Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4455 del 14/02/2019

Cassazione civile sez. II, 14/02/2019, (ud. 17/07/2018, dep. 14/02/2019), n.4455

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13736/2014 R.G. proposto da:

S.M., rappresentato e difeso in virtù di procura in calce al

ricorso, dagli avv.ti. Ornella Manferdini, Augusto Federici e Nicola

Federici, con domicilio eletto in Roma, via G.G. Belli 37, presso lo

studio dell’avv. Ornella Manfredini;

– ricorrente –

contro

M.V., rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale

in calce al controricorso, dall’avv. Marco D’Apote, con domicilio

eletto in Roma, via Tacito 23, presso lo studio dell’avv. De

Giovanni Graziano;

– controricorrente –

L.C.P., C.L. S.r.l.

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 2702 depositata

il 24 aprile 2014;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 4

luglio 2018 dal Consigliere Dott. Giuseppe Tedesco;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. Sgroni Carmelo, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

udito l’avv. Marco D’Apote per il controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Secondo la descrizione dei fatti operata con il ricorso, S.A. ha acquistato da L.C.P., liutaio con atelier in (OMISSIS), un violino Guarnieri per il prezzo di Euro 450.000,00, pagato in parte mediante bonifico bancario di Euro 150.000,00 e, per la restante parte di Euro 300.000,00, mediante cessione in permuta dal proprio violino Guadagnini.

Il S. ha conseguito il possesso del violino Guarnieri, del quale ha poi subito il sequestro penale, scoprendo così che lo strumento acquistato non era di proprietà del liutaio che glielo aveva venduto, ma di un terzo, Victor M., che ne aveva rivendicato la proprietà.

Il giudizio di primo grado – iniziato dal S. davanti al Tribunale di Roma nei confronti di M.V., L.C.P. e C.L. S.r.l. al fine di fare accertare l’esclusiva proprietà del violino in capo all’attore, avendone egli conseguito il possesso in buona fede in forza di titolo idoneo – si concludeva negativamente per l’attore.

Il tribunale rigettava anche la domanda subordinata di risoluzione del contratto di vendita del violino, che l’attore aveva rivolto nei confronti del L..

Il giudice di primo grado accoglieva la domanda riconvenzionale del M., accertando che il violino oggetto di causa, sottoposto a sequestro penale, era di proprietà del medesimo M. e a lui doveva essere restituito.

La Corte d’appello di Roma confermava la sentenza in ordine alla proprietà del violino in capo al M., mentre la riformava in ordine al rapporto fra l’attore e il liutaio L., che condannava a restituire al S. l’importo ricevuto in previsione della vendita.

La corte d’appello riteneva che non vi fosse prova della conclusione di un contratto di vendita fra il L. e il S., conseguendo da ciò l’assenza, nella specie, del titolo astrattamente idoneo, con il concorso della buona fede dell’acquirente, a giustificare l’acquisto della proprietà del violino in forza della regola possesso vale titolo.

La corte di merito non disconosceva la buona fede del S., ma considerava la stessa buona fede inefficace, in quanto dipendente da colpa grave.

Secondo la corte d’appello le risultanze probatorie convergevano univocamente nella direzione indicata dal tribunale, ossia l’assenza di qualsivoglia attenzione da parte del S. nell’accertare l’effettiva proprietà del Guarnieri in capo al L..

Quanto all’ulteriore fatto, invocato dal S. nel giudizio, che egli era stato assolto dall’imputazione del reato di incauto, la corte osservava che la sentenza di assoluzione non era vincolante nel giudizio civile. Osservava inoltre che il S. non aveva prodotto la motivazione della sentenza di assoluzione, impedendo con ciò anche la possibilità di valutare liberamente le circostanze accertate in sede penale.

Per la cassazione della sentenza il S. ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi.

Il M. ha resistito con controricorso.

Gli altri intimati sono rimasti tali.

Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1147 e 1153 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Si sottolinea che, nell’ambito della fattispecie prevista dall’art. 1153 c.c., la buona fede è presunta.

Pertanto, compete a chi contesta l’applicabilità della regola possesso vale titolo offrire la prova contraria.

