Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4467 del 11/02/2022

Cassazione civile sez. II, 11/02/2022, (ud. 09/11/2021, dep. 11/02/2022), n.4467

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 2603 – 2017 R.G. proposto da:

V.S., – c.f. (OMISSIS), – P.E., –

c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliati in Roma, alla via

Girolamo da Carpi, n. 6, presso lo studio dell’avvocato Andrea

Pietropaoli, che disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato Agnese

Vergari, li rappresenta e difende in virtù di procura speciale su

foglio allegato in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

C.G., – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliata in

Roma, alla via Romeo Romei, n. 35, presso lo studio dell’avvocato

Gian Luigi Malossi che la rappresenta e difende in virtù di procura

speciale su foglio allegato in calce al controricorso;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

e

SVILUPPO IMMOBILIARE s.r.l., – p.i.v.a. (OMISSIS) – in persona del

legale rappresentante pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 69 – 14.1/1.2.2016 della Corte d’Appello di

Perugia;

udita la relazione nella camera di consiglio del 9 novembre 2021 del

consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con atto notificato in data 17.12.2008 C.G. citava a comparire dinanzi al Tribunale di Terni V.S. ed P.E. nonché la “Sviluppo Immobiliare” s.r.l.

Premetteva che con preliminare del 24.11.2007 P.E. aveva promesso di venderle ed ella attrice aveva promesso di acquistare per il prezzo complessivo di Euro 330.000,00 l’unità immobiliare sita in (OMISSIS), alla località “(OMISSIS)”, alla (OMISSIS) (in n. c.e.u. al fol. (OMISSIS)), con annesso terreno (in n. c.t. al fol. (OMISSIS)).

Premetteva altresì che alla sottoscrizione del preliminare era stata immessa nel possesso dell’immobile ed aveva versato alla promittente venditrice la somma di Euro 100.000,00, a titolo di caparra confirmatoria, con l’intesa che il saldo sarebbe stato versato al rogito da stipularsi entro il 28.2.2008.

Indi esponeva che alla data prevista per il rogito la promittente venditrice non le aveva fornito né la documentazione attestante la regolarità edilizia dell’immobile né il certificato di abitabilità.

Chiedeva “a) dichiarare risolto il contratto preliminare di compravendita stipulato in data 24.11.2007; b) condannare i convenuti alla restituzione della somma di Euro 200.000,00, pari al doppio della caparra confirmatoria versata, oltre interessi e rivalutazione; c) condannare i convenuti alla corresponsione del controvalore in denaro di tutte le migliorie e/o addizioni necessarie ed utili apportate (…) all’immobile (…), oltre interessi e rivalutazione; d) condannare i convenuti al risarcimento di tutti i danni (…), oltre interessi e rivalutazione” (così ricorso, pag. 6).

2. Si costituivano V.S. ed P.E..

Chiedevano, in via preliminare, dichiarare la nullità della citazione, siccome né dal corpo né dalle conclusioni dell’avverso atto introduttivo era possibile evincere la finalità sostanziale perseguita dall’attrice; nel merito, in subordine, dichiarare l’inammissibilità dell’avversa domanda di risoluzione del contratto in dipendenza dell’uso e della trasformazione dell’immobile da parte della promissaria acquirente; in ulteriore subordine, dichiarare l’insussistenza di qualsivoglia inadempimento ovvero l’insussistenza di qualsivoglia grave inadempimento alla parte promittente venditrice ascrivibile.

Chiedevano, in riconvenzionale – dato atto della loro disponibilità alla consegna della documentazione tutta relativa all’unità immobiliare promessa in vendita e, segnatamente, del certificato di abitabilità – pronunciare sentenza ex art. 2932 c.c. idonea a trasferire all’attrice la proprietà del complesso immobiliare promesso in vendita nonché condannarsi l’attrice al pagamento del residuo prezzo, con interessi e rivalutazione;; chiedevano, in riconvenzionale subordinata, trasferire all’attrice la proprietà dell’immobile con riduzione del corrispettivo dovuto; chiedevano, in riconvenzionale, in ogni caso, condannare l’attrice al risarcimento dei danni tutti sofferti, indicati in Euro 50.000,00 ovvero nella diversa maggiore somma ritenuta di giustizia.

