Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4456 del 23/02/2018


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Cassazione civile, sez. I, 23/02/2018, (ud. 04/10/2017, dep.23/02/2018),  n. 4456

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con citazione dell’11.1.2000, l’Impresa Costruzioni N. & M. S.p.A. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Como la locale Azienda ospedaliera “Ospedale S. Anna”, e, premettendo di esser rimasta aggiudicataria dell’appalto per la realizzazione di un nuovo padiglione di infettivologia AIDS e di aver successivamente stipulato il relativo contratto il 19 gennaio 1998, espose che:

– altra impresa offerente – la Fantino Costruzioni S.p.A.- rimasta esclusa dalla gara, aveva proposto impugnazione al T.A.R. Lombardia, ottenendo, con sentenza del 23.4.1998,l’annullamento della lettera di invito alla licitazione privata, dell’esclusione dalla gara e della delibera di aggiudicazione dei lavori;

– il Consiglio di Stato, dinanzi al quale era stata proposta impugnazione, aveva rigettato, con ordinanza del 16.6.1998, l’istanza di sospensione dell’esecuzione di detta sentenza;

– la committente aveva disposto la riammissione in gara della Società Fantino Costruzioni s.p.a. che era, poi, rimasta aggiudicataria dei lavori, con Delib. 5 agosto 1998.

Deducendo che l’intervenuta interruzione del rapporto era ascrivibile a responsabilità dell’Azienda ospedaliera e che nella nuova aggiudicazione del 23.9.1998 doveva configurarsi un recesso implicito ai sensi della L. n. 2248 all. F del 1865, art. 345, o comunque un inadempimento della stazione appaltante, l’attrice,dato atto di aver ricevuto il mandato di pagamento per il saldo del primo S.A.L., di aver sottoscritto il registro di contabilità esplicitando tre riserve, chiese quindi l’emissione delle conseguenti statuizioni di condanna.

Con sentenza n. 1760 del 7.2.2002, le Sezioni Unite di questa Corte, adite con regolamento preventivo, dichiararono la giurisdizione del giudice ordinario, e con sentenza del 4.4.2002, il Consiglio di Stato in riforma della decisione del TAR Lombardia, confermò la legittimità dell’originaria aggiudicazione.

Con sentenza n. 772 del 2005, il Tribunale rigettò le domande e la decisione fu confermata il 30.11.2012, dalla Corte d’Appello di Milano, secondo cui: a) l’orientamento in base al quale il vizio di uno degli atti della fase pubblicistica si traduceva in un’ipotesi di annullabilità del contratto non imponeva che l’annullamento dovesse esser chiesto in via giudiziale e non potesse disporsi in autotutela, dovendo anzi ritenersi, secondo la più recente giurisprudenza, che l’annullamento dell’atto presupposto comportasse automaticamente l’inefficacia del contratto, senza necessità di pronunce costitutive del suo cessato effetto o di atti di ritiro; b) l’Azienda era obbligata a dare esecuzione alla sentenza del TAR, immediatamente esecutiva, dato il rigetto dell’istanza di sospensione da parte del Consiglio di stato, talchè non erano ravvisabili i presupposti di cui alla L. n. 2248 del 1865, art. 345; c) non era ravvisabile alcun colpevole inadempimento dell’Amministrazione.

Per la cassazione della sentenza, ha proposto ricorso l’Impresa con sei mezzi. L’azienda Ospedaliera ha depositato un controricorso tardivo, chiedendo contestualmente di essere rimessa in termini. Le parti hanno depositato memorie ed il PG ha presentato conclusioni scritte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L’istanza di rimessione in termini per il deposito del controricorso (da valutarsi ex art. 184 bis c.p.c., cfr. Cass. n. 7361 del 2015), a parte la sua irritualità, essendo stata presentata in calce all’atto notificato, va disattesa in quanto si fonda su uno stato di grave malattia del difensore, ma non si allega neppure che, dopo la notifica del ricorso in data 24.4.2013, da cui decorreva il termine di cui all’art. 370 c.p.c., l’affezione avesse assunto un carattere invalidante al punto tale da impedire all’Avvocato di trasmettere il ricorso notificato alla parte, che avrebbe potuto incaricare anche altri legali (come poi ha fatto), constando, solo, il rilascio di procura in data 17.7.2013. 2. Il controricorso è dunque inammissibile, ma vale come atto di costituzione, che, dopo la riforma recata dal D.L. n. 168 del 2016(conv., con modif., dalla L. n. 197 del 2016), consente il deposito della memoria ex art. 380 bis c.p.c., risultando ora l’unica altra attività difensiva permessa nel procedimento a struttura camerale e, quindi, equiparata o sostitutiva della partecipazione alla pubblica udienza, che, appunto, è sempre stata pacificamente ammessa pur in presenza di un controricorso inammissibile (Cass. n. 13093 del 2017).