Il motivo è inammissibile.

La sentenza ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte (Cass. n. 23586/2015; n. 8804/2016).

Il concetto della buona fede, di cui all’art. 1153 c.c. che determina l’acquisto della proprietà di beni mobili da parte dell’acquirente a non domino, per effetto del solo acquisto del possesso, corrisponde a quello dell’art. 1147 c.c. La buona fede rilevante per il diritto ha carattere psicologico e portata etica, per cui si concentra in un comportamento conforme ai criteri della normale diligenza e prudenza. Essa, pertanto, non giova all’acquirente, se l’ignoranza di ledere l’altrui diritto dipende da colpa grave (Cass. n. 516/1966).

In particolare versa in colpa grave chi non si sia accorto della lesione dell’altrui diritto solo perchè ha omesso di usare quel minimo di comune diligenza che è proprio di ogni persona avveduta (Cass. n. 7202/1995; n. 9782/1999).

“Non intellegere quod omnes intellegunt costituisce un errore inescusabile incompatibile con il concesso stesso di buona fede” (Cass. n. 1593/2017).

Essendo la buona fede dell’acquirente a non domino di bene mobile presunta, spetta a chi rivendichi il bene, al fine di escludere in favore del possessore gli effetti di cui all’art. 1153 c.c., di fornire la prova della malafede o della colpa grave del possessore medesimo, al momento della consegna. Tale prova può essere data anche mediante presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, e tali da prevalere sull’indicata presunzione legale (Cass. n. 4328/1997; n. 2178/1976).

Il giudizio sulla sussistenza o meno della buona fede importa un apprezzamento di fatto, che si sottrae al sindacato di legittimità, ove sorretto da esauriente motivazione ed ispirato ad esatti criteri giuridici (Cass. n. 1570/1967; Cass. n. 1986/1969).

Ebbene la corte d’appello ha compiuto tale indagine sulla sussistenza dell’elemento psicologico della fattispecie; non ha negato la buona fede, ma ha riconosciuto che l’ignoranza non giovava all’acquirente, perchè dipendeva da colpa grave.

Tale valutazione, ampiamente e congruamente con riferimento a tutti gli elementi indicati dal ricorrente, si sottrae al sindacato di legittimità.

Con il motivo ora in esame il ricorrente evidenzia che il L., il quale aveva la disponibilità del violino, era in qual momento “l’unico soggetto legittimato a venderlo, in tesi in forza di contratto estimatorio, in ipotesi in forza di mandato a vedere. Il fatto che il L. sia stato condannato a restituire parte del prezzo, al limite, è prova dell’avvenuto contratto. Il possesso comunque fa titolo”.

Al riguardo la corte d’appello (pag. 20) ha rilevato che “la prospettazione della domanda avanzata dal S. non era fondata sulla legittimità dell’acquisto dal L. in quanto mandatario, bensì sulla consegna in forza di titolo idoneo al trasferimento della proprietà, nella consapevolezza che il L. fosse proprietario dello strumento, di talchè l’esistenza del rapporto di mandato è del tutto ininfluente ai fini della valutazione del requisito del buona fede”.

Tale valutazione non ha costituito oggetto di censura.

Solo per completezza di esame si precisa che l’art. 1153 c.c. si applica all’alienazione in nome proprio della cosa altrui, dovendosi escludere dalla tutela dell’art. 1153 c.c. chi acquista una cosa altrui, credendo tuttavia che l’alienante abbia il potere di trasferirgli la proprietà.

Insomma, qualora la cosa mobile sia stata alienata dal rappresentante senza potere del proprietario, non si verifica l’acquisto in base al possesso di buona fede (Cass. n. 4870/1979).

2. Il secondo motivo denuncia omessa, insufficiente contraddittoria motivazione circa l’esclusione della buona fede del S. al momento dell’acquisto del violino Guarnieri.

Il motivo è inammissibile.

In disparte l’improprietà della rubrica, che denuncia un “vizio di motivazione” che non è più compreso fra i motivi di ricorso in base al testo attuale dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis (cfr. Cass., S.U., n. 8053/2014), con il motivo in esame il ricorrente sollecita un riesame per sè favorevole degli elementi probatori accertati: ciò in cassazione non è consentito.