3. Si costituiva la “Sviluppo Immobiliare” s.r.l.

4. All’udienza del 6.10.2010 i convenuti depositavano il certificato di abitabilità datato 6.2.2010.

5. Con sentenza n. 2/2012 il tribunale dichiarava inammissibile la domanda dell’attrice e compensava le spese di lite.

Rilevava il tribunale che l’attrice aveva domandato, senza alcuna graduazione, sia la risoluzione del contratto preliminare sia la restituzione del doppio della caparra confirmatoria ed il risarcimento del danno; altresì, che l’attrice non aveva diversamente precisato la domanda nel termine di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1.

Indi reputava che, al cospetto delle formulate istanze, la domanda risultava assolutamente incerta con conseguente sua nullità ex art. 163 c.p.c., n. 3, ed inammissibilità.

6. Proponeva appello C.D..

Resistevano V.S. ed P.E..

Non si costituiva la “Sviluppo Immobiliare” s.r.l.

7. Con sentenza n. 69 dei 14.1/1.2.2016 la Corte d’Appello di Perugia dichiarava la risoluzione del preliminare in data 24.11.2007 e condannava P.E. e V.S. alla restituzione della somma di Euro 90.000,00, oltre interessi dalla domanda giudiziale al saldo; compensava integralmente le spese del grado.

Evidenziava la corte che erroneamente il tribunale aveva opinato per l’inammissibilità della domanda attorea.

Evidenziava invero che nell’iniziale citazione l’attrice aveva chiaramente invocato la risoluzione del contratto, benché correlandovi, oltre che la pretesa al risarcimento dei danni, la pretesa alla restituzione del doppio della caparra.

Evidenziava che parte promittente venditrice si era resa gravemente inadempiente.

Evidenziava invero che alla data dell’1.3.2008, fissata per la comparizione dinanzi al notaio, non era stato possibile procedere alla stipula del rogito, siccome l’immobile promesso in vendita, a motivo delle irregolarità urbanistiche non ancora sanate e dell’assenza del certificato di abitabilità, era risultato incommerciabile e siccome a decorrere dalla data anzidetta l’impossibilità dell’adempimento si era protratta per oltre un anno e dieci mesi, sino al 6.2.2010, di del rilascio del certificato di agibilità dell’immobile.

Evidenziava in pari tempo che alla risoluzione del preliminare non ostavano le modifiche agli impianti eseguite dall’appellante, giacché modifiche secondarie, inidonee a determinare la trasformazione dell’immobile.

Evidenziava dunque, per un verso, che l’iniziale attrice aveva diritto alla restituzione della somma versata quale caparra, in quanto anticipazione del prezzo, di importo pari ad Euro 90.000,00; per altro verso, che andava senz’altro respinta la domanda ex art. 2932 c.c. esperita dalla parte promittente venditrice.

Evidenziava infine che era da rigettare, in difetto di prova di qualsivoglia pregiudizio, la domanda risarcitoria dell’iniziale attrice.

8. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso P.E. e V.S.; ne hanno chiesto sulla scorta di quattro motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.

C.G. ha depositato controricorso contenente ricorso incidentale articolato in un unico motivo; ha chiesto, tra l’altro, dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso e, in accoglimento dell’esperito ricorso incidentale, cassarsi la sentenza n. 69/2016 della Corte d’Appello di Perugia nella parte in cui “ha quantificato le somme da restituire in Euro 90.000,00 (…) anziché in Euro 100.000,00” (così controricorso, pag. 31); in ogni caso, con il favore delle spese.

La “Sviluppo Immobiliare” s.r.l. non ha svolto difese.

V.S. ed P.E. hanno depositato controricorso onde resistere all’avverso ricorso incidentale.

9. I ricorrenti hanno depositato memoria.

10. Con il primo motivo i ricorrenti principali denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 164 c.p.c.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c.

Deducono che, contrariamente all’immotivato assunto della corte d’appello, l’originaria attrice ha, nell’iniziale citazione, proposto due domande tra loro alternative ed incompatibili, “non solo non graduandole tra loro ma anzi confondendole” (così ricorso, pag. 21).

Deducono che tanto rinviene riscontro nella circostanza, dalla corte di merito totalmente pretermessa, per cui l’originaria attrice ha altresì domandato il risarcimento di tutti i danni asseritamente sofferti.

Deducono che del resto l’originaria attrice ha, nell’atto di appello, modificato le istanze inizialmente formulate nel vano tentativo di correggere l’inammissibile alternatività delle domande esperite in prime cure.

