Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4458 del 20/02/2020

Cassazione civile sez. II, 20/02/2020, (ud. 10/12/2019, dep. 20/02/2020), n.4458

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al NRG 20468/2018 proposto da:

M.E., e AM.TER s.p.a., rappresentati e difesi dagli Avvocati

Alessandro Morini e Alessandra Micali, con domicilio eletto presso

lo studio di quest’ultima in Roma, via Ugo Balzani, n. 6;

– ricorrenti –

contro

CITTA’ METROPOLITANA DI GENOVA, rappresentata e difesa dagli Avvocati

Carlo Scaglia, Valentina Manzone e Gabriele Pafundi, con domicilio

eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale Giulio

Cesare, n. 14;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Genova n.

1651/2017 pubblicata in data 4 gennaio 2018;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10 dicembre 2019 dal Consigliere Alberto Giusti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – M.E. e la società AM.TER. p.a. proponevano ricorso avverso l’ordinanza n. 16/A del 13 marzo 2014 con cui la Provincia di Genova – richiamato il verbale di accertamento di violazione amministrativa n. 18/ST/10 del 24 marzo 2010, redatto dall’ARPAL – aveva loro ingiunto il pagamento della sanzione pecuniaria di Euro 15.010 in quanto l’impianto di depurazione reflui urbani di (OMISSIS), era privo della prescritta autorizzazione, in violazione del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 124, (Norme in materia ambientale), sanzionato dall’art. 133, comma 2, del medesimo decreto legislativo.

Si costituiva la Provincia di Genova, resistendo.

Il Tribunale di Genova, con sentenza n. 1847/2015, respingeva l’opposizione.

2. – La Corte d’appello di Genova, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 4 gennaio 2018, ha respinto il gravame.

2.1. – Per quanto ancora di rilievo in questa sede, la Corte territoriale, riconosciuta la competenza della Provincia ad emettere l’ordinanza-ingiunzione in questione, ha rigettato l’eccezione di difetto di legittimazione passiva di AM.TER, affermando che deve individuarsi nel gestore operativo, cioè nel soggetto, autore materiale della condotta vietata, che direttamente effettua o mantiene lo scarico, il responsabile (o corresponsabile) della violazione sanzionata, non rilevando le eventuali concorrenti responsabilità di altri soggetti.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello hanno proposto ricorso M.E. e la società AM.TER sulla base di due motivi.

Ha resistito, con controricorso, la Città metropolitana di Genova.

4. – Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

In prossimità della camera di consiglio i ricorrenti hanno depositato una memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 135 del D.Lgs. n. 152 del 2006, così come abrogativo della precedente formulazione del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art. 56) i ricorrenti deducono la carenza di potere sanzionatorio in capo alla Provincia di Genova in tema di accertamento di illeciti amministrativi in materia ambientale, giacchè tale legittimazione apparterrebbe alla sola Regione in forza di quanto previsto dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, e il relativo potere non potrebbe comunque essere da quest’ultima delegato alla Provincia senza dare vita ad una normativa regionale costituzionalmente illegittima.

I ricorrenti prospettano che la novità della questione, introdotta per la prima volta nel corso del giudizio di primo grado, non ne determinerebbe l’inammissibilità. Si sostiene infatti che, in ipotesi di sanzione irrogata non dalla Regione, ma dalla Provincia, il relativo provvedimento deve ritenersi emesso in carenza di potere in astratto (difetto assoluto di attribuzione), deducibile senza limitazioni dall’interessato in ogni stato e grado del giudizio, essendo il vizio rilevabile d’ufficio.

1.1. – Il motivo è infondato.

Questa Corte ha già avuto modo di affermare (Cass., Sez. II, 27 settembre 2018, n. 23383; Cass., Sez. II, 31 ottobre 2018, n. 27909; Cass., Sez. II, 5 novembre 2018, n. 28108) che nella specie non è configurabile il vizio di incompetenza assoluta dell’amministrazione, che darebbe luogo all’inesistenza del provvedimento sanzionatorio rilevabile anche d’ufficio, posto che tale vizio, secondo la giurisprudenza consolidata, “ricorre soltanto se l’atto emesso concerne una materia del tutto estranea alla sfera degli interessi pubblici attribuiti alla cura dell’amministrazione cui l’organo emittente appartiene”, mentre si ha incompetenza relativa nel rapporto tra organi od enti nelle cui attribuzioni rientra, sia pure a fini ed in casi diversi, una determinata materia (così, testualmente, Cass., Sez. I, 19 luglio 2012, n. 12555, che richiama il consolidato indirizzo, a partire da Cass., Sez. Un., 29 agosto 1990, n. 8987), laddove l’autorità che ha emesso il provvedimento sanzionatorio – la Provincia di Genova – era all’epoca l’ente competente a rilasciare le autorizzazioni in materia di scarichi idrici, ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006. Rimane perciò esclusa in radice la configurabilità dell’incompetenza assoluta rilevabile d’ufficio.

