravvenuta decadenza in relazione al
rispetto del termine stabilito dall’art. 4 della medesima legge n. 89 del 2001.
3. Rileva il collegio che i due motivi – esaminabili congiuntamente siccome
strettamente connessi – sono fondati e devono essere accolti nei termini che
seguono, alla stregua della più recente e condivisibile giurisprudenza di questa Corte
(v. Cass. n. 7549 del 2010, ord.) che, pronunciandosi proprio sulla specifica
questione dedotta con il ricorso, ha statuito che, in tema di equa riparazione per
violazione del termine di ragionevole durata del processo, il provvedimento di
“non luogo a provvedere” emesso dalla Corte d’appello adita in caso di
mancata comparizione delle parti nel procedimento di cui all’art. 3 della legge
24 marzo 2001, n. 89 è assimilabile ad un provvedimento di cancellazione della

-3

1. – Con il primo motivo dedotto il ricorrente ha denunciato (ai sensi dell’art. 360, n. 3,

causa dal ruolo ai sensi dell’ad. 181, primo comma, seconda parte, c.p.c., cui
consegue la possibilità della riassunzione del procedimento, che, ove abbia
luogo nel termine di cui all’art. 307 c.p.c., fa salvi gli effetti sostanziali e
processuali dell’originario ricorso, ivi compreso l’impedimento della decadenza

citata.

Infatti, il decreto cui fa riferimento la predetta legge n. 89 del 2001, all’ad. 3, comma
6, costituisce, chiaramente, un provvedimento contenente una pronuncia di
accoglimento o di rigetto della domanda, o altro provvedimento che conclude il
procedimento, mentre tale contenuto non può attribuirsi al decreto con il quale la
Code d’appello di Roma ha dichiarato il “non luogo a provvedere”. Al riguardo, è
importante precisare che la stessa legge n. 89 del 2001, all’ad. 3, comma 4, nel
regolare il procedimento per equa riparazione, fa esplicito rinvio all’ad. 737 c.p.c., e
segg., ovvero alle norme generali sui procedimenti in camera di consiglio nel cui
ambito, com’è noto, non sono disciplinati gli effetti della mancata comparizione delle
parti. Tale lacuna non può considerarsi colmata, per ciò che concerne il
procedimento relativo all’equa riparazione, dalla disposizione dell’ad. 3, comma 5,
della stessa legge in discorso, la quale, nel sancire che “le parti, hanno diritto,

unitamente alloro difensori, di essere sentite in Camera di consiglio se compaiono”,
si limita semplicemente a stabilire il diritto delle parti di essere sentite personalmente
ove comparse in camera di consiglio, ma di per sé questa previsione non implica che
il procedimento debba comunque proseguire anche quando le parti in senso
processuale (per il tramite, cioè, dei rispettivi difensori) si siano astenute dal
comparire. La verifica, tuttavia, degli effetti conseguenti alla mancata comparizione
delle parti non assume concreta rilevanza nel caso in esame, trattandosi non di

– 4 —

derivante dall’inosservanza del termine di cui all’ad. 4 della legge n. 89 del 2001

ti
i

stabilire se la Corte d’appello investita di una domanda di equa riparazione debba
provvedere nel merito del ricorso anche quando le parti non siano comparse nella
camera di consiglio, quanto invece di accertare quale sia l’esatto contenuto del
provvedimento della Corte d’appello di Roma impugnato dal ricorrente.

quali siano le specifiche conseguenze che la Corte territoriale ha inteso ricondurre
all’espressione “non luogo a provvedere”, si impone, allo scopo di ricostruire il
contenuto dell’atto, l’obbligo di ricercarne un inquadramento alla stregua della
disciplina generale del codice di procedura civile in tema di mancata comparizione e
di inattività delle parti, pur nella consapevolezza che si tratta di una disciplina dettata
per il processo ordinario di cognizione e non richiamata per i procedimenti camerali
e, quindi, dei limiti insiti in simile operazione ricostruttiva. Sulla scorta di tale
premessa, ritiene questo collegio che l’impugnato provvedimento debba essere
ricondotto – sia pure, si ripete, in via di mera assimilazione – non tra gli atti che
riguardano l’estinzione del processo, ma tra quelli che attengono alla cancellazione
della causa dal ruolo (vedi, ad es., Cass. n. 16615 del 2003). Non pare possibile,
infatti, un riferimento all’art. 181, comma 2, c.p.c., il quale presuppone la
comparizione all’udienza del convenuto, così come non sembra ipotizzabile un rinvio
all’art. 291, comma 3, c.p.c., il quale postula la rinnovazione non eseguita dell’atto
introduttivo del giudizio, e neppure all’art. 307, comma 1, c.p.c., dal quale si desume
che sia presupposta la mancata costituzione delle parti (costituzione che nella
specie, tenuto conto delle caratteristiche del procedimento camerale, deve
considerarsi avvenuta con il deposito in cancelleria della copia originale del ricorso e
del decreto notificato da parte del ricorrente). Il provvedimento di “non luogo a
provvedere” della Corte d’appello di Roma appare, invero, equiparabile – con i

-5

Poiché in tale provvedimento non è contenuta alcuna indicazione idonea a chiarire

segnalati limiti interpretativi – a un provvedimento di cancellazione della causa
dal ruolo secondo la previsione dell’art. 181, comma 1, seconda parte, c.p.c.,
cui consegue la possibilità di riassunzione.