“La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge” (Cass. n. 19547/2017; n. 17477/2007).

Con il secondo motivo ora in esame il ricorrente si duole inoltre della mancata ammissione dellè intese a dimostrare le circostanze che ne avevano giustificato la propria assoluzione dal reato di incauto acquisto.

Tale censura è inammissibile per difetto di specificità, in quanto con essa “il ricorrente si duole della valutazione rimessa al giudice del merito, quale è quella di non pertinenza della denunciata mancata ammissione della prova orale rispetto ai fondamenti della decisione, senza allegare le ragioni che avrebbero dovuto indurre ad ammettere tale prova, nè adempiere agli oneri di allegazione necessari a individuare la decisività del mezzo istruttorio richiesto e la tempestività e ritualità della relativa istanza di ammissione” (Cass. n. 8204/2018).

Vi è da aggiungere che i fatti indicati nei capitoli sono compresi nella complessiva valutazione della corte di merito e, in ogni caso, essi, nell’ambito di quella stessa valutazione, sono privi di decisività e quindi inidonei “a invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento” (Cass. n. 5654/2017).

3. Il terzo motivo denuncia omessa insufficiente motivazione, rimproverandosi alla corte di non avere riconosciuto che la sentenza penale di assoluzione resa fra le spesse parti faceva stato nel giudizio, e ciò anche in violazione dell’art. 654 c.p.p. (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).

Il quarto motivo denuncia omessa esame circa un fatto decisivo per il giudizio costituito dalla sentenza penale del tribunale di Roma n. 22191/2013, in violazione dell’art. 654 c.p.c. con valore di giudicato esterno.

I motivi sono infondati.

La corte d’appello ha considerato la sentenza penale di assoluzione, affermando che tale sentenza, non essendo passata in giudicato, non faceva stato nel giudizio civile.

Essa ha aggiunto che la mancata produzione della motivazione della sentenza impediva di valutare anche l’eventuale valore indiziario delle circostanze accertate in sede penale.

Il ricorrente deduce ora che la sentenza di assoluzione è passata in giudicato, ma, a un attento esame, tale rilievo, contestato dal controricorrente, non modifica i termini della questione, perchè l’assoluzione in sede penale non è comunque invocabile nel presente giudizio, la cui soluzione non dipende dagli stessi fatti accertati in sede penale (Cass. n. 16080/2016).

Questa Suprema Corte ha chiarito che l’elemento psicologico necessario a integrare la contravvenzione di cui all’art. 712 c.p. (l’agente deve avere motivo di ritenere che le cose acquistate provengano da reato) è diverso dalla colpa grave di cui si è detto (consistente nella non ragionevole comune opinione di acquistare da chi può legittimamente disporre della cosa, sì che, anche esclusa la responsabilità penale dell’accipiens ex art. 712 c.p., il giudice civile resta libero di ritenere sussistente la colpa, grave onde escludere la buona fede nell’acquisto (Cass. n. 1177/1950; Cass. n. 1568/1958; Cass. n. 100/1964).

Il progetto preliminare al codice civile precisava, all’art. 543, che “si considera esservi colpa grave quando sussistono gli estremi dell’incauto acquisto”. Si osserva in dottrina che la disposizione è stata opportunamente abbandonata perchè, mentre intendeva dire cosa ovvia (la condanna penale ex art. 712 c.p. obbliga l’acquirente a restituire la cosa, escludendo l’applicabilità dell’art. 1153 c.c. da parte del giudice civile), poteva prestarsi ad essere interpretata nel senso di una coincidenza del concetto civilistico di colpa grave col concetto penalistico di incauto acquisto, laddove il primo è diverso è più ampio. L’assoluzione dell’acquirente da responsabilità penale per incauto acquisto non impedisce che il giudice civile possa tuttavia accertare gli estremi della colpa grave per negare il beneficio dell’art. 1153 c.c.

In conclusione il ricordo deve essere rigettato, con addebito di spese.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo del versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dichiara ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 4 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2019

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