Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4466 del 20/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 20/02/2020, (ud. 06/11/2019, dep. 20/02/2020), n.4466

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LEONE Maria Margherita – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22797-2018 proposto da:

M.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ENNIO

QUIRINO VISCONTI 103, presso lo studio dell’avvocato GOBBI LUISA,

rappresentato e difeso dall’avvocato CATALDO FRANCESCO;

– ricorrenti –

contro

GESTIONE GOVERNATIVA FERROVIA CIRCUMETNEA, in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 41/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 22/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. PONTERIO

CARLA.

Fatto

RILEVATO

Che:

1. con sentenza n. 41 pubblicata il 22.1.2018 la Corte d’Appello di Catania ha respinto l’appello di M.V., confermando la decisione di primo grado di rigetto della domanda proposta da quest’ultimo (in quiescenza) nei confronti della Gestione Governativa Ferrovia Circumetnea (FCE), di cui era stato dipendente, volta ad ottenere l’estensione in proprio favore degli effetti del giudicato conseguente alle sentenze emesse dal Tribunale amministrativo Sicilia di Catania (d’ora in poi TARS) nei confronti di altri dipendenti e la condanna della Gestione Governativa FCE al pagamento della indennità una tantum, oltre accessori;

2. la Corte territoriale, respinta la dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c., ha premesso come la domanda avesse ad oggetto l’indennità una tantum prevista dagli accordi quadro di secondo livello (bozza di accordo quadro del 13.11.2004 e accordo quadro del 3.12.2004) sottoscritti dalla Gestione Governativa FCE e dalle organizzazioni sindacali; ha dato atto di come la Direttiva Sottosegretario alle Infrastrutture e ai Trasporti 17 dicembre 2004, n. 1793, a cui erano subordinati gli effetti dell’accordo 3.12.2004, avesse disposto che il Commissario di FCE ponesse in essere ogni attività finalizzata alla composizione delle controversie; che pertanto l’amministrazione aveva deciso di estendere gli effetti del giudicato amministrativo nei confronti di soggetti estranei allo stesso, ma titolari di posizioni giuridiche del tutto identiche, espressione che il Tribunale aveva interpretato come riferita esclusivamente al personale dipendente, cioè in servizio, e non anche al personale collocato in quiescenza;

3. La Corte di merito ha interpretato l’art. 6 della bozza di accordo del 13 novembre 2004 individuando tra i destinatari dell’indennità una tantum il personale in quiescenza il cui diritto al ricalcolo degli scatti di anzianità fosse stato già riconosciuto con sentenza del TAR; ha ritenuto tale interpretazione avvalorata dall’esame dei successivi provvedimenti amministrativi (Direttiva Sottosegretario alle Infrastrutture e ai Trasporti 7 dicembre 2004, n. 1793, Determina Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti 12 maggio 2005, n. 8963) e dall’accordo del 26.5.2005, con cui le stesse parti sociali avevano chiarito e puntualizzato il contenuto dei precedenti accordi; ha escluso qualsiasi contraddizione tra l’accordo del 2005 ed i precedenti accordi e provvedimenti ministeriali, sottolineando come questi ultimi non potessero essere comunque fonte di regolamentazione del trattamento economico riservata, per i dipendenti pubblici privatizzati, alla contrattazione collettiva;

4. avverso tale sentenza M.V. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui ha resistito con controricorso la Gestione Governativa Ferrovia Circumetnea;

5. la proposta del relatore è stata comunicata alla parte, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

6. con il primo motivo la parte ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c.;

7. ha trascritto le circostanze allegate nel ricorso introduttivo di primo grado (tra queste, a pag. 9-10 del ricorso per cassazione, punti 5 e 6, il contenuto della Direttiva 7 dicembre 2004, n. 1793 e l’affermazione secondo cui “tale Direttiva, vincolante per l’Amministrazione, è stata approvata dagli organi di controllo con conseguente efficacia dell’atto a produrre i suoi effetti sicchè ai lavoratori e al personale in quiescenza è stato riconosciuto il diritto alla estensione degli effetti del giudicato, in quanto titolari di posizioni giuridiche del tutto identiche alle fattispecie decise”) e non contestate dall’Amministrazione, con la conseguenza che il Tribunale avrebbe dovuto considerare provati i presupposti del diritto azionato e la Corte d’appello accogliere il (primo) motivo di impugnazione sul punto;

