Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4466 del 11/02/2022

Cassazione civile sez. trib., 11/02/2022, (ud. 25/01/2022, dep. 11/02/2022), n.4466

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso n. 21572-2015, proposto da:

ASSOCIAZIONE “OPIS ONLUS”, cf. (OMISSIS), elettivamente domiciliata

in Roma, alla via Quinto Aurelio Simmaco, n. 7, presso lo studio

dell’avv. Nicola Neri, rappresentata e difesa dall’avv. Riccardo

Petroni, con domicilio digitale come da pec da Registri di

Giustizia;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, cf (OMISSIS), in persona del Direttore p.t.,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 80/03/2015 della Commissione tributaria

regionale dell’Umbria, depositata il 2.02.2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio il 25

gennaio 2022 dal Consigliere Dott. Francesco FEDERICI.

 

Fatto

PREMESSO

che:

La Associazione “Opis Onlus” propone ricorso per la cassazione della sentenza n. 80/03/2015, depositata dalla Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria il 2.02.2015.

La controversia trae origine dall’atto di cancellazione dall’Anagrafe Unica delle ONLUS – ai sensi del D.Lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, art. 11 – della ricorrente, emesso dalla Direzione Regionale delle Entrate dell’Umbria per carenza dei requisiti previsti dal medesimo D.Lgs., art. 10. La cancellazione, con decorrenza dal (OMISSIS), era stata impugnata dall’ente, che aveva adito la Commissione Tributaria Provinciale di Perugia per il suo annullamento, contestando la carenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi prescritti dal D.Lgs. n. 460 del 1997, art. 10. Il giudizio di primo grado si concluse con la sentenza n. 14/03/2013, con cui il ricorso fu rigettato. La Commissione tributaria regionale dell’Umbria ha rigettato l’appello con sentenza n. 80/03/2015, ora al vaglio della Corte. Il giudice regionale ha affermato che l’appellante non avesse addotto alcun elemento di prova a sostegno dei propri assunti.

La Onlus censura la sentenza con un motivo, chiedendo la cassazione della sentenza, cui resiste l’Amministrazione finanziaria con controricorso.

Nell’adunanza camerale del 25 gennaio 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.

La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380- bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con l’unico motivo di ricorso l’ente ha invocato la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 1, e art. 36, comma 2, n. 4, nonché dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., per vizio di motivazione e omessa pronuncia sulle ragioni proposte con l’atto d’appello.

Con il motivo la ricorrente ha riferito di aver rappresentato, in entrambi i gradi di merito, che già dagli atti acquisiti dalla stessa Amministrazione finanziaria vi fossero tutti gli elementi necessari a valutare l’insussistenza dei presupposti per la cancellazione dell’ente dall’Anagrafe Unica delle ONLUS. Ciò con particolare riguardo alla corretta individuazione del disagio economico degli ospiti della struttura; all’osservanza in ogni caso di un contributo versato dai medesimi, al di sotto del 50% della retta mensile fissata dalla Regione umbra per l’ospitalità nelle residenze per anziani; alla corretta valutazione del requisito del disagio fisico degli ospiti, alla luce del testo normativo e delle parti di esso finalizzate al perseguimento di obiettivi di solidarietà sociale; alla valutazione relativa al mancato riconoscimento, da parte dell’ufficio, delle necessarie autorizzazioni per l’ospitalità dei pazienti.

A fronte di tali contestazioni e rilievi la Commissione tributaria regionale, nel respingere l’appello, si è limitata a dichiarare che “Come sostanzialmente rilevato dalla Commissione Provinciale, l’associazione non ha addotto alcun elemento di prova a sostegno dei propri assunti, circostanza che di per sé determina il rigetto del ricorso”.

Il motivo è fondato e trova accoglimento.

Torna intanto utile un preventivo inquadramento della disciplina dettata in materia di Onlus dal citato D.Lgs. n. 460, ed in particolare, per quanto qui compete, dell’art. 10. Esso nel comma 1, lett. a), elenca i settori nei quali le Onlus possono svolgere attività, nella forma di associazioni, comitati, fondazioni, società cooperative e altri enti di carattere privato, con o senza personalità giuridica. Al fine di assumere la qualifica di ONLUS, fruendo delle relative agevolazioni fiscali, tali attività devono essere espressamente previste negli statuti o atti costitutivi. Tra di esse si annovera l’assistenza sociale e socio-sanitaria (n. 1). E’ prescritto l’esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà (lett. b), il divieto di svolgere attività diverse da quelle menzionate alla lett. a), ad eccezione di quelle ad esse direttamente connesse” (lett. c); il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione”, nonché fondi, riserve o capitale e l’obbligo di impiegare tali utili e avanzi “per la realizzazione delle attività istituzionali e di quelle ad esse direttamente connesse” (lett. d ed e); l’obbligo di assicurare un uniforme rapporto associativo, escludendo espressamente la temporaneità della partecipazione alla vita associativa, con previsione del diritto di voto per i partecipanti per l’approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organismi direttivi (lett. h, cui viene ricondotto il cd. principio di democraticità delle Onlus); l’uso nella denominazione ed in qualsivoglia segno distintivo o comunicazione rivolta al pubblico della locuzione “organizzazione non lucrativa di utilità sociale ” o dell’acronimo ONLUS.

Il comma 2, spiega cosa debba intendersi per perseguimento di finalità di solidarietà sociale e in particolare ciò viene identificato nelle cessioni di beni e prestazioni di servizi relative alle attività statutarie in alcuni settori – tra i quali l’assistenza sociale e sanitaria- che siano “dirette ad arrecare benefici a persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari”. In queste categorie vengono inclusi, ai sensi del comma 3, anche i soci, associati o partecipanti, o altri soggetti indicati.