Tale rilievo aveva permesso nei precedenti richiamati di ritenere irrilevante anche la verifica circa la ricorrenza di un’incompetenza relativa, atteso che nelle vicende oggetto di tali statuizioni il vizio relativo all’appartenenza in capo all’opposta della potestà sanzionatoria non era stata posta con gli originari motivi di opposizione.

Nel caso in esame, ancorchè il vizio non rientrasse tra quelli dedotti ab origine a sostegno dell’opposizione, va però osservato che la Corte d’appello ha ritenuto che non ne fosse precluso l’esame, trattandosi di questione rilevabile d’ufficio, cosicchè, in assenza di un motivo di ricorso incidentale che contesti tale affermazione dei giudici del gravame, la questione deve ritenersi effettivamente devoluta all’esame dell’autorità giudiziaria.

Ritiene tuttavia il Collegio che debba essere condivisa la valutazione della Corte territoriale che ha riscontrato l’effettiva potestà sanzionatoria in capo alla Provincia per effetto di una valida delega da parte della Regione, non potendo avere seguito le tesi difensive dei ricorrenti.

Gli opponenti hanno anche in questa sede riproposto la tesi che contesta la competenza della Provincia ad emettere l’ordinanza-ingiunzione opposta, sul rilievo che il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, comma 1, nel sostituire il previgente D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 56, in materia di competenza regionale all’irrogazione delle sanzioni amministrative per le contravvenzioni a tutela delle acque dall’inquinamento, con la soppressione dell’inciso “salvo diversa disposizione delle regioni o delle province autonome” (contenuto nel previgente D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 56, che contemplava, con una clausola di salvezza, il potere delle Regioni di disciplinare, con criterio derogatorio, la competenza ad applicare le sanzioni amministrative in materia, delegandola alle Province), avrebbe inteso escludere il potere delle Regioni di dettare norme in deroga ai criteri di attribuzione della potestà sanzionatoria, attraverso la delega – attualmente, pertanto, non più possibile – ad enti diversi del potere di irrogare sanzioni amministrative pecuniarie di competenza regionale.

Si sostiene che, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 152 del 2006, citato art. 135, l’unica autorità amministrativa investita del potere di sanzionare le violazioni in materia di tutela delle acque dall’inquinamento sarebbe la Regione e che tutte le previsioni normative precedentemente adottate dalle Regioni, con le quali sono stati delegati ad enti diversi i poteri regionali di irrogazione di sanzioni, dovrebbero intendersi tacitamente abrogate, in quanto incompatibili con la successiva disposizione di legge statale. Ne discende che i provvedimenti sanzionatori emessi dalle amministrazioni provinciali in epoca posteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 152 del 2006, sarebbero inficiati da un vizio di incompetenza assoluta (carenza di potere in astratto), causa di nullità del provvedimento stesso.

La sentenza impugnata sostiene in contrario che il D.Lgs. n. 152 del 2006 – costituente un testo unificato, recante il mero riordino e coordinamento delle pregresse disposizioni disciplinanti la materia, prevedendo le medesime fattispecie sanzionatorie già disciplinate nel previgente art. 56 – non ha implicitamente abrogato la L.R. Liguria n. 43 del 1995, art. 42, comma 2, lett. b), che ha attribuito alle province la competenza ad irrogare le sanzioni di cui all’art. 56, del citato D.Lgs., trovando conferma anche nella successiva legge di interpretazione autentica (L.R. 29 dicembre 2014, n. 41).

Rileva la Corte che debba in premessa evidenziarsi che, come precisato dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 380 del 2007), il testo novellato dell’art. 117 Cost., comma 2, lett. s), – che attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva sulla “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e dei beni culturali” configura una competenza statale sovente connessa ed intrecciata inestricabilmente con altri interessi e competenze regionali concorrenti; la tutela dell’ambiente – inteso come valore costituzionalmente protetto – delinea, infatti, una sorta di competenza trasversale in ordine alla quale si manifestano competenze diverse anche regionali che si muovono nel quadro degli standard di tutela uniformi stabiliti sull’intero territorio nazionale da parte dello Stato; non c’è violazione dell’art. 117, comma 2, lett. s), e neppure dell’art. 118 Cost., commi 1 e 2, allorquando la Regione delega alle Province il relativo potere autorizzatorio, in quanto la stessa delega non risulta lesiva di alcun principio costituzionale ed anzi è coerente con il principio di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, posto che ciascuna Regione è abilitata a determinare, in conformità al proprio ordinamento, le funzioni amministrative che richiedono l’unitario esercizio a livello regionale, provvedendo contestualmente a conferire le altre agli enti locali.

