Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4464 del 25/02/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 4464 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: MAISANO GIULIO

SENTENZA

sul ricorso 23897-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2014
contro

98

CIAVARELLA

FRANCESCA

C.F.

CVRFNC78P46H501Y,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RENO 21, presso
lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO,

che la

Data pubblicazione: 25/02/2014

rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1581/2007 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 05/10/2007 r.g.n. 7004/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

MAISANO;
udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega FIORILLO
LUIGI;
udito l Avvocato RIZZO ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE, che ha concluso per
il rigetto in subordine accoglimento per quanto di
ragione.

udienza del 09/01/2014 dal Consigliere Dott. GIULIO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza pubblicata il 5 ottobre 2007 la Corte d’appello di Roma, in
riforma della sentenza del Tribunale di Roma del 12 ottobre 2004 ha
dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra
Ciavarella Francesca e Poste Italiane s.p.a. dal 3 dicembre 1998 al 30
rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con decorrenza dal 3
dicembre 1998, ed ha condannato Poste Italiane s.p.a. al pagamento in
favore della Ciavarella di tutte le mensilità di retribuzione dal 5 dicembre
2002. La Corte territoriale ha motivato tale pronuncia considerando che il
contratto in questione è stato stipulato oltre la scadenza del termine finale
di vigenza dell’accordo aziendale del 16 gennaio 1998, da considerare
ultima fonte normativa che, nel periodo considerato, ha previsto la deroga
al generale principio del rapporto di lavoro a tempo indeterminato. La
Corte territoriale ha inoltre considerato che il successivo CCNL dell’ 11
gennaio 2001, che pure ha previsto analoga possibilità di apposizione di
termine al contratto di lavoro, non possa ritenersi meramente ricognitivo
ma sia innovativo e conseguentemente applicabile solo per il futuro. In
ordine al risarcimento del danno la Corte d’appello ha considerato che le
retribuzioni devono essere riconosciute dal momento della formale messa a
disposizione delle energie lavorative da parte del lavoratore, momento da
individuarsi nell’invio della raccomandata con la quale si è chiesto il
tentativo obbligatorio di conciliazione.
Poste Italiane propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza
articolato su tre motivi.
Resiste la Ciavarella con controricorso.
La Ciavarella ha presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE

gennaio 1999 e, per l’effetto, ha dichiarato che si è instaurato tra le parti un

Con il primo motivo si assume violazione e falsa applicazione dell’art. 23
della legge 56 del 1987, dell’art. 8 CCNL 26 novembre 1994, nonché degli
accordi sindacali del 25 settembre 1997, del 16 gennaio 1998, del 27 aprile
1998, del 2 luglio 1998, del 24 maggio 1999 e del 18 gennaio 2001 in
connessione con gli artt. 1362 e seguenti cod. civ., ex art. 360, n. 3 cod.
citata si evincerebbe la precisa volontà delle parti di non prevedere limiti
temporali alla possibilità di ricorso ai contratti a termine.
Con il secondo motivo si lamenta omessa ed insufficiente motivazione
circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360, n. 5 cod.
proc. civ. con riferimento al ragionamento del giudice dell’appello relativo
all’asserito limite temporale alla previsione della possibilità di ricorso ai
contratti a termine.
Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione di norma di
diritto in relazione agli artt. 1217 e 1233 cod. civ. ex art. 360, n. 3 cod.
proc. civ. con riferimento al riconoscimento delle retribuzioni dalla data di
espletamento del tentativo di conciliazione che non costituirebbe reale
messa a disposizione delle energie lavorative da parte del lavoratore.
I primi due motivi possono esaminarsi congiuntamente riferendosi tutti
alla scadenza della previsione contrattuale della possibilità di apposizione
del termine al contratto di lavoro. Osserva il Collegio che la Corte di merito
ha attribuito rilievo decisivo alla considerazione che il primo dei contratti a
termine per cui è giudizio é stato stipulato, per esigenze eccezionali ai sensi
dell’art. 8 del CCNL del 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25
settembre 1997, in data successiva al 30 aprile 1998 (e anteriormente alla
operatività del CCNL del 2001), in epoca cioè in cui “era venuta meno la
contrattazione autorizzatoria”. Tale considerazione, in base all’indirizzo
ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al

ut

proc. civ. In particolare si assume che da tutta la normativa contrattuale

sistema vigente anteriormente al CCNL del 2001 ed al d.lgs. n. 368 del
2001), è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione, in relazione alla
nullità del termine apposto al contratto de quo. Al riguardo, sulla scia di
Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla
contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del 1987, del potere di
legge n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare
l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro
idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti
(con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori
da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e
prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di
collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni
oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare
contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro
di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4 agosto 2008 n.
21063, Cass. 20 aprile 2006 n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26
luglio 2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a
favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non
essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe
a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della
disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa
delineato.” (v., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto
2006 n. 18378). In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite
temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi
integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità
della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23 agosto
2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n.
2866). In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente

definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla

affermato e come va anche qui ribadito, “in materia di assunzioni a termine
di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997,
integrativo dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994, e con il successivo
accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno
convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria,
ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in
corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998. Ne consegue che deve
escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile
1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore
conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo
indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230” (v., fra
le altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 gennaio 2008 n. 28450;
Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass.
18378/2006 cit.). Tanto basta per respingere i motivi di ricorso in esame
relativi tutti al limite temporale a cui sono subordinate le assunzioni a
termini delle Poste Italiane, così confermandosi la declaratoria di nullità del
termine apposto al contratto de quo.
Il terzo motivo è inammissibile per l’inidoneità del quesito.
La ricorrente formula il seguente quesito: “Dica la Suprema Corte se per il
principio di corrispettività della prestazione, il lavoratore — a seguito
dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine
stipulato – ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di
riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore di
lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della
disciplina di cui agli arti. 1206 e segg. cod. civ.” Tale quesito, oltre che in
gran parte inconferente rispetto al motivo (che comprende anche
l’eventuale aliunde perceptum), risulta del tutto generico e astratto,
mancando qualsiasi riferimento all’errore di diritto pretesamente commesso

relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente

dai giudici nel caso concreto esaminato (in tal senso, sullo stesso quesito,
cfr. Cass. n.ri 329, 330 e 331 tutte del 10 gennaio 2011).
Così risultato inammissibile il sesto motivo, riguardante le conseguenze
economiche della nullità del termine, neppure potrebbe incidere in qualche

novembre 2010.
Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di
principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio
di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia
retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che
quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto
di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il
cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8
maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070). In tale contesto, è altresì
necessario che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente, il
tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia
altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria (v. fra le altre Cass. 41-2011 n. 80 cit.). Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie.
Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle
spese di giudizio liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese di giudizio liquidate in

e

100,00 per esborsi ed C 3.500,00 per

compensi professionali oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 9 gennaio 2014.

modo nel presente giudizio lo ius superveniens, rappresentato dall’art. 32,
commi 5 0 , 6° e 7° della legge 4 novembre 2010 n. 183, in vigore dal 24

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