8. con il secondo motivo la parte ricorrente ha chiesto la cassazione del capo della sentenza concernente il rigetto nel merito delle domande formulate dal ricorrente (motivi 3 e 4 del ricorso in appello), ed ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 1362 c.c. e ss.

9. ha definito erronea l’interpretazione della Corte di merito sull’art. 6 della bozza di accordo quadro di secondo livello del 13.11.2004 laddove ha inteso l’espressione il “personale in quiescenza che ne abbia diritto” come riferita al solo personale in quiescenza il cui diritto fosse stato accertato con sentenza del TARS passata in giudicato;

10. ha affermato come tale interpretazione fosse contraria alle finalità del citato accordo, volte non solo a definire i giudizi pendenti ma anche ad “evitare giudizi in fieri”, quindi destinato anche a soggetti che non avevano ancora ottenuto alcuna decisione dall’autorità giudiziaria, ed attribuisse all’espressione “personale in quiescenza che ne abbia diritto, per effetto dell’incidenza dell’indennità di contingenza sugli scatti di anzianità” un significato diverso da quello proprio delle parole usate, ed in contrasto con la collocazione sistematica della previsione e con le citate finalità;

11. secondo la parte ricorrente, la tesi accolta dai giudici di merito, che richiede come indispensabile il conseguimento di una sentenza favorevole da parte del TARS, priva di rilievo la distinzione, operata dal citato art. 6 della bozza di accordo, tra personale in servizio e personale in quiescenza; nè la stessa può trovare supporto nella Direttiva n. 1793 che utilizza la locuzione “personale dipendente”, avendo questa carattere generale, non riferibile solo al personale in servizio; neppure può valere il richiamo al verbale di accordo quadro del 26.5.2005 che ribadisce la piena operatività dell’art. 6 cit. e che, nella parte in cui fa riferimento agli “agenti in quiescenza il cui diritto sia stato riconosciuto con sentenza emessa dal TARS Catania”, contiene un elemento aggiuntivo che non può andare a detrimento del contenuto degli accordi precedentemente conclusi;

12. con il terzo motivo la parte ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 39 Cost.; violazione del principio generale di intangibilità dei diritti acquisiti;

13. ha sostenuto che, se si seguisse la tesi accolta dai giudici di appello, dovrebbe rilevarsi il contrasto tra il verbale di accordo quadro del 26.5.2005 e gli accordi del 13.11.2004 e 3.12.2004 nonchè con la Direttiva n. 1793 del 2004 che a tali accordi ha conferito efficacia e con la Determina ministeriale n. 8963 del 12.5.2005 nonchè la privazione in danno di parte ricorrente di una posizione giuridica di diritto soggettivo già acquisita in funzione degli accordi del 2004; la clausola dell’accordo quadro del 26.5.2005, in quanto limitativa della platea dei destinatari dei precedenti accordi, sarebbe nulla e inefficace perchè inciderebbe negativamente su una posizione soggettiva consolidata in capo al lavoratore, in mancanza di un esplicito mandato in tal senso;

14. con il quarto motivo la parte ricorrente ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha negato il diritto all’indennità una tantum in ragione della mancata rinuncia al ricorso proposto dinanzi al TARS e della omessa indicazione nei citati accordi dell’esatto ammontare dell’indennità rivendicata;