E allora, sulla scorta di tale

impostazione, l’indagine deve essere focalizzata sul provvedimento della Corte

parte pubblica di un (nuovo) ricorso e pedissequo decreto di fissazione della (nuova)
udienza camerale. Tale riassunzione, considerando (come già puntualizzato)
l’anomala formula in precedenza adottata dalla Corte capitolina alla stregua di un
ordine di cancellazione della causa dal ruolo, risulta tempestiva, dovendo
analogicamente applicarsi l’art. 307 c.p.c.. La riassunzione così ritualmente
eseguita, quindi, ha determinato — contrariamente all’avviso manifestato dalla
Corte territoriale nel successivo provvedimento di inammissibilità, in questa
sede impugnato – l’effetto di impedire ogni decadenza o preclusione e ha fatto
salvi gli effetti sostanziali e processuali scaturenti dal tempestivo deposito del
primo ricorso formulato ai sensi dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001. Pertanto,
considerati gli effetti conservativi della riassunzione davanti a sé del giudizio,
la Corte d’appello avrebbe dovuto ritenere che quell’originaria vocatio in ius,
costituita dal deposito del ricorso in virtù dell’art. 3 della stessa legge, aveva
impedito la decadenza dall’azione di equa riparazione. In altri termini,
l’originario deposito del ricorso, cui è stata data continuità attraverso la rituale
e tempestiva riassunzione davanti alla Corte d’appello già tempestivamente
adita in precedenza, ha impedito la decadenza dalla domanda di equa
riparazione, essendo intervenuta entro il termine di cui all’art. 307 c.p.c. . L’atto

di riassunzione davanti allo stesso giudice, ritualmente notificato a norma del
combinato disposto dell’art. 307 c.p.c., comma 1, artt. 166 e 170 c.p.c., e art. 125,

– 6 –

territoriale che ha accordato la riassunzione del giudizio, disponendo la notifica alla

comma 2, disp. att. c.p.c., ha ridato impulso a quell’originario processo, impedendo la
decadenza dall’azione di equa riparazione. Il ricorrente, nella specie, non ebbe a
procedere alla rinnovazione ai sensi dell’art. 125 disp. att. c.p.c., notificando alla P.A.
un atto di riassunzione, ma depositò un ricorso in riassunzione, che fu notificato al

sortendo ritualmente l’effetto riassuntivo. Ne deriva che erroneamente la sentenza
impugnata ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso, dovendo il termine di sei
mesi previsto dall’art. 4 della legge n. 89 del 2001 essere conteggiato in
relazione al ricorso depositato in precedenza, sicuramente nei termini, e non al
ricorso in riassunzione (vedi, anche, con riferimento ad altri procedimenti che si

introducono con ricorso, Cass. n. 16862 del 2004). Con specifico riguardo al
procedimento in tema dì equa riparazione è stato, peraltro, già affermato (cfr. Cass.
n. 22498 del 2006), in un’ottica ancor più generale, che, a norma dell’ad. 4 della
legge 24 marzo 2001, n. 89- ai cui sensi la relativa domanda deve essere proposta,
a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione, che conclude il
processo presupposto, è divenuta definitiva -, la tempestiva proposizione della
domanda giudiziale, ancorché davanti a giudice incompetente, rappresenta un
evento idoneo ad impedire la prevista decadenza, purché la riassunzione della causa
innanzi al giudice dichiarato competente avvenga in presenza dei presupposti e delle
condizioni che permettono di ritenere che il processo sia continuato, ai sensi dell’art.
50 c.p.c., davanti al nuovo giudice, mantenendo una struttura unitaria e, perciò,
conservando tutti gli effetti sostanziali e processuali del giudizio svoltosi dinanzi al
giudice incompetente.
3. Pertanto, in accoglimento del proposto ricorso, deve pervenirsi alla cassazione del
decreto impugnato con rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di appello di

-7

Ministero della Giustizia entro il termine previsto dall’art. 307 c.p.c., in tal modo

Roma, la quale si conformerà al richiamato principio di diritto (ritenendo la
tempestività della riassunzione eseguita dal ricorrente e decidendo,
conseguentemente, nel merito del ricorso) e provvederà anche a regolare le spese
della presente fase di legittimità.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per
le spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile della
Corte suprema di Cassazione, in data 8 febbraio 2013.

PER QUESTI MOTIVI

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA