Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4454 del 21/02/2017

Cassazione civile, sez. lav., 21/02/2017, (ud. 06/12/2016, dep.21/02/2017),  n. 4454

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21439/2011 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, LUIGI CALIULO, D’ALOISIO

CARLA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

F.M.D., C.F. (OMISSIS), già titolare dell’impresa

F.D. AGENZIA GENERALE INA ASSITALIA P.I. (OMISSIS) cancellata,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI VILLA SACCHETTI 9, presso

lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MARINI, che lo rappresenta e

difende unitamente agli avvocati DIEGO DIRUTIGLIANO, ERNESTINA

POLLAROLO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 862/2010 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 14/10/2010 R.G.N. 115/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/12/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;

udito l’Avvocato D’ALOISIO CARLA;

udito l’Avvocato POLLAROLO ERNESTINA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

Fatto

Con sentenza depositata il 14.10.2010, la Corte d’appello di Torino confermava la statuizione di primo grado che aveva condannato l’INPS a restituire a F.M.D., n.q. di titolare dell’omonima impresa individuale, il 90% dei contributi versati nel triennio 1994-1997, L. n. 350 del 2003, ex art. 4, comma 90.

Ricorre contro questa pronuncia l’INPS, articolando due motivi di censura. Resiste l’azienda con controricorso, illustrato da memoria. Il Collegio ha disposto la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

Con il primo motivo, l’Istituto ricorrente lamenta nullità della sentenza impugnata ex art. 112 c.p.c., per non avere la Corte territoriale esaminato l’eccezione di decadenza dal diritto alla ripetizione dei contributi.

Con il secondo motivo di censura, l’Istituto ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 107 e 108 TFUE e della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 90 e D.L. n. 300 del 2006, art. 3-quater, comma 1 (conv. con L. n. 17 del 2007), per avere la Corte di merito riconosciuto la spettanza del beneficio della ripetizione dei contributi nonostante fosse stato istituito da disposizioni di legge adottate in contrasto con il divieto di aiuti di Stato stabilito dall’ordinamento comunitario.

Ciò posto, il primo motivo è infondato.

Va premesso, in punto di fatto, che l’eccezione di decadenza (che era stata disattesa dal primo giudice attribuendo rilievo decisivo alla data del 31.7.2007, in cui la domanda era stata spedita all’INPS tramite servizio postale) è stata reiterata dall’INPS in appello soltanto mercè il richiamo alle eccezioni già svolte in prime cure, ivi compresa “quella afferente il difetto di proposizione della domanda amministrativa di ripetizione entro il termine perentorio del 31.7.2007” (cfr. pag. 4 del ricorso per cassazione).

Ora, è noto che, nel vigore della formulazione dell’art. 342 c.p.c., precedente alle modifiche introdotte dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 (conv. con L. n. 134 del 2012), questa Corte ha gradatamente adottato un orientamento restrittivo, secondo il quale, in considerazione della qualificazione del giudizio di appello in termini di revisio prioris instantiae, piuttosto che come novum iudicium dotato di effetto devolutivo generale e illimitato, il canone della specificità dei motivi richiede non solo l’individuazione delle statuizioni concretamente impugnate e dei limiti dell’impugnazione, ma altresì l’esposizione delle ragioni dirette a confutare in fatto e in diritto le motivazioni che sorreggono la decisione di primo grado (Cass. S.U. nn. 4991 del 1987, 9628 del 1993, 16 del 2000 e 23299 del 2011), per modo che il richiamo alle argomentazioni addotte a sostegno della domanda o dell’eccezione disattesa dal primo giudice, pur astrattamente ammissibile (cfr. Cass. n. 11781 del 2005), specie quando venga denunciato un errore di diritto (arg. ex Cass. n. 7341 del 2009), va correlato all’eventualità che esse contengano già l’esposizione di ragioni idonee a incrinare il fondamento logico-giuridico della decisione concretamente adottata, dovendo invece concludersi per l’inammissibilità dell’appello che, senza neppure menzionare per sintesi il contenuto della prima decisione, risulti totalmente avulso dalla censura di quanto affermato dal primo giudice e si limiti ad illustrare la tesi giuridica già esposta in primo grado (Cass. n. 6978 del 2013).

Tenuto conto dei superiori principi, deve concludersi che l’appello proposto dall’INPS, non prendendo punto posizione sull’argomentazione svolta dal giudice di prime cure al fine di superare l’eccezione di decadenza, fosse in parte qua inammissibile, con conseguente passaggio in giudicato della statuizione concernente l’assenza di preclusioni ostative della possibilità di esaminare il merito della questione (arg. ex Cass. S.U. nn. 16 del 2000 e 23299 del 2011, citt.); e poichè l’omessa pronuncia su una domanda inammissibile non dà luogo a violazione dell’art. 112 c.p.c. (cfr. da ult. Cass. n. 24445 del 2010), le censure svolte nel primo motivo del ricorso si rivelano infondate.

Circa il secondo motivo, l’esame della censura richiede una breve ricognizione della normativa interna sul tema, dei precedenti di questa Corte di legittimità al riguardo e degli effetti derivanti dalla decisione resa in subiecta materia dalla Commissione dell’Unione Europea in data 14.8.2015, n. 195/2016.

Com’è noto, la L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 90, ha esteso ai soggetti colpiti dagli eventi alluvionali del novembre 1994 e già destinatari dei provvedimenti agevolativi in materia di versamento delle somme dovute a titolo di tributi, contributi e premi, di cui al D.L. n. 646 del 1994, art. 6, commi 2, 3 e 7-bis (conv. con L. n. 22/1995), le disposizioni sulla regolarizzazione automatica delle imposte previste dalla L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, in favore delle imprese colpite dal sisma del 1990 in Sicilia orientale, prevedendo che tali soggetti potessero regolarizzare la propria posizione relativa agli anni 1995, 1996 e 1997 versando il 10% dell’importo dovuto entro il 31.7.2004 (termine successivamente differito al 31.7.2007 dal D.L. n. 300 del 2006, art. 3-quater, comma 1, conv. con L. n. 17 del 2007).

Al riguardo, questa Corte di legittimità ha già avuto modo di chiarire che la L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 90, nell’estendere l’applicazione delle disposizioni della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, ai soggetti colpiti dagli eventi alluvionali del novembre 1994, si riferisce espressamente ai provvedimenti agevolativi concernenti i versamenti di quanto dovuto “a titolo di tributi, contributi e premi”, restando privo di rilievo il mancato rinvio, nel testo della norma, anche alla disposizione di cui al D.L. n. 646 del 1994, art. 7, in quanto il richiamo dell’art. 6, commi 2, 3 e 7-bis, D.L. ult. cit., da parte della L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 90, è funzionale esclusivamente all’individuazione della categoria dei destinatari del beneficio e non già all’individuazione della tipologia dei tributi a cui riferire l’agevolazione, e ha precisato che tale interpretazione trova espressa e letterale conferma nel D.L. n. 300 del 2006, art. 3-quater (conv. con L. n. 17 del 2007), che ha esplicitamente stabilito l’operatività dell’agevolazione “per i contributi previdenziali, i premi assicurativi e i tributi riguardanti le imprese relativi all’alluvione del Piemonte del 1994”, fugando altresì ogni dubbio sulla legittimità costituzionale della norma ult. cit., sulla scorta dell’insegnamento di Corte Cost. n. 274 del 2006, in considerazione della piena legittimità in materia civile di leggi retroattive non solo interpretative ma anche innovative con efficacia retroattiva, quando la disposizione trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza (come nel caso in cui l’interpretazione della disciplina richiamata rappresenti una delle possibili letture del dato normativo) e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti (Cass. nn. 11133 e 11247 del 2010).

Ha inoltre chiarito questa Corte che la definizione automatica della posizione previdenziale può avvenire, per chi non ha ancora pagato, mediante il pagamento del solo 10% del dovuto e, per chi ha già pagato, attraverso il rimborso del 90% di quanto versato, dovendo ritenersi, nel silenzio del legislatore circa la posizione di coloro che, all’entrata in vigore della normativa recante il beneficio, avessero già ottemperato al pagamento dell’obbligazione contributiva, che un’interpretazione che escludesse costoro dalla possibilità di richiedere la restituzione di quanto versato in eccesso si porrebbe in contrasto con la costante giurisprudenza della Corte costituzionale circa l’irragionevolezza di disposizioni legislative che sopprimano o riducano la prestazione dovuta per obbligazioni pubbliche già perfezionatesi, prevedendo al contempo l’irripetibilità delle somme già versate in esecuzione del rapporto obbligatorio siccome conformato in precedenza (Cass. n. 11247 del 2010, cit.).

Nessun rilievo presentando, ai fini qui in discorso, la successiva norma di interpretazione autentica della L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 90, contenuta nel D.L. n. 78 del 2010, art. 12, comma 12, trattandosi di disposizione soppressa dalla legge di conversione, nè la L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665 (cfr. al riguardo Cass. n. 24993 del 2016), rileva invece la decisione n. 195/2016 che, in subiecta materia, ha adottato la Commissione Europea in data 14.8.2015: questa Corte, infatti, ha già fissato il principio secondo cui le agevolazioni previste L. n. 350 del 2003, ex art. 4, comma 90, pur realizzando, secondo la citata decisione della Commissione Europea, aiuti di Stato ai sensi dell’art. 107, paragrafo 1, TFUE, possono essere ugualmente concesse qualora l’aiuto individuale rientri nei limiti del regolamento UE de minimis applicabile oppure possa beneficiare della deroga prevista dall’art. 107, paragrafo 2, TFUE (Cass. n. 13458 del 2016; più di recente, nello stesso senso e con riferimento ai contributi INPS, Cass. n. 21897 del 2016); ed è appena il caso di ricordare che, superando il precedente e più restrittivo orientamento, la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha affermato che la decisione della Commissione circa la compatibilità dell’aiuto non ne inibisce la concessione ancorchè l’aiuto medesimo sia stato (come nella specie) istituito in violazione degli obblighi di comunicazione preventiva e di c.d. standstill, solo dovendo ordinarsi al beneficiario dell’aiuto il pagamento degli interessi per il periodo della illegalità (CGUE, 12.2.2008 n. 199, C-199/06).

Tanto premesso e rilevato che la citata decisione della Commissione europea costituisce ius superveniens che impone di accertare in fatto se l’azienda possieda o meno i requisiti per accedere al beneficio (cfr. ancora Cass. n. 13458 del 2016, cit.), la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata per il consequenziale esame alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte, provvedendo sul ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2017

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