Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4455 del 20/02/2020

Cassazione civile sez. II, 20/02/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 20/02/2020), n.4455

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26920/2015 proposto da:

G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, P.ZA COLA DI

RIENZO n. 92, presso lo studio dell’avvocato ELISABETTA NARDONE, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI PATTAY;

– ricorrente –

contro

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI S. COSTANZA

n. 46, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANCINI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato AGOSTINO CALIFANO;

– controricorrente –

e contro

COMUNE GENOVA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 982/2015 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 28/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/11/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione ritualmente notificato C.G. evocava in giudizio G.G. ed il Comune di Genova dinanzi il Tribunale di Genova, invocando l’accertamento del suo diritto di ottenere il trasferimento, da parte del Comune di Genova, della piena proprietà di un immobile sito in (OMISSIS), e la condanna del Comune stesso al perfezionamento del predetto trasferimento, e del G. al risarcimento del danno. Nella narrativa dell’atto di citazione l’attrice deduceva che l’immobile di cui è causa era stato assegnato dal Comune di Genova, con atto dell’8.4.1968, a lei ed al convenuto G., con pagamento differito e riserva di proprietà; che il prezzo stabilito nell’atto del 1968 era stato integralmente saldato; che il G. si era sempre rifiutato di intervenire alla stipula dell’atto di definitivo trasferimento dell’immobile, nonostante gli inviti della C.; che il Comune aveva a sua volta comunicato l’impossibilità di intestare per intero il cespite all’attrice, in difetto di autorizzazione del G..

Si costituiva quest’ultimo, resistendo alla domanda ed allegando che il cespite era stato assegnato dal Comune, nel 1968, al nucleo familiare costituito da sè medesimo e dalla C., la quale poco dopo aveva abbandonato marito e casa, trasferendosi altrove, e non abitando mai di fatto nell’immobile oggetto di causa. Spiegava quindi domanda riconvenzionale per l’accertamento della decadenza della C. dal diritto all’assegnazione del bene immobile ovvero, in subordine per l’accertamento del suo diritto ad ottenere il trasferimento della metà dell’immobile oggetto di eventuale assegnazione alla C. e per la condanna di quest’ultima alla refusione della metà delle spese anticipate dal G. per la conservazione del bene.

Si costituiva altresì il Comune di Genova invocando il rigetto della domanda attorea in quanto l’immobile era stato assegnato in comproprietà al G. ed alla C. a seguito di esplicita richiesta del primo, originariamente sorteggiato dall’ente locale, ed il definitivo perfezionamento del passaggio di proprietà non si era realizzato esclusivamente a causa del disaccordo tra i due assegnatari. Il Comune deduceva, in particolare, di aver invitato questi ultimi alla stipula dell’atto, subito dopo il saldo dell’ultima rata di prezzo, scaduta il 28.10.1988.

Con sentenza n. 4143/2011 il Tribunale di Genova rigettava la domanda principale della C. ed accoglieva in parte quella riconvenzionale del G., condannando la prima a rifondergli la somma di Euro 10.546,35 anticipate per spese di conservazione dell’immobile; riteneva altresì che ambedue i coniugi avessero diritto all’assegnazione di metà del cespite immobiliare e condannava quindi il G., che aveva abitato di fatto nell’immobile, a versare alla C. la metà del canone locativo dal 7.2.2005 in poi. Secondo il Tribunale non poteva accogliersi la domanda della C., volta ad ottenere l’intestazione dell’intera proprietà del cespite; non sussisteva tuttavia alcun profilo di decadenza della stessa dal diritto all’assegnazione dell’immobile pro quota; poteva quindi essere accolta soltanto la riconvenzionale del G., limitatamente all’accertamento del suo diritto ad ottenere l’intestazione della metà del bene; dovevano infine essere accolte, rispettivamente, le domande del G., di condanna della C. al pagamento della metà delle spese inerenti all’immobile da lui negli anni anticipate; e della C., di condanna del G. al risarcimento del danno derivante dal ritardato perfezionamento del trasferimento della proprietà del bene, da commisurare in via equitativa alla metà del valore locativo del cespite stesso.

