Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4465 del 25/02/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 4465 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: MAISANO GIULIO

SENTENZA

sul ricorso 23903-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2014
99

contro

MARIANI RITA C.F. MRNRTI67T62H501F, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio
dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che la rappresenta e

Data pubblicazione: 25/02/2014

difende giusta delega in atti;
– controri corrente –

avverso la sentenza n. 3559/2007 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 08/10/2007 R.G.N. 6574/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

MAI SANO;
udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega FIORILLO
LUIGI;
1.3 di

lu I AvvEjeatu pritm P,DRERTQl

udiL0 il P.M. In pcn3und

nustitutcs Prnuz:thre,

Generale Dott. ENNIO ATTILIO SERE, che ha concluso per
l’ accoglimento per guanto di ragione.

udienza del 09/01/2014 dal Consigliere Dott. GIULIO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza pubblicata 1’8 ottobre 2007 la Corte d’appello di Roma, ha
confermato la sentenza del Tribunale di Roma del 25 luglio 2002 che ha
dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra
Mariani Rita e Poste Italiane s.p.a. con scadenza 30 aprile 1998 prorogato
parti un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con
decorrenza dal 1° maggio 1998, ed ha condannato Poste Italiane s.p.a. al
pagamento in favore della Mariani di tutte le mensilità di retribuzione dal
25 ottobre 1999. La Corte territoriale ha motivato tale pronuncia
considerando che il contratto in questione è stato stipulato oltre la scadenza
del termine finale di vigenza dell’accordo aziendale del 16 gennaio 1998,
da considerare ultima fonte normativa che, nel periodo considerato, ha
previsto la deroga al generale principio del rapporto di lavoro a tempo
indeterminato. La Corte territoriale ha inoltre considerato che il successivo
CCNL dell’I l gennaio 2001, che pure ha previsto analoga possibilità di
apposizione di termine al contratto di lavoro, non possa ritenersi
meramente ricognitivo ma sia innovativo e conseguentemente applicabile
solo per il futuro. Inoltre Poste Italiane non ha provato la sussistenza di
circostanze eccezionali che sole avrebbero potuto consentire l’apposizione
del termine al contratto di lavoro.
Poste Italiane propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza
articolato su quattro motivi.
Resiste la Mariani con controricorso.
La Mariani ha presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE

al 30 maggio 1998 e, per l’effetto, ha dichiarato che si è instaurato tra le

Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2
della legge 230 del 1962, dell’art. 1362 cod. civ. e degli artt. 244, 416, 420,
421 e 437 cod. proc. civ., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia ex artt. 3 e 5
cod. proc. civ. In particolare si lamenta che non è stata ritenuta provata la
giustificato il ricorso alla proroga del primo contratto a termine.
Con il secondo motivo si assume violazione e falsa applicazione dell’art.
23 della legge 56 del 1987, dell’art. 8 CCNL 26 novembre 1994, nonché
degli accordi sindacali del 25 settembre 1997, del 16 gennaio 1998, del 27
aprile 1998, del 2 luglio 1998, del 24 maggio 1999 e del 18 gennaio 2001
in connessione con gli artt. 1362 e seguenti cod. civ. ex art. 360, n. 3 cod.
proc. civ. In particolare si assume che da tutta la normativa contrattuale
citata si evincerebbe la precisa volontà delle parti di non prevedere limiti
temporali alla possibilità di ricorso ai contratti a termine.
Con il terzo motivo si lamenta omessa ed insufficiente motivazione circa
un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360, n. 5 cod. proc.
civ. con riferimento al ragionamento del giudice dell’appello relativo
all’asserito limite temporale alla previsione della possibilità di ricorso ai
contratti a termine.
Con il quarto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione di norma di
diritto in relazione agli artt. 1217 e 1233 cod. civ. ex art. 360, n. 3 cod.
proc. civ. con riferimento al riconoscimento delle retribuzioni dalla data di
espletamento del tentativo di conciliazione che non costituirebbe reale
messa a disposizione delle energie lavorative da parte del lavoratore.
Il primo motivo è infondato.