11. Il primo motivo del ricorso principale va respinto.

12. Senza dubbio, in caso di pattuizione di caparra confirmatoria, ai sensi dell’art. 1385 c.c., la parte adempiente, per il risarcimento dei danni derivati dall’inadempimento della controparte, può scegliere tra due rimedi, alternativi e non cumulabili tra loro; cioè recedere dal contratto e trattenere la caparra ricevuta (o esigere il doppio di essa) – avvalendosi della funzione tipica dell’istituto, che è quella di liquidare i danni preventivamente e convenzionalmente, così determinando l’estinzione ope legis di tutti gli effetti giuridici del contratto e dell’inadempimento ad esso – oppure chiedere, con pronuncia costitutiva, la risoluzione giudiziale del contratto, ai sensi degli artt. 1453,1455 c.c., ed il risarcimento dei conseguenti danni, da provare a norma dell’art. 1223 c.c. (cfr. Cass. 20.9.2004, n. 18850).

E tuttavia questa Corte spiega che, in tema di ricorso per cassazione, l’erronea interpretazione della domanda e delle eccezioni non è censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), perché non pone in discussione il significato della norma ma la sua concreta applicazione operata dal giudice di merito, il cui apprezzamento, al pari di ogni altro giudizio “di fatto”, può essere esaminato in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione, ovviamente entro i limiti in cui tale sindacato è ancora consentito dal vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (cfr. Cass. (ord.) 3.12.2019, n. 31546; Cass. (ord.) 13.8.2018, n. 20718; Cass. sez. lav. 27.10.2015, n. 21874).

13. Nei termini teste’ enunciati l’interpretazione che delle domande esperite in prime cure da C.G. il giudice di seconde cure ha inteso operare, risulta congrua ed ineccepibile e comunque immune da qualsivoglia forma di “anomalia motivazionale” rilevante nel segno della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

In particolare, la corte distrettuale ha altresì puntualizzato che nell’iniziale citazione l’attrice non aveva dichiarato di aver esercitato il diritto di recesso.

Propriamente, vi è da ritenere – così come, in sostanza, ha ritenuto la corte territoriale – ben vero pur nel solco dell’insegnamento per cui questa Corte, a fronte della denuncia di un “error in procedendo”, diviene giudice del “fatto processuale”, appieno abilitata alla diretta disamina, alla diretta interpretazione degli atti processuali (cfr. Cass. (ord.) 3.11.2020, n. 24258; Cass. (ord.) 13.3.2018, n. 6014; Cass. 23.1.2006, n. 1221), che, allorquando, nel quadro dell’invocata risoluzione del preliminare di cui alla scrittura del 24.11.2007 per inadempimento della parte promittente venditrice, la promissaria acquirente ha invocato, oltre al risarcimento del danno, altresì la “restituzione della somma di Euro 200.000,00, pari al doppio della caparra confirmatoria versata, oltre interessi e rivalutazione”, ha, in tal guisa, con tal ultima richiesta, inteso domandare non già propriamente il “doppio” della caparra – ai sensi dell’art. 1385 c.c., comma 2 – ma più semplicemente, nonostante l’erronea quantificazione (“doppio”) dell’importo invocato in restituzione, la restituzione tout court dell’importo della caparra confirmatoria, la cui corresponsione era inevitabilmente destinata a rimanere sine titolo in dipendenza della sollecitata risoluzione del preliminare di compravendita.

14. Con il secondo motivo i ricorrenti principali denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, artt. 7, 8 e 12 della L.R. Umbria n. 1 del 2004, artt. 29 e 30 del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 24,26 e 36 e dell’art. 1346 c.c.

Deducono che l’atto di compravendita di un immobile, nel quale non sia inserita la dichiarazione di sussistenza dell’agibilità, è senz’altro valido; che il certificato di abitabilità non ne costituisce condizione di validità.

Deducono dunque che ha errato la corte territoriale a reputare incommerciabile l’immobile promesso in vendita sino al rilascio dell’abitabilità.

15. Con il terzo motivo – in forma triplice articolato – i ricorrenti principali denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175,1218,1256,1366,1375 e 1455 c.c. e dell’art. 112 c.p.c.

Deducono – con il primo profilo del terzo motivo – che controparte, immessa nel possesso dell’immobile promesso in vendita sin dalla stipula del preliminare, ha reiteratamente impedito l’accesso all’interno dell’unità immobiliare ai fini dei rilievi imprescindibili per le certificazioni da allegare alla domanda di abitabilità, tant’e’ che, onde accedere nell’immobile, è stato necessario esperire dapprima procedimento ex art. 696 bis c.p.c. e successivamente procedimento ex art. 700 c.p.c.