15. ha sottolineato che la mancata rinuncia al ricorso dinanzi al giudice amministrativo fu determinata dal rigetto, ad opera del Commissario governativo, della richiesta di costituzione del collegio di conciliazione avanzata dal lavoratore e che l’importo dell’indennità fu quantificato mediante riferimento ai criteri usati negli accordi conciliativi individualmente conclusi dalla controparte con altri lavoratori; comunque, parte ricorrente aveva formulato, in subordine, domanda di condanna al pagamento della somma che sarebbe risultata provata all’esito del giudizio;

16. il primo motivo di ricorso è infondato;

17. la Corte di merito si è espressamente pronunciata sul primo motivo di appello con cui si contestava la violazione dell’art. 112 c.p.c. ad opera del Tribunale, ed ha respinto la censura rilevando come “il principio di non contestazione può riguardare esclusivamente i fatti materiali allegati e non l’interpretazione degli atti e degli effetti giuridici degli accordi posti a fondamento della domanda. Peraltro, l’amministrazione costituendosi ha rappresentato una diversa interpretazione degli accordi, contestando in tal modo la prospettazione di parte ricorrente” (pag. 6 sentenza d’appello); tale statuizione si pone perfettamente in linea con l’orientamento di questa Corte secondo cui l’onere di specifica contestazione di cui art. 416 c.p.c., comma 3, al cui mancato adempimento consegue l’effetto dell’inopponibilità della contestazione nelle successive fasi del processo e, sul piano probatorio, quello dell’acquisizione del fatto non contestato ove il giudice non sia in grado di escluderne l’esistenza in base alle risultanze ritualmente assunte nel processo, si riferisce ai fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda, ovvero ai fatti materiali che integrano la pretesa sostanziale dedotta in giudizio, e non si estende, perciò, alle circostanze che implicano un’attività di giudizio, (cfr. Cass. n. 11108 del

2007; S.U. n. 11353 del 2004);

18. neppure il secondo motivo di ricorso può trovare accoglimento;

19. questa Corte ha affermato (cfr. Cass. n. 21888 del 2016; n. 10131 del 2006; n. 11193 del 2003) come il sindacato di

legittimità sui contratti collettivi aziendali di lavoro possa

essere esercitato, oltre che per vizi di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella versione ratione temporis applicabile (nel caso di specie nel testo successivo alla modifica del 2012), anche ai sensi del n. 3 della disposizione citata, per violazione degli artt. 1362 c.c. e ss., a condizione che i motivi di ricorso non si limitino a contrapporre una diversa interpretazione rispetto a quella adottata dal provvedimento impugnato, ma ne prospettino, sotto molteplici profili, l’inadeguatezza e la non plausibilità, con riferimento alle norme del codice civile in materia di ermeneutica negoziale come canone esterno di commisurazione dell’esattezza e congruità della motivazione stessa; d’altronde, per sottrarsi al sindacato di legittimità, sotto entrambi i profili, quella data dal giudice al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass. n. 10131 del 2006; n. 11193 del 2003);

20. la Corte d’appello, premesso come l’espressione adoperata dall’art. 6 della bozza di accordo del 13.11.2004 (“nonchè al personale in quiescenza che ne abbia diritto”) fosse effettivamente “generica ed ambigua”, ha ritenuto che “ragioni letterali e sistematiche inducono comunque a ritenere che l’espressione -personale in quiescenza che ne abbia diritto- vada riferita al personale (in quiescenza) avente diritto all’esecuzione del giudicato (piuttosto che al ricalcolo degli scatti di anzianità), ossia al personale il cui diritto al ricalcolo degli scatti fosse stato già riconosciuto con sentenza del TAR, ma che non ne avesse ancora ottenuto l’esecuzione (così come detto chiaramente nel successivo accordo del 25.5.2005); ha ulteriormente argomentato come “tale diritto al ricalcolo degli scatti per effetto dell’indennità di contingenza… non è mai stato riconosciuto dall’azienda, in senso generalizzato, a tutti i dipendenti (nè dallo stesso giudice amministrativo, che ha invero reso pronunce difformi sul punto) nè risulta posto a fondamento dell’accordo di secondo livello in discorso”; ha analizzato in dettaglio i provvedimenti amministrativi adottati dopo l’accordo del 2004, in particolare la Direttiva 7 dicembre 2004, n. 1793 e la Determina 12 maggio 2005, n. 8963 rilevando come da essi non potesse evincersi la volontà dell’amministrazione di estendere gli effetti del giudicato amministrativo nei confronti di tutti i dipendenti in servizio e in quiescenza, a prescindere dall’esperimento dell’azione giudiziale ed ha sottolineato come le incertezze interpretative sull’art. 6 dell’accordo del 2004 fossero state superate dalle stesse parti sociali attraverso il successivo accordo del 26.5.2005, che ha autorizzato la stipula degli atti transattivi con gli “Agenti in servizio alla data dell’1.1.2004. Agenti in quiescenza il cui diritto sia stato riconosciuto con sentenza emessa dal TARS Catania”;