Inoltre non può ritenersi di per sè risolutivo il differente tenore normativo del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 56, rispetto a quanto invece dettato dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, in relazione all’omessa riproduzione in quest’ultimo della salvezza delle attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità, avendo la stessa Corte costituzionale (Corte Cost. n. 33 del 2016) dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Veneto n. 11 del 2012, attributiva alle Province del potere di irrogare sanzioni amministrative in materia ambientale, essendo necessario procedere ad una ricostruzione del quadro normativo di riferimento, non potendo il giudizio di legittimità costituzionale risolversi in un mero confronto binario, dato che la legge statale (D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, comma 1), modificando il regime previgente, non prevede più esplicitamente, come invece disponeva esplicitamente il D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 56, il potere delle Regioni e delle Province autonome, soggetti titolari della potestà di irrogare le sanzioni amministrative pecuniarie, di delegarne l’esercizio alle Province ordinarie.

Ritiene il Collegio che invece proprio la disamina del quadro normativo e dei principi generali depongano per la correttezza della soluzione adottata dalla Corte di Genova.

Innanzitutto, va sottolineato lo stesso tenore testuale dell’art. 135 comma 1 (“In materia di accertamento degli illeciti amministrativi, all’irrogazione della sanzioni amministrative pecuniarie, provvede, con ordinanza ingiunzione ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 680, art. 18 e ss., la regione o la provincia autonoma nel cui territorio è stata commessa la violazione, ad eccezione delle sanzioni previste dall’art. 133, comma 8, per le quali è competente il comune, fatte salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità”) nella parte in cui, pur non ripetendo l’inciso del D.Lgs. n. 152 del 1999, previgente art. 56, contiene la clausola di salvezza “fatte salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità”.

Tale clausola di salvaguardia conserva la distribuzione delle attribuzioni amministrative sanzionatorie a diversi livelli ed impedisce di ritenere che il legislatore abbia inteso introdurre un principio inderogabile di competenza regionale nell’applicazione delle sanzioni amministrative in materia di inquinamento idrico.

Ancora, va considerata la disciplina transitoria dettata dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 170, in base al quale “Fino all’emanazione di corrispondenti atti adottati in attuazione della parte terza del presente decreto, restano validi ed efficaci i provvedimenti e gli atti emanati in attuazione delle disposizioni di legge abrogate dall’art. 175”.

Il riferimento specifico e congiunto ad “atti e provvedimenti” induce a ritenere che il legislatore, allo scopo di evitare vuoti normativi in una materia così importante e di rilevanza costituzionale, ha inteso fare “salvi” sia i provvedimenti amministrativi che gli atti normativi adottati in base alla previgente disciplina abrogata e, dunque, anche le leggi regionali emanate in applicazione del D.Lgs. n. 152 del 1999, il che induce ad affermare che non possa sostenersi la tacita abrogazione della L.R. Liguria n. 43 del 1995, art. 42, comma 2, lett. b), dimostrando la volontà legislativa di non considerare ex se le disposizioni emanate in contrasto con norme precedenti e quindi automaticamente abrogative delle stesse.

Inoltre, la tesi dei ricorrenti secondo cui vi sarebbe la scelta del legislatore di sottrarre alle Regioni la potestà normativa ed organizzativa in materia di tutela delle acque dall’inquinamento prevedendo un implicito divieto di delega ad altri enti territoriali delle funzioni amministrative attribuitegli, appare in contrasto con l’intero impianto sistematico del D.Lgs. n. 152 del 2006, ed in particolare con le norme dello stesso decreto che attribuiscono alle Regioni e ad altri enti locali ampi poteri normativi ed amministrativi in materia (art. 101 – Criteri generali della disciplina degli scarichi – secondo cui “Ai fini di cui al comma 1, le regioni, nell’esercizio della loro autonomia, tenendo conto dei carichi massimi ammissibili e delle migliori tecniche disponibili, definiscono i valori limite di emissione, diversi da quelli di cui all’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, sia in concentrazione massima ammissibile sia in quantità massima per unità di tempo in ordine ad ogni sostanza inquinante e per gruppi o famiglie di sostanze affini. Le regioni non possono stabilire valori limite meno restrittivi di quelli fissati nell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto”; art. 124, commi 3 e 7, per cui “Il regime autorizzatorio degli scarichi di acque reflue domestiche e di reti fognarie, servite o meno da impianti di depurazione delle acque reflue urbane, è definito dalle regioni nell’ambito di cui all’art. 101, commi 1 e 2” e “salvo diversa disciplina regionale” la domanda di autorizzazione è presentata alla Provincia ovvero all’Autorità d’ambito se lo scarico è in pubblica fognatura, norma questa che prevede la possibilità della Regione di organizzare il sistema delle autorizzazioni e dei controlli).