Deducono che controparte ha provveduto alla consegna delle chiavi dell’immobile indispensabili ai fini dell’accesso in data 15.6.2009 e soltanto dopo tale data è stato possibile far luogo alla predisposizione delle certificazioni necessarie allo scopo del rilascio della concessione in sanatoria e dell’abitabilità.

Deducono, d’altro canto, che in data 21.5.2009 C.G. ha stipulato contratto di compravendita avente ad oggetto altro immobile ubicato in (OMISSIS), parimenti privo della certificazione di abitabilità.

Deducono – con il secondo profilo del terzo motivo – che, in relazione alla loro domanda volta a conseguire la declaratoria della legittimità del loro recesso ex art. 1385 c.c., comma 2 dal preliminare, domanda introdotta in seconde cure a modifica dell’iniziale loro domanda ex art. 2932 c.c., la corte distrettuale per nulla ha atteso alla valutazione comparativa dei reciproci comportamenti dei contraenti e del correlato materiale probatorio, al fine di stabilire a quale parte dovesse ascriversi il prevalente grave inadempimento.

Deducono – con il terzo profilo del terzo motivo – che la Corte di Perugia non ha tenuto nel debito conto né l’avvenuto rilascio, nel corso del giudizio di primo grado, in data 6.2.2010, del certificato di abitabilità, né la gravità del comportamento, del tutto contrario a buona fede, della promissaria acquirente, la quale per lungo tempo ha impedito l’accesso nell’immobile, così da precludere ad essi promittenti venditori l’adempimento.

16. Con il quarto motivo i ricorrenti principali denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1140 c.c., comma 2.

Deducono che gli interventi fatti eseguire dalla promissaria acquirente, successivamente alla sua immissione nel possesso dell’immobile, erano prodromici al conseguimento del certificato di abitabilità.

Deducono che la Corte perugina avrebbe dovuto tenerne conto e riscontrare alla loro stregua la volontà della promissaria acquirente di “esonerare” i promittenti venditori dall’obbligo di procurare il certificato di abitabilità.

17. Con l’unico motivo la ricorrente incidentale denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 il vizio di motivazione.

Deduce che la Corte umbra ha erroneamente quantificato in Euro 90.000,00 anziché in Euro 100.000,00 l’importo percepito dai promittenti venditori in sede di stipula del preliminare ed alla cui restituzione i medesimi promittenti sono tenuti.

Deduce al contempo che la Corte di Perugia, in sede di rigetto dell’istanza di correzione di errore materiale esperita al riguardo, ha affermato che non si tratta di errore di calcolo ma di errore da far valere in sede di impugnazione.

18. Il secondo motivo ed il terzo motivo del ricorso principale sono significativamente connessi; il che ne giustifica l’esame simultaneo; entrambi i motivi sono fondati e meritevoli di accoglimento nei termini che seguono.

19. Questa Corte spiega che, in tema di compravendita immobiliare, la mancata consegna al compratore del certificato di abitabilità non determina, in via automatica, la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del venditore, dovendo essere verificata in concreto l’importanza e la gravità dell’omissione in relazione al godimento e alla commerciabilità del bene; cosicché, ove in corso di causa si accerti che l’immobile promesso in vendita presentava tutte le caratteristiche necessarie per l’uso suo proprio e che le difformità edilizie rispetto al progetto originario erano state sanate a seguito della presentazione della domanda di concessione in sanatoria, del pagamento di quanto dovuto e del formarsi del silenzio-assenso sulla relativa domanda, la risoluzione non può essere pronunciata (cfr. Cass. (ord.) 5.12.2017, n. 29090; Cass. 31.5.2010, n. 13231; Cass. 15.2.2008, n. 3851, secondo cui non può negarsi rilievo al rilascio della certificazione predetta nel corso del giudizio relativo all’azione di risoluzione del contratto, promosso dal compratore, nonostante l’irrilevanza dell’adempimento successivo alla domanda di risoluzione stabilita dall’art. 1453 c.c., comma 3, perché si tratta di circostanza che evidenzia l’inesistenza originaria di impedimenti assoluti al rilascio della certificazione e l’effettiva contbrmità dell’immobile alle norme urbanistiche).