3. Col primo motivo, si censurano le statuizioni sub a) di parte narrativa, evidenziandosi che l’annullamento dell’aggiudicazione da parte del Giudice Amministrativo non comporta la caducazione immediata del contratto nelle more stipulato con l’Impresa aggiudicataria, contratto che, secondo conforme giurisprudenza, può esser solo annullato dal giudice, non potendo l’Amministrazione annullare in autotutela un atto di diritto privato che ha determinato il sorgere di diritti soggettivi in favore dell’altro contraente, nè potendo ritenersi che il contratto si fosse automaticamente caducato, in quanto l’orientamento giurisprudenziale, che tale effetto ha affermato, si è formato sulla base di normativa entrata in vigore agli inizi dell’anno 1998.

4. Col secondo, terzo, quarto e quinto motivo, si censura la statuizione sub b) di parte narrativa, per violazione di legge e vizio di motivazione. La decisione d’annullamento del TAR Lombardia, afferma l’Impresa ricorrente, nulla statuiva sulla sorte del contratto, sicchè non derivava per l’Azienda alcun obbligo automatico di conformarsi ad essa, vigendo, anzi, il principio secondo cui l’esecuzione amministrativa delle sentenze di primo grado non può comportare risultati irreversibili, come invece era accaduto, quando, con la sentenza del Consiglio di Stato, la sua aggiudicazione era stata ritenuta legittima e si era definitivamente consolidata, ed a norma dell’art. 336 c.p.c., comma 2, restavano totalmente posti nel nulla i provvedimenti dipendenti dalla sentenza riformata. In conclusione, la Corte territoriale aveva errato a non ritenere configurabile un recesso ai sensi dell’art. 345 c.p.c..

5. I motivi da valutarsi congiuntamente, sono infondato il primo e fondati gli altri.

6. La questione dei riflessi di una sentenza d’annullamento in sede giurisdizionale amministrativa dell’atto di aggiudicazione della gara d’appalto rispetto alla sorte al contratto sottostante, che oggi è espressamente risolta in termini di inefficacia dagli artt. 121 e segg. del C.P.A. di cui al D.Lgs. n. 104 del 2010, -che riprendono le disposizioni dell’art. 2 quinquies della direttiva comunitaria 2007/66/CE- con possibilità di successiva tutela in forma specifica e per equivalente, ha avuto in relazione al regime pregresso, qui rilevante, alterne soluzioni in giurisprudenza (annullabilità, nullità, inefficacia), risultando, però, preferibile l’orientamento (Cass. n. 17693 del 2004; n. 12629 del 2006; n. 4781 del 2007; 9906 del 2008; n. 3185 2008; n. 24438 del 2011; n. 10617 del 2012; n. 2408 del 2016; Cons. Stato n. 7578 del 2011 e n. 2802 del 2013) che fa discendere dall’annullamento dell’aggiudicazione definitivamente pronunciato dal GA (e non solamente delibato in primo grado, sia pur con sentenza esecutiva, come affermato in sentenza) la caducazione automatica del contratto successivamente stipulato, senza necessità di pronunce costitutive del suo cessato effetto o di atti di ritiro dell’Amministrazione, e ciò in considerazione del collegamento funzionale tra i due atti.

6. Se, dunque, la tesi del ricorrente non è condivisibile (l’assunto secondo cui la giurisprudenza anzidetta sarebbe ricollegabile ad imprecisate novelle intervenute alla fine degli anni 1990 -probabilmente si allude al D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33, del tutto ininfluente ai fini qui in rilievo) la questione non è, tuttavia, dirimente, posto che la statuizione d’annullamento dell’aggiudicazione emessa dal TAR non è mai divenuta definitiva, essendo stata a sua volta annullata, nei termini esposti in narrativa, dalla sentenza del Consiglio di Stato che ne ha travolto ogni effetto, il che trova piena rispondenza nell’invocata disposizione di cui all’art. 336 c.p.c., secondo cui la riforma o la cassazione estendono i loro effetti ad atti e provvedimenti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata.