sussistenza delle esigenze contingenti e imprevedibili che avrebbero

L’art. 23 della legge 28 febbraio 1987 n. 56, che attribuisce alla
contrattazione collettiva la possibilità di definire nuove ipotesi di legittima
apposizione del termine – le quali possono essere diverse e più ampie
rispetto a quelle previste dalla legge n. 230 del 1962 – non modifica l’onere
della prova delle condizioni che giustificano sia l’apposizione di un termine
onere che l’art. 2 della legge n. 230 del 1962 pone a carico del datore di
lavoro, con la conseguenza che dal mancato assolvimento di tale onere
probatorio deriva la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto. Il
giudice di merito, che solo ha il compito di verificare e valutare la
sussistenza della prova in questione, ha, nel caso in esame, escluso che il
datore di lavoro abbia provato la sussistenza dei presupposti legittimanti il
ricorso ai contratti a termini o alla loro proroga. La relativa motivazione è
congrua e logica e sfugge ad ogni censura di legittimità.
Il secondo ed il terzo motivo possono esaminarsi congiuntamente
riferendosi tutti alla scadenza della previsione contrattuale della possibilità
di apposizione del termine al contratto di lavoro. Osserva il Collegio che la
Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo alla considerazione che il
primo dei contratti a termine per cui è giudizio é stato stipulato, per
esigenze eccezionali ai sensi dell’art. 8 del CCNL del 1994, come integrato
dall’accordo aziendale 25 settembre 1997, in data successiva al 30 aprile
1998 (e anteriormente alla operatività del CCNL del 2001), in epoca cioè
in cui “era venuta meno la contrattazione autorizzatoria”. Tale
considerazione, in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da
questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al CCNL
del 2001 ed al d.lgs. n. 368 del 2001), è sufficiente a sostenere l’impugnata
decisione, in relazione alla nullità del termine apposto al contratto de quo.
Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato
che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56

al contratto di lavoro, sia l’eventuale temporanea proroga al termine stesso,

del 1987, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a
quelli previsti dalla legge n. 230 del 1962, discende dall’intento del
legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle
necessità del mercato del lavoro idonea garanzìa per i lavoratori ed efficace
salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione
impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di
individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze
aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei
lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali
all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a
tempo determinato” (v. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063, Cass. 20 aprile 2006
n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). “Ne
risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti
collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi
vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle
previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della
disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa
delineato.” (v., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto
2006 n. 18378). In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite
temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi
integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità
della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23 agosto
2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n.
2866). In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente
affermato e come va anche qui ribadito, “in materia di assunzioni a termine
di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997,
integrativo dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994, e con il successivo
accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno

della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli

convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria,
relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente
ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in
corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998. Ne consegue che deve
escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile
conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo
indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230” (v., fra
le altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 gennaio 2008 n. 28450;
Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass.
18378/2006 cit.). Tanto basta per respingere i motivi di ricorso in esame
relativi tutti al limite temporale a cui sono subordinate le assunzioni a
termini delle Poste Italiane, così confermandosi la declaratoria di nullità del
termine apposto al contratto de quo.
Il quarto motivo è inammissibile per l’inidoneità del quesito.
La ricorrente formula il seguente quesito: “Dica la Suprema Corte se per il
principio di corrispettività della prestazione, il lavoratore — a seguito
dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine
stipulato – ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di
riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore di
lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della
disciplina di cui agli arti. 1206 e segg. cod. civ.” Tale quesito, oltre che in
gran parte inconferente rispetto al motivo (che comprende anche
l’eventuale aliunde perceptum), risulta del tutto generico e astratto,
mancando qualsiasi riferimento all’errore di diritto pretesamente commesso
dai giudici nel caso concreto esaminato (in tal senso, sullo stesso quesito,
cfr. Cass. n.ri 329, 330 e 331 tutte del 10 gennaio 2011).
Così risultato inammissibile il sesto motivo, riguardante le conseguenze
economiche della nullità del termine, neppure potrebbe incidere in qualche

1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore

modo nel presente giudizio lo ius superveniens, rappresentato dall’art. 32,
commi 5 0 , 6° e 7° della legge 4 novembre 2010 n. 183, in vigore dal 24
novembre 2010.
Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di
principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio
retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che
quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto
di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il
cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8
maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070). In tale contesto, è altresì
necessario che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente, il
tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia
altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria (v. fra le altre Cass. 41-2011 n. 80 cit.). Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie.
Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle
spese di giudizio liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese di giudizio liquidate in C 100,00 per esborsi ed C 3.500,00 per
compensi professionali oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 9 gennaio 2014.

di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia

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