Una volta esclusa, alla luce dell’impianto normativo previsto dal citato D.Lgs. n. 152 del 2006, la correttezza della tesi della tacita abrogazione delle eventuali leggi regionali preesistenti che abbiano contemplato una delega alle Province del potere sanzionatorio in tale materia, dovendosi ritenere implausibile che con la semplice soppressione dell’inciso contenuto nell’art. 56, il legislatore statale abbia inteso privare le Regioni stesse del potere di conferire ad altri enti la funzione di accertare e comminare sanzioni per il mancato rispetto della normativa medesima, occorre, poi, considerare che la Regione Liguria, dopo l’emanazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, è intervenuta nella materia della delega della funzione sanzionatoria degli illeciti amministrativi previsti dalla normativa statale con la L.R. n. 41 del 2014, che con una disposizione avente carattere di interpretazione autentica, e quindi con efficacia retroattiva, ha confermato l’operatività della previsione di cui alla L.R. n. 43 del 1995, art. 42, comma 2, lett. b), e successive modifiche anche alle sanzioni amministrative pecuniarie di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135.

Correttamente i giudici di appello hanno attribuito rilevanza a tale ultima disposizione legislativa regionale che legittima l’emanazione dell’ordinanza-ingiunzione da parte della Provincia, non potendo certo essere disapplicata e non presentando profili di illegittimità costituzionale che ne impongano la remissione al vaglio della Corte Costituzionale.

Infatti, proprio alla luce della ricordata competenza trasversale in materia di ambiente, deve reputarsi che, se la potestà di disciplinare l’ambiente nella sua interezza, dettando standard uniformi di tutela, è stata affidata in via esclusiva allo Stato, ai sensi dell’art. 117 Cost., comma 2, lett. s), tuttavia, ciò non esclude il concorrente potere normativo delle Regioni e delle Province autonome su specifici interessi giuridicamente tutelati. La disciplina unitaria del bene ambiente rimessa in via esclusiva allo Stato si pone come limite alla disciplina regionale e delle province autonome nelle materie di loro competenza, per cui queste ultime non possono in alcun modo derogare o peggiorare il livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato. Il limite dell’intervento legislativo regionale è costituito dal rispetto dei principi regolatori stabiliti dal legislatore statale in tema di soglie minime di tutela dell’ambiente (Corte Cost., n. 246 del 2006, n. 378 del 2007 e n. 244 del 2012), soglie minime che non possono ritenersi attinte per la sola attribuzione del potere sanziona-torio in via di delega alle Province, avendo questa Corte affermato (Cass., Sez. I, 22 aprile 2005, n. 8511), in relazione alla previgente disciplina di cui al D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 56, ma con affermazione di principi ancora validi, che la norma, nel prevedere la competenza delle Regioni per l’irrogazione delle sanzioni amministrative, non esprime un principio fondamentale della legislazione dello Stato tale da spiegare l’efficacia direttamente abrogativa nei confronti delle leggi regionali preesistenti con esse incompatibili atteso che una simile disposizione, individuando tali autorità nella Regione o nella Provincia autonoma ed espressamente facendo salve le competenze del Comune per le sanzioni previste dall’art. 54, commi 8 e 9, nonchè le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità, non appare diretta a realizzare nel settore un interesse unitario che richieda attuazione su tutto il territorio nazionale, così da produrre effetti di vincolo assoluto e generalizzato all’esplicazione della potestà legislativa delle regioni.

Non sarebbe, infatti, comprensibile perchè il legislatore statale, ispiratosi ad evidenti criteri di promovimento delle autonomie locali e del decentramento amministrativo, abbia voluto impedire che, nelle singole legislazioni regionali, intervenissero “altre pubbliche autorità”, di competenza territoriale più circoscritta, diverse da quelle previste e regolate nell’ordinamento generale ai fini dell’esercizio delegato della potestà sanzionatoria.

Nè rileva l’abrogazione della L.R. n. 43 del 1995, art. 42, e della L.R. n. 41 del 2014, art. 22, ad opera della L.R. Liguria 6 giugno 2017, n. 12, art. 27, trattandosi di abrogazione successiva, non influente sulla vicenda oggetto di causa.