E spiega inoltre che, nella vendita di immobili destinati ad abitazione, pur costituendo il certificato di abitabilità un requisito giuridico essenziale ai fini del legittimo godimento e della normale commerciabilità del bene, la mancata consegna di detto certificato costituisce un inadempimento del venditore che non incide necessariamente in modo dirimente sull’equilibrio delle reciproche prestazioni, sicché il successivo rilascio del certificato di abitabilità esclude la possibilità stessa di configurare l’ipotesi di vendita di “aliud pro alio” (cfr. Cass. 13.8.2020, n. 17123; cfr. altresì Cass. 18.3.2010, n. 6548, secondo cui, nel caso di compravendita di una unità immobiliare per la quale, al momento della conclusione del contratto, non sia stato ancora rilasciato il certificato di abitabilità, il successivo rilascio di tale certificato esclude la possibilità stessa di configurare l’ipotesi di vendita di “aliud pro alio” e di ritenere l’originaria mancanza di per sé sola fonte di danni risarcitili).

20. Su tale scorta si rimarca che la corte d’appello ha dato atto (cfr. sentenza d’appello, pag. 3) che dalla documentazione allegata si desumeva che, a seguito di domanda presentata il 7.8.2008, era stata rilasciata in data 31.12.2009 la concessione in sanatoria relativa a talune modificazioni prospettiche e che, a seguito del rilascio della concessione in sanatoria, era stato rilasciato in data 6.2.2010 il certificato di agibilità dell’immobile promesso in vendita.

Evidentemente, alla stregua delle surriferite circostanze, circostanze di cui – si ribadisce – la stessa corte di merito ha dato riscontro e, ben vero, sopravvenute ancor prima della definizione del giudizio di primo grado, di certo la corte distrettuale non avrebbe potuto opinare sic et simpliciter nel senso della gravità dell’inadempimento della parte promittente venditrice e far luogo tout court alla risoluzione del preliminare di compravendita immobiliare di cui alla scrittura del 24.11.2007 per inadempimento, appunto, della parte contraente qui ricorrente principale.

21. Si rimarca, sotto altro profilo, che, nei contratti con prestazioni corrispettive, ai fini della pronuncia di risoluzione per inadempimento in caso di inadempienze reciproche, il giudice di merito è tenuto – imprescindibilmente – a formulare un giudizio (incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato, recte, al cospetto del novello dettato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 incensurabile in sede di legittimità se non vi è stato omesso esame circa fatto decisivo e controverso) di comparazione in merito al comportamento complessivo delle parti, al fine di stabilire quale di esse, in relazione ai rispettivi interessi ed all’oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti e causa del comportamento della controparte e della conseguente alterazione del sinallagma contrattuale (cfr. Cass. 9.6.2010, n. 13840; Cass. 16.9.1991, n. 9619).

22. Ebbene, su tale scorta, a fronte dell’indubitabile inidoneità del tardivo conseguimento del certificato di abitabilità a giustificare, di per sé, il riscontro, operato dalla Corte perugina, del grave inadempimento della parte promittente venditrice, a fronte, altresì, della prospettazione operata ab origine (cfr. ricorso, principale, pag. 38) dagli originari convenuti qui ricorrenti principali – secondo cui inadempimento grave era da ascrivere, piuttosto, alla promissaria acquirente (indisponibile a consentire l’accesso “nell’immobile detenuto per far predisporre la documentazione da allegare alla domanda di abitabilità”: così ricorso principale, pag. 38), si rimarca ulteriormente quanto segue.

Per un verso, si giustifica la censura dei ricorrenti principali – specificamente veicolata dal terzo motivo – secondo cui la Corte d’Appello di Perugia “non ha, con ogni evidenza, compiuto alcuna comparata ed esaustiva analisi dei comportamenti dei contraenti omettendo la valutazione dei reciproci comportamenti” (così ricorso principale, pag. 40).

Per altro verso, non riveste, di per sé, valenza decisiva e concludente la circostanza per cui in data 1.3.2008 il notaio all’uopo officiato non pote’ “far luogo al rogito per carenza della documentazione circa la regolarità urbanistica dell’immobile (nonché l’abitabilità)” (così sentenza d’appello, pag. 2. Al riguardo cfr. anche controricorso, pag. 20).

