Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4466 del 21/02/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 4466 Anno 2013
Presidente: ROVELLI LUIGI ANTONIO
Relatore: GIUSTI ALBERTO

sentenza in forma
semplificata

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
JEROMELA Marija Milotic, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv.
Nicola Staniscia, elettivamente domiciliata nel suo studio in Roma, via Crescenzio, n. 20;
– ricorrente contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro
tempore,

Data pubblicazione: 21/02/2013

rappresentato e difeso, per legge,

dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n.
12;
– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Perugia in
data 3 febbraio 2012.
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza
pubblica dell’a febbraio 2013 dal Consigliere relatore

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Aurelio Golia, che ha
concluso per il rigetto del ricorso.
Ritenuto che la Corte d’appello di Perugia, con decreto depositato in data 3 febbraio 2012, ha condannato
il Ministero della giustizia al pagamento, in favore di
Mania Jeromela, della somma di euro 1.625 a titolo di
equa riparazione del danno non patrimoniale, ai sensi
della legge 24 marzo 2001, n. 89, per l’irragionevole
durata di una causa civile svoltasi dinanzi al Tribunale
e alla Corte d’appello di Roma e alla Corte di cassazione, nonché al rimborso delle spese processuali, distratte in favore del difensore dichiaratosi antistatario,
liquidate in euro 500 per diritti ed onorari, oltre a
spese generali e ad accessori di legge;
che per la cassazione del decreto della Corte
d’appello la Jeromela ha proposto ricorso, con atto notificato il 4 aprile 2012, sulla base di due motivi;
che l’intimato Ministero ha resistito con controricorso.

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Dott. Alberto Giusti;

Considerato

che il Collegio ha deliberato

l’adozione di una motivazione in forma semplificata;
che preliminare in ordine logico è l’esame del secondo motivo, con cui si lamenta l’insufficienza del

che il motivo è infondato;
che, innanzitutto, esso parte dall’erronea premessa
che tutto il tempo utilizzato dalla parte per
l’esercizio della facoltà di impugnare rientri nella fisiologia del processo;
che, invece, poiché non può essere addebitato
all’amministrazione della giustizia il segmento temporale del processo utilizzato dalla parte per l’esercizio
di un diritto eccedente quello strettamente necessario,
non deve essere computato nella durata complessiva del
procedimento il tempo intercorrente tra la pronuncia impugnata e la proposizione dell’impugnazione per la parte
eccedente quella corrispondente al tempo trascorso fino
alla comunicazione dell’avvenuto deposito della decisione maggiorato di quello corrispondente al termine previsto per lo specifico mezzo di gravame (Cass., Sez. I,

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maggio 2010, n. 10632);
che proprio in applicazione di tale principio, che
pure la parte ricorrente richiama, correttamente la Corte del merito ha detratto, dalla durata complessiva del

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quantum liquidato a titolo di equa riparazione;

giudizio, il termine lungo _utilizzato per proporre appello e ricorso per cassazione, avendo sostanzialmente
ritenuto adeguato il termine breve (nella specie, infatti, la sentenza di primo grado, depositata il 19 feb-

braio 2003; e la sentenza d’appello, pubblicata il 14
dicembre 2006, è stata impugnata per cassazione dopo un
anno);
che assolutamente generica, e pertanto inammissibile, è poi la parte del motivo in cui si sostiene
l’illegittimità del decreto “nella parte in cui, alla
luce anche della documentazione prodotta in atti, ha omesso di pronunciarsi sulla domanda in cui non era stato
limitato il

quantum e ciò in spregio degli artt. 112,

115 e 116 cod. proc. civ.”;
che, inoltre, correttamente la Corte ha dedotto
l’intera durata del giudizio di primo grado, di per sé
sola ragionevole (un anno e undici mesi), intrapreso dal
de culus dell’attuale ricorrente, subentrata nel giudizio soltanto nel grado di appello;
che è vero che l’istante, nel presente giudizio, ha
agito sia in proprio che nella qualità di erede di Anton
Jeromela, parte nel giudizio di primo grado nel processo
presupposto;