Avverso detta decisione proponevano rispettivamente appello principale il G. ed incidentale la C.. Si costituiva in seconde cure il Comune di Genova invocando la conferma della sentenza di prime cure, nella parte relativa all’accertata impossibilità, per l’ente locale, di trasferire la totalità della proprietà del bene contestato ad una o all’altra delle due parti, appellante principale ed incidentale.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 982/2015, la Corte di Appello di Genova accoglieva in parte l’impugnazione principale revocando la condanna del G. al pagamento in favore della C. della metà del canone locativo dal 7.2.2005 in poi, rigettando nel resto sia il gravame proposto in via principale che quello proposto in via incidentale.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione G.G. affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso C.G.. Il Comune di Genova, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità. La parte ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Prima di scrutinare i motivi di ricorso occorre esaminare le eccezioni di inammissibilità e di improcedibilità sollevate dalla parte controricorrente alle pagg. 7 ed 8 del controricorso.

In particolare, la C. lamenta che il ricorso sarebbe inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, non avendo il ricorrente ottemperato all’onere di indicare specificamente gli atti processuali ed i documenti sui quali il ricorso si fonda. Sostiene inoltre che il ricorso sarebbe improcedibile per violazione dell’art. 369 c.p.c., n. 4, poichè il G. si sarebbe limitato a depositare, insieme al proprio ricorso, il fascicolo di parte contenente gli atti e documenti prodotti nei due gradi di merito, omettendo di provvedere al deposito dei documenti sui quali il ricorso si fonda.

Le due doglianze sono infondate.

Va infatti ribadito che la prescrizione di specifica indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, da correlare al correlativo requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, deve ritenersi soddisfatta: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la semplice produzione del fascicolo, purchè nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile; b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per il caso in cui la controparte non si costituisca in sede di legittimità ovvero si costituisca senza produrre il fascicolo o lo produca senza lo specifico documento; c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, ma relativo alla nullità della sentenza od all’ammissibilità del ricorso (la cui produzione è espressamente consentita ai sensi dell’art. 372 c.p.c.) oppure di documento attinente alla fondatezza del ricorso che si sia formato dopo la fase di merito e comunque dopo l’esaurimento della possibilità di produrlo; in tali ipotesi, mediante la produzione del documento in esame, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell’ambito del ricorso per Cassazione (cfr. Cass. Sez. U, Ordinanza n. 7161 del 25/03/2010, Rv. 612109; Cass. Sez. U, Ordinanza n. 25038 del 07/11/2013, Rv. 628054; Cass. Sez. 6-3 Ordinanza n. 27475 del 20/11/2017 Rv. 646829).

Nel caso di specie, poichè è la stessa parte controricorrente a dare atto che il ricorrente ha allegato al proprio ricorso il fascicolo di parte relativo ai precedenti gradi di merito, indicandone il deposito a pag.30 del ricorso stesso (cfr. pag. 8 del controricorso, in apertura di pagina) è evidente che il requisito di ammissibilità e procedibilità di cui agli artt. 366 e 369 c.p.c., è stato rispettato.

Passando ai motivi di ricorso, con il primo di essi il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del R.D. n. 165 del 1938, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe dovuto considerare che il nucleo familiare a suo tempo costituito dal G. e dalla C. non esisteva più, di fatto, sin dal 1968, subito dopo l’atto di assegnazione dell’immobile di cui è causa. Poichè l’assegnazione degli alloggi di edilizia popolare presuppone l’esistenza del nucleo familiare, e considerato che con la separazione e l’allontanamento della moglie dalla casa coniugale la famiglia era di fatto venuta meno, la C. avrebbe perduto il diritto a vedersi assegnata, sia pure pro quota, la proprietà dell’immobile.

La censura è inammissibile per difetto di specificità.

A prescindere dalla fondatezza della tesi prospettata dal ricorrente, costui non deduce di esser divorziato dalla C., ma si limita ad allegare che la stessa si sarebbe allontanata dalla casa familiare separandosi dal marito. La separazione, tanto se realizzata in via di fatto che se conseguente ad un provvedimento giudiziario, non elimina la persistenza del vincolo coniugale, che viene eliso soltanto per effetto della pronuncia di divorzio. Ne deriva che il ricorrente non ha neppure allegato l’esistenza di una valida causa che giustificherebbe il venir meno il nucleo familiare: dal che consegue la carenza di specificità della doglianza in esame, che si fonda in ultima analisi su un presupposto di fatto che non risulta dimostrato in alcun modo. Nè il ricorrente si cura di indicare, nel corpo della censura, quale documento dimostrerebbe l’asserito venir meno del nucleo familiare e in quale momento del processo di merito tale prova sarebbe stata acquisita agli atti del giudizio.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente riconosciuto alla C. il diritto di ottenere l’intestazione della metà della proprietà del cespite controverso, senza considerare che la stessa non aveva mai formulato tale domanda, essendosi limitata ad invocare l’accertamento dell’intestazione a proprio favore dell’intera proprietà del bene.