La disciplina così sommariamente riassunta consente di riconoscere la meritevolezza di un regime fiscale di vantaggio per le finalità di interesse collettivo perseguite dalle Onlus, socialmente apprezzabili, e riconducibili in via esclusiva ad obiettivi di “solidarietà sociale”. Il fine solidaristico è particolarmente evidenziato nell’art. 10, comma 2, laddove si esplicita che l’attività è diretta ad arrecare benefici a persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiare.

Si è affermato che la nozione di “svantaggio” “individua categorie di persone in condizioni oggettive di disagio per situazioni psico-fisiche particolarmente invalidanti, ovvero per situazioni di devianza, degrado, grave precarietà economico-familiare, emarginazione sociale, poiché la previsione mira a colmare, incentivando l’opera delle ONLUS, obiettive condizioni deteriori, rispetto alla generalità dei consociati, in cui si trovi, negli ambiti specifici individuati dalla norma in esame, una particolare categoria di soggetti” (Cass., 18 settembre 2015, n. 18396, ed ivi riferimenti a Cass., n. 3789/2013, n. 7311/2014, n. 6505/2015).

Si è anche avvertito che il versamento di un corrispettivo per le prestazioni erogate non fa di per sé venire meno il fine solidaristico, il quale non è escluso dalla realizzazione di utili, purché da ciò non discenda che il fine di lucro si accompagni all’intento solidaristico. Solo quest’ultimo deve restare infatti il fine esclusivo della Onlus, ciò implicando che gli utili non vengano distribuiti ma impiegati nella realizzazione di attività istituzionali o direttamente connesse (Sez. U, 9 ottobre 2008, n. 24883).

Quanto all’osservanza del principio di cd. democraticità della ONLUS, imposto altrettanto rigorosamente dall’art. 10, comma 1, lett, h, e con altrettanto rigore riconosciuto nella giurisprudenza (ad es. cfr. Cass., 5 agosto 2015, n. 16418), è opportuno evidenziare che solo le fondazioni e gli enti riconosciuti dalle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese, non sono tenute al rispetto dei requisiti di cui alla lett. h), scelta legislativa che evidentemente si pone a cavallo tra la peculiare forma organizzativa, propria delle fondazioni, e la necessità di rispetto dei rapporti con le confessioni religiose regolamentate nei rapporti con lo Stato italiano da intese formali.

Si tratta comunque nel complesso di una disciplina rigorosa, il cui rispetto implica l’osservanza formale dei requisiti prescritti, tant’e’ che si afferma come detti requisiti non possono ritenersi surrogabili con il concreto accertamento della fattuale osservanza dei precetti della norma, sia per la non equivoca lettera di essa, sia per il fatto che si tratta di norma di stretta interpretazione (Cass., 30 giugno 2011, n. 14371; 19 aprile 2017, n. 9828).

Perimetrata la normativa, e nonostante la complessità, anche sul piano interpretativo, dei requisiti vincolanti imposti per l’iscrizione nell’Anagrafe delle Onlus, a fronte delle questioni poste con l’atto d’appello dalla odierna ricorrente il giudice regionale ha inteso rispondere con il periodo già sopra riportato, immediatamente concludendo con l’osservazione secondo cui “…costituisce onere del contribuente fornire la prova di elementi contrari volti a dimostrare l’infondatezza della pretesa erariale: nella fattispecie in esame detto onere non è stato tuttavia assolto dal contribuente, il quale ha limitato le proprie difese a semplici argomentazioni circa il fine esclusivo di solidarietà sociale rivestito dall’associazione prive di concreti riscontri”.

Sussiste l’apparente motivazione della sentenza ogni qual volta il giudice di merito ometta di indicare su quali elementi abbia fondato il proprio convincimento, nonché quando, pur indicandoli, a tale elencazione ometta di far seguire una disamina almeno chiara e sufficiente, sul piano logico e giuridico, tale da permettere un adeguato controllo sull’esattezza e logicità del suo ragionamento. In sede di gravame la decisione può essere legittimamente motivata per relationem ove il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo adeguato e corretto, ovvero purché il rinvio sia operato così da rendere possibile ed agevole il controllo, dando conto delle argomentazioni delle parti e della loro identità con quelle esaminate nella pronuncia impugnata, mentre va cassata la decisione con cui il giudice si sia limitato ad aderire alla decisione di primo grado senza che emerga, in alcun modo, che a tale risultato sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (cfr. Cass., 19 luglio 2016, n. 14786; 7 aprile 2017, n. 9105). La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve infatti ritenersi apparente quando, ancorché graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regolano la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6 (Cass., 30/06/2020, n. 13248; cfr. anche 5/08/2019, n. 20921). L’apparenza peraltro si rivela ogni qual volta la pronuncia evidenzi una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio (Cass., 14/02/2020, n. 3819).

Ebbene, nel caso di specie la motivazione della pronuncia della commissione regionale è manifestamente apparente. Essa è costituita da due periodi, del tutto generici e di fatto slegati dalle questioni che specificatamente erano state prospettate dalla ricorrente, su cui di fatto non è dato evincere una motivazione a fondamento del rigetto dell’appello. D’altronde è significativo che, a proposito dell’onere della prova, nella decisione siano menzionati gli obblighi del “contribuente”, laddove del tutto distinto era l’oggetto del giudizio (cancellazione della ricorrente dal registro unico delle Onlus).

La sentenza va cassata e il processo deve essere rinviato alla Commissione tributaria regionale dell’Umbria, che in diversa composizione provvederà a riesaminare le ragioni dell’appello, oltre che a liquidare le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Umbria, cui demanda in diversa composizione anche la liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2022

 

 

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