21. la Corte d’appello ha interpretato l’art. 6 dell’accordo 13.11.2004 secondo il significato letterale delle parole e in coerenza logica e sistematica con le disposizioni contenute nei provvedimenti amministrativi intervenuti sulla questione dell’indennità una tantum e nei successivi accordi che al primo hanno inteso dare esecuzione; la plausibilità, letterale e logica, della lettura data dalla Corte di merito poggia sul duplice presupposto per cui gli accordi del 2004 e i provvedimenti amministrativi successivi non contenessero alcun generale riconoscimento a tutti i dipendenti della indennità una tantum, la cui rivendicazione dinanzi al giudice amministrativo aveva avuto esiti alterni e che la finalità di tali accordi era specificamente quella di porre fine al clima di tensione che si era creato in ragione dei diversi esiti giurisdizionali, che rischiava di minare l’efficienza dell’azione amministrativa, e di definire il contenzioso; tale finalità riguardava unicamente il personale in servizio, e non quello in quiescenza; la sentenza impugnata, confermando la decisione di primo grado, ha tenuto conto anche di come l’accordo quadro del 3.12.2004, di recepimento della bozza di accordo del 13.11.2004, ne subordinasse gli effetti, oltre che all’approvazione degli organi ministeriali, al parere dell’Avvocatura dello Stato, mai rilasciato, dovendosi a maggior ragione escludere l’idoneità degli accordi medesimi a fondare la pretesa di parte ricorrente;

22. l’interpretazione adottata dalla Corte di merito risulta, per quanto detto, adeguata e plausibile e rispetto ad essa non emergono vizi di violazione dei criteri ermeneutici; laddove i rilievi mossi da parte ricorrente, specificamente sulla portata generale della locuzione “personale dipendente” contenuta nella Direttiva n. 1793 del 2004 e sulla finalità del citato art. 6, si esauriscono nella contrapposizione di una diversa lettura rispetto a quella fatta propria dalla Corte d’appello, come tale inammissibile;

23. il mancato riconoscimento di un diritto soggettivo dell’attuale parte ricorrente, nascente dagli accordi del 13.11.2004 e 3.12.2004, porta a ritenere assorbito il terzo motivo di ricorso che denuncia la nullità dell’accordo del 26.5.2005 sul presupposto, indimostrato, della esistenza di una pregressa posizione soggettiva consolidata su cui quest’ultimo accordo avrebbe inciso in senso limitativo;

24. sul quarto motivo di ricorso, occorre premettere come trovi applicazione alla fattispecie in esame la previsione di cui all’art. 348-ter c.p.c., comma 5, sulla c.d. doppia conforme, trattandosi di giudizio di appello introdotto con ricorso depositato dopo il giorno 11 settembre 2012;

25. che pertanto il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3, convertito in L. n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012, deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse, (Cass. n. 26774 del 2016; Cass. n. 5528 del 2014);

26. che nel caso di specie tale allegazione manca del tutto sicchè risulta inammissibile il motivo formulato ai sensi del citato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

27. per le considerazioni finora svolte, il ricorso deve essere respinto;

28. le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo;

29. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge;

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020

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