La censura è infondata sotto due distinti, ma concorrenti, profili.

Innanzitutto la Corte di Appello non ha accolto l’appello incidentale della C., nè ha stabilito il diritto di quest’ultima di ottenere l’intestazione a proprio favore della metà della proprietà dell’immobile sito in (OMISSIS). Piuttosto, il giudizio di merito si è concluso con l’accertamento del diritto del G. ad ottenere dal Comune di Genova l’intestazione soltanto della quota ideale pari al 50% del cespite, sul presupposto che la restante parte dovesse essere intestata alla moglie per effetto della circostanza, invero assorbente, che l’ente locale aveva, nel lontano 1968, assegnato il bene di cui si discute ad entrambi i coniugi, appunto in ragione del 50% pro indiviso ciascuno. Non vi è quindi alcuna pronuncia implicita del giudice di merito circa il diritto della moglie ad ottenere l’intestazione della metà del bene; piuttosto è stata accolta la subordinata spiegata dal G., avente ad oggetto l’accertamento del suo diritto di ottenere l’intestazione della metà dell’immobile, mentre sono state respinte le contrapposte domande, formulate sia dal marito che dalla moglie, di ottenere l’accertamento del rispettivo diritto all’intestazione della totalità del cespite.

In secondo luogo, anche ammesso che si possa far derivare dal rigetto delle predette contrapposte domande di accertamento del diritto di ottenere l’intestazione della totalità del bene e dall’accoglimento di quella subordinata del G., relativa alla sola metà dell’appartamento, una pronuncia implicita che accerti il corrispondente diritto della C. ad ottenere a sua volta l’intestazione della residua metà del cespite, ciò non configura comunque violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., posto che la pronuncia in concreto adottata dal giudice di merito rientra nella domanda spiegata dalla C., volta ad ottenere l’accertamento del suo diritto all’assegnazione dell’intero alloggio. Come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale, infatti (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata), le contrapposte pretese di moglie e marito riguardavano in ultima analisi il loro rispettivo diritto a vedersi assegnato per intero l’unico cespite oggetto di causa: la decisione adottata dal giudice di merito non eccede i limiti del devolutum e quindi appare pienamente rispettosa di quanto richiesto dalle parti.

Con il terzo ed ultimo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe:

a) da un lato, errato nel ritenere nullo, per genericità, l’appello proposto dal ricorrente sul punto della sentenza di prime cure che aveva ritenuto raggiunta la prova che la moglie avesse contribuito al pagamento delle spese dell’immobile; la Corte territoriale sarebbe infatti pervenuta a tale conclusione valorizzando testimonianze de relato e non considerando altre deposizioni testimoniali favorevoli alla tesi contraria, secondo cui le spese inerenti all’immobile le aveva piuttosto pagate per intero il marito;

b) dall’altro lato, errato nell’accogliere il motivo di appello, relativo al risarcimento del danno, svolto limitatamente alla determinazione del quantum, conservando tuttavia la condanna generica del G. al risarcimento del danno da liquidare in separato giudizio; la Corte di merito avrebbe dovuto invece considerare che poichè la C. non aveva allegato alcun fatto causativo del danno del quale invocava il risarcimento, la relativa domanda avrebbe dovuto essere respinta in toto.

La censura è inammissibile in quanto essa, nelle sue distinte articolazioni, si risolve in una istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, da ritenere estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790), nonchè a sollecitare un nuovo, ed altrettanto inammissibile, apprezzamento delle risultanze istruttorie, in violazione del principio secondo cui “L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595: conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, quanto alla controricorrente C.. Nulla invece per il Comune di Genova, in assenza di svolgimento, da parte di quest’ultimo, di attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, va dichiarata la sussistenza, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dei presupposti processuali per l’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente C.G. delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva e cassa avvocati come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020

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