23. Sussistono, dunque, i vizi in parte qua denunciati.

Propriamente, sussiste la falsa applicazione, segnatamente, dell’art. 1455 c.c. (cfr. Cass. 24.10.2007, n. 22348, secondo cui il vizio di falsa applicazione di norma di diritto, ex art. 360 c.p.c., n. 3, ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione posta dal giudice a fondamento della decisione, rilevando solo che, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata male applicata).

Propriamente, sussiste, al cospetto del novello dettato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame circa un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) (cfr. Cass. sez. un. 7.4.2014, n. 8053).

24. E tanto, ben vero, sul substrato degli insegnamenti di questa Corte.

Ovvero, da un canto, dell’insegnamento per cui nell’ipotesi di versamento di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, la parte non inadempiente, che abbia agito per l’esecuzione del contratto, può, in sostituzione della originaria pretesa, legittimamente chiedere, nel corso del giudizio, il recesso dal contratto a norma dell’art. 1385 c.c., comma 2 senza incorrere nelle preclusioni derivanti dalla proposizione dei “nova”, poiché tale modificazione dell’originaria istanza costituisce legittimo esercizio di un perdurante diritto di recesso rispetto alla domanda di adempimento (cfr. Cass. (ord.) 16.1.2018, n. 882; Cass. (ord.) 24.11.2011, n. 24841. Si veda anche Cass. 6.4.2009, n. 8234, a tenor della quale la disposizione dell’art. 1453 c.c., secondo cui nei contratti con prestazioni corrispettive la risoluzione può essere domandata anche quando inizialmente sia stato chiesto l’adempimento, fissa un principio di contenuto processuale in virtù del quale la parte che ha invocato la condanna dell’altra ad adempiere può sostituire a tale pretesa quella di risoluzione non solo per tutto il giudizio di primo grado, ma anche nel giudizio di appello, in deroga agli artt. 183,184,345 c.p.c., sempre che non alleghi distinti fatti costitutivi e, quindi, degli inadempimenti diversi da quelli posti a base della pretesa originaria).

Ovvero, d’altro canto, dell’insegnamento per cui, in tema di risoluzione contrattuale per inadempimento, la valutazione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1455 c.c., della non scarsa importanza dell’inadempimento deve ritenersi implicita, ove l’inadempimento stesso si sia verificato con riguardo alle obbligazioni primarie ed essenziali del contratto, ovvero quando, dal complesso della motivazione, emerga che il giudice lo abbia considerato tale da incidere in modo rilevante sull’equilibrio negoziale (cfr. Cass. 28.10.2011, n. 22521; Cass. 17.8.2011, n. 17328).

25. Le ragioni che inducono all’accoglimento – nei termini summenzionati – del secondo motivo e del terzo motivo del ricorso principale assorbono e rendono vana, evidentemente, la disamina del quarto motivo del ricorso principale e dell’unico motivo del ricorso incidentale.

26. In accoglimento, quindi, del secondo motivo e del terzo motivo del ricorso principale la sentenza n. 69/2016 della Corte d’Appello di Perugia va – nei limiti dell’accoglimento degli stessi motivi – cassata con rinvio alla medesima corte d’appello in diversa composizione anche ai fini della regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

27. In dipendenza dell’accoglimento del secondo motivo e del terzo motivo del ricorso principale anche a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), all’enunciazione, in ossequio alla previsione dell’art. 384 c.p.c., comma 1, del principio di diritto – al quale ci si dovrà uniformare in sede di rinvio – può farsi luogo per relationem, nei medesimi termini espressi dalle massime desunte dagli insegnamenti di questa Corte dapprima citati (cfr. paragrafi n. 19 e n. 21).

28. In dipendenza del (parziale) buon esito del ricorso principale e dell’assorbimento del motivo di ricorso incidentale non sussistono i presupposti processuali perché, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, i ricorrenti principali e la ricorrente incidentale siano tenuti a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per le stesse impugnazioni a norma dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit.

PQM

La Corte così provvede:

accoglie, nei termini di cui in motivazione, il secondo motivo ed il terzo motivo del ricorso principale;

cassa in relazione e nei limiti dei motivi accolti la sentenza n. 69/2016 della Corte d’Appello di Perugia e rinvia alla stessa corte d’appello in diversa composizione anche ai fini della regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità;

rigetta il primo motivo del ricorso principale;

dichiara assorbiti il quarto motivo del ricorso principale e l’unico motivo del ricorso incidentale.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sez. seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 9 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2022

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