Tali considerazioni danno anche contezza delle ragioni per le quali il Collegio reputa che la controversia possa essere definita in sede camerale, non sussistendo le condizioni per la rimessione alla pubblica udienza.

2. – Con il secondo motivo (violazione e/o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 14, e D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 133, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), si censura che la Corte territoriale non abbia dichiarato la nullità dell’ordinanza-ingiunzione per difetto di legittimazione passiva di AM.TER sia in relazione alla titolarità dell’impianto che alla titolarità del servizio. Sottolineano i ricorrenti che, nel caso di specie, nonostante la gestione operativa dell’impianto di Cogoleto sia affidata ad AM.TER, società controllata e strumentale di Iren Acqua Gas s.p.a. – IAG, la gestione del servizio idrico integrato è affidata esclusivamente a quest’ultima società, di talchè la violazione contestata avrebbe dovuto essere notificata nei confronti dell’effettivo trasgressore, vale a dire del soggetto affidatario della gestione dell’impianto di depurazione di Cogoleto (la società Iren Acqua Gas). Si sostiene che, essendo assoggettata sia alle scelte dell’Autorità d’ambito che a quelle del Gestore d’ambito (IAG), AM.TER non avrebbe alcun potere in ordine al completamento degli impianti dalla stessa gestiti e, pertanto, non potrebbe essere sanzionabile nel caso in cui tali impianti non siano ancora dotati di autorizzazione allo scarico. Il vero autore della violazione dovrebbe individuarsi nella stessa Autorità d’ambito quale unico organo titolare del potere di determinare il completamento ed il perfezionamento degli impianti di depurazione, ovvero nel Gestore d’ambito quale titolare dell’affidamento del servizio in forza degli atti assentiti dalla stessa Autorità d’ambito, laddove AM.TER sarebbe mero Gestore operativo.

2.1. – La censura è infondata.

Assume portata risolutiva il rilievo che dell’illecito amministrativo di scarico senza autorizzazione – che non costituisce un illecito proprio – rispondono anche (e soprattutto) coloro che gestiscono di fatto, e, quindi, operativamente, l’impianto da cui deriva lo scarico (Cass., Sez. II, 14 febbraio 2006, n. 3176).

La Corte d’appello con accertamento in fatto, non suscettibile di sindacato in questa sede, ha rilevato che la società AM.TER aveva la gestione operativa dell’impianto che è stato interessato dalla contestazione oggetto di causa, il che già appare sufficiente per fondare in capo alla stessa la qualità di obbligato in solido.

La sentenza ha poi compiuto una logica e condivisibile ricostruzione anche delle vicende scaturenti dalla convenzione ATO/AMGA del 16 aprile 2004, rimarcando come quella esercitata dalla società ricorrente fosse una gestione “salvaguardata” che assicurava al gestore operativo (qualità pacificamente rivestita dalla ricorrente) una piena autonomia gestionale, potendosi al più configurare un’ulteriore responsabilità a titolo di concorso da parte della diversa società alla quale è stato affidato il compito di gestore del servizio idrico integrato.

Le argomentazioni sviluppate nel motivo non appaiono in grado di confutare la correttezza del ragionamento seguito dai giudici di merito, non essendo suscettibili di superare il rilievo, da reputarsi fondamentale ai fini dell’imputazione della responsabilità alla ricorrente, che la gestione operativa dell’impianto era comunque affidata ad AM.TER, non elidendo la responsabilità in oggetto l’esistenza di un ruolo più o meno penetrante di coordinamento o controllo da parte di altra società (ed impregiudicata la responsabilità di quest’ultima nei confronti delle controparti con le quali aveva stipulato le convenzioni per la gestione del servizio idrico integrato).

Nè appare sostenibile una responsabilità del Gestore d’ambito, posto che, anche a voler riconoscere a quest’ultimo il potere di compiere le scelte in ordine al completamento degli impianti dalla stessa gestiti, ciò non autorizzava il soggetto al quale era stata affidata la gestione operativa a contravvenire alla prescrizione che impone il previo rilascio dell’autorizzazione per lo scarico.

3. – Nelle conclusioni del ricorso per cassazione (pag. 43) i ricorrenti chiedono in via subordinata la riduzione della sanzione di cui alla ordinanza-ingiunzione opposta al minimo edittale.

La richiesta non può essere esaminata, in quanto non supportata da nessuno specifico motivo di censura.

4. – Il ricorso è rigettato.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

5. – Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto l’art. 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.500, di cui Euro 2.300 per compensi, oltre alle spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 10 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020

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