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braio 2002, è stata impugnata con ricorso del 19 feb-

che, tuttavia, occorre considerare che qualora
l’erede agisca sia

iure haereditatis che iure proprio,

non può assumersi come riferimento temporale di determinazione del danno l’intera durata del procedimento, ma è

le diverse frazioni temporali al fine di valutarne separatamente la ragionevole durata, senza, tuttavia, escludere la possibilità di un cumulo tra il danno morale
sofferto dal dante causa e quello personalmente patito
dagli eredi nel frattempo intervenuti nel processo, non
ravvisandosi incompatibilità tra il pregiudizio patito
iure proprio e quello che lo stesso soggetto iure successionis,

ove già entrato a far parte del patrimonio

del proprio dante causa (Cass., Sez. I, 19 ottobre 2011,
n. 21646);
che poiché nella specie la durata del segmento processuale (primo grado) in cui è stato parte il de cuius
ha avuto una durata assolutamente ragionevole, la ricorrente non può far valere alcuna pretesa indennitaria a
titolo di erede;
che con il primo motivo si censura che le spese di
lite siano state liquidate in misura inferiore ai minimi
di legge;
che la doglianza è fondata;

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necessario procedere ad una ricostruzione analitica del-

che, ai fini della liquidazione delle spese processuali, il procedimento camerale per l’equa riparazione
del pregiudizio derivante dalla riduzione del termine di
ragionevole durata del processo – di cui alla legge n.

natura contenziosa, con le conseguenze che, ai fini della liquidazione degli onorari e dei diritti spettanti
all’avvocato per l’attività in
applicazione,
IV, e B,

ratione temporls,

esso

prestata, trovano

le tabelle A, paragrafo

paragrafo I, allegate al d.m. 8 aprile 2004,

n.127, nonché il principio, di cui all’art.24 della legge n. 794 del 1942, della inderogabilità degli onorari
minimi e dei diritti stabiliti in detta tariffa (Cass.,
Sez. I, 7 ottobre 2009, n. 21371);
che da questo principio la Corte d’appello di è discostata, liquidando a titolo di spese una somma inferiore ai minimi di legge;
che il decreto impugnato è cassato limitatamente alla statuizione sulle spese;
che, non occorrendo al riguardo ulteriori accertamenti, questa Corte può provvedere direttamente al riguardo a norma dell’art. 384 cod. proc. civ., liquidando
le spese di merito nella misura di complessivi euro
691,28, di cui euro 120 per onorari, euro 540 per dirit-

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89 del 2001 – va considerato quale procedimento avente

ti ed euro 31,28 per spese vive, oltre a spese generali
e ad accessori di legge;

che – compensate per 2/3 le spese del giudizio di
cassazione, essendo il ricorso accolto soltanto in parte

della restante parte, che si liquida come in dispositi-

vo;
che entrambe le condanne alle spese vanno fatte in
favore del difensore antistatario.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta il secondo,

cassa il decreto impugnato in relazio-

ne alla statuizione sulle spese e,

decidendo nel merito,

condanna il Ministero della giustizia al rimborso delle
spese del giudizio di merito, che liquida nella misura

complessiva di euro 691,28, di cui euro 540 per diritti,
euro 120 per onorari, oltre ad euro 31,28 per spese vive, oltre

spese generali

e accessori, da distrarsi in

favore dell’Avv. Nicola Staniscia, nonché al rimborso di
1/3 delle spese del

giudizio di cassazione, compensata

la restante parte, liquidate, nell’intero, in euro
342,50, di cui euro 292,50 per compensi, oltre accessori
come per legge, con distrazione in favore dell’avv. Nicola Staníscia.

– 7 –

– il Ministero intimato va anche condannato al pagamento

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II Sezione civile della Corte suprema di Cassazione,

1’8 febbraio 2013.

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