7. L’esame va, quindi, condotto dalla diversa prospettiva relativa all’esecuzione di un provvedimento giurisdizionale instabile. Al riguardo la giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. St. n. 5352 del 2002; TAR Lazio n. 413 del 2002; TAR Sicilia, Catania, n. 1958 del 2006) ha sottolineato che, nell’ambito del giudizio d’ottemperanza per l’esecuzione di una sentenza di primo grado non sospesa dal Consiglio di Stato (giudizio introdotto successivamente all’atto di autotutela dell’intimata, con la L. n. 205 del 2000, art. 10, comma 1, che ha aggiunto la L. n. 1034 del 1971, art. 33, comma 3, cfr. per il pregresso Corte Cost. n. 406 del 1998), il giudice adito deve procedere con prudente apprezzamento e deve dettare statuizioni che non possono spingersi fino a delineare un assetto definitivo ed immutabile degli interessi in gioco, tale da neutralizzare o rendere inutile la successiva pronuncia giurisdizionale e la sopravvenienza di un giudicato, che, ribaltando la decisione dovesse vedere soccombente il ricorrente già vittorioso (cfr. TAR Sardegna n. 966 del 2016; TAR Brescia n. 63 del 2013 in riferimento alle analoghe disposizioni di cui all’art. 112, comma 2, lett. b), e art. 114, comma 4, lett. c) C.P.A.).

8. Negli stessi termini e limiti devono, quindi, intendersi riferiti gli obblighi di conformazione alla pronuncia giurisdizionale, esecutiva e non sospesa, da parte dell’Amministrazione (la cui attività viene vicariata in sede d’ottemperanza) alla quale sarà, dunque, vietato dare ulteriore seguito ai provvedimenti annullati con la sentenza esecutiva, ma non sarà neppure consentito determinarsi in modo da compromettere definitivamente la ricostituzione della situazione quo ante, e ciò per scongiurare che gli effetti pregiudizievoli di una sentenza errata e riformata in grado superiore vadano posti a carico della parte vittoriosa (cfr. Cass. n. 15078 del 2015).

9. A tale stregua, la statuizione secondo cui la “risoluzione” del contratto rappresentava un “atto dovuto” da parte della stazione appaltante, onde conformarsi alla sentenza che aveva annullato l’aggiudicazione della gara, assunto che sorregge la sentenza impugnata, è giuridicamente errata, in quanto, fermo restando per l’Azienda di non poter proseguire nell’esecuzione all’appalto (correttamente sospeso) in ossequio al comando giudiziale, la declaratoria di risoluzione, adottata in autotutela dalla stazione appaltante nel settembre del 1998 – in sè superflua in ipotesi di conferma del decisum in quanto l’effetto invalidante sarebbe derivato dal giudicato amministrativo – è un comportamento che l’Amministrazione ha posto in essere a suo rischio, poichè era idoneo a pregiudicare definitivamente i diritti dell’odierna ricorrente laddove come si è, poi, verificato- la stessa fosse rimasta vittoriosa all’esito del gravame.

10. La soluzione resterebbe all’evidenza rafforzata, ove volesse ritenersi, al lume dei principi desumibili dalla sopravvenuta Direttiva 2007/66/CEE art. 2 quinques e delle disposizioni del processo amministrativo del 2010, sopra citati, che la conseguenza dell’annullamento dell’aggiudicazione sulla sorte del contratto sia da sussumere non nell’ambito dell’invalidità, ma in quello dell’inefficacia, in quanto, in tale ottica, andrebbe escluso ogni automatismo della privazione di efficacia del contratto (anche in ipotesi di conferma della decisione d’annullamento), venendo in rilievo la valutazione della buona fede o il bilanciamento degli interessi in gioco.

10. L’impugnata sentenza va, pertanto, cassata, restando assorbito il sesto motivo, con rinvio alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione, che alla stregua degli anzidetti principi, valuterà le domande contrattuali avanzate dalla ricorrente, accertando, in ispecie, se l’atto in data 23.9.1998 costituisca o meno manifestazione della facoltà di recedere, e provvederà anche a liquidare le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il controricorso, rigetta il primo motivo, accoglie gli altri, assorbito il sesto, cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2018

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