Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4452 del 25/02/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 4452 Anno 2014
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: CARLUCCIO GIUSEPPA

SENTENZA

sul ricorso 13387-2008 proposto da:
KOLVENBACH

RUDOLF

PETER

KLVRLF55M26Z112D,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARIA CRISTINA
8, presso lo studio dell’avvocato GOBBI GOFFREDO,
rappresentato e difeso dall’avvocato AMBROGI CARLO
giusta delega in atti;
– ricorrente –

2014
100

contro

AGROFORESTALE SCOPETO DI BUMILLER MANFRED & C. SAS
00777380544 (già AGRICOLA SCOPETO DIBUMILLER MANFRED
& C. SAS) in persona del socio accomandatario e

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Data pubblicazione: 25/02/2014

legale rappresentante MANFRED BUMILLER, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA ANAPO 20, presso lo studio
dell’avvocato RIZZO CARLA, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato FRANCESCO DEPRETIS
giusta delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 352/2007 della CORTE D’APPELLO
di PERUGIA, SEZIONE AGRARIA, depositata il
13/03/2008, R.G.N. 298/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 16/01/2014 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA
CARLUCCIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. VINCENZO GAMBARDELLA che ha concluso
per il rigetto del ricorso;

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. L’Agroforestale sas, nel 2005, convenne in giudizio Rudolf Peter
Kolvenbach dinanzi al Tribunale di Orvieto, sezione agraria, chiedendo:
la risoluzione, per inadempimento del conduttore, di più contratti di
affitto di azienda agricola e fondi rustici, con annessi agricoli e
appartamenti da utilizzare per attività agrituristica; la condanna al
rilascio, al pagamento dei canoni non corrisposti, e al risarcimento del

Assunse di aver stipulato, negli anni 1992 e 1998, più contratti, anche
integrativi, di affitto di fondi rustici e relativi annessi e appartamenti. In
particolare di avere, con atto del 18 aprile 2002 (doc. 5 bis), modificato
un contratto del maggio 1998, aumentandone il canone a partire dal
2007 e prorogandone la durata sino al 2016; di avere in quell’occasione
concordato importi complessivi dei canoni riferiti a tutti i contratti per gli
anni dal 2002 al 2005 (doc. 6); precisò che, eccetto per il contratto del
1992, i canoni risultanti dagli atti scritti, già prima dell’accordo
aggiuntivo del 2002, erano inferiori a quelli in concreto pattuiti. Dedusse
che il conduttore aveva rispettato il suddetto accordo aggiuntivo per gli
anni 2002 e 2003, mentre per il 2004 e il primo semestre del 2005
aveva corrisposto solo i canoni risultanti dai contratti scritti originari.
Il conduttore resistette negando che il documento aggiuntivo dell’aprile
del 2002 avesse i requisiti minimi di un contratto, trattandosi di una
puntazione delle trattative, e propose querela di falso nei confronti di
alcune parti aggiunte dello scritto. In via riconvenzionale propose
domanda di danni per asserite turbative da parte della società locatrice
alla attività agricola ed agrituristica da esso svolta nei fondi.
Il Tribunale dichiarò che le aggiunte rMietanpassung, (Aumento
canone) eri, (eseguito), (50062DM)] al documento n. 6, oggetto della
querela di falso, erano autografe del rappresentante legale della società;
ritenne di poter decidere senza tener conto delle stesse; pronunciò la
risoluzione dei contratti per inadempimento del conduttore e condannò
questi al rilascio, ai pagamenti conseguenti e al risarcimento del danno
sino al rilascio; dichiarò improponibile la domanda riconvenzionale
proposta dal conduttore.

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danno sino all’effettivo rilascio.

La Corte di appello di Perugia, sezione specializzata agraria, rigettò
l’impugnazione proposta dal conduttore, anche in riferimento alla
domanda riconvenzionale dallo stesso avanzata (sentenza del 13 aprile
2008).
2. Avverso la suddetta sentenza, il conduttore propone ricorso per
cassazione affidato a undici motivi.
Resiste con controricorso la società forestale, che deposita memoria.

1.E’ opportuno premettere le ragioni sulle quali la Corte di merito ha
basato il rigetto dell’impugnazione.
Nel respingere il primo motivo di appello, nel quale si censurava la
sentenza di primo grado per non aver dichiarato la falsità del documento
n. 6 e per non aver emesso le pronunce accessorie ai sensi dell’art. 226
cod. proc. civ., la Corte ha rilevato che il disconoscimento da parte del
conduttore (ndr e non della sas, come scritto testualmente nella
sentenza, integrando errore materiale il riferimento alla società, come
risulta anche dagli atti di parte che riconducono il riferimento al
conduttore) del documento in fotocopia sul quale vi erano le annotazione
autografe del rappresentante della società, rendeva improponibile la
querela di falso che postula l’avvenuto riconoscimento della fotocopia.
Nel rigettare il secondo e terzo motivo di appello, che censuravano la
sentenza per essersi fondata su quel documento falso e sulle parti
aggiunte allo stesso, la Corte di merito, ha messo in rilievo che

il

Tribunale aveva interpretato l’accordo dell’aprile 2004 e deciso la
controversia senza dare alcun rilievo alle annotazioni autografe, aggiunte
dal rappresentante legale della società locatrice dopo la sottoscrizione
del conduttore, sulle quali non era intervenuto l’accordo.
Secondo la Corte, dal documento sottoscritto in calce da entrambe le
parti emergeva la volontà delle stesse, manifestata in riferimento agli
accordi pregressi, di rideterminare i canoni per gli anni successivi e di
prolungare il rapporto contrattuale; tanto più che in materia di contratti
agrari non vi era il vincolo di forma richiesto per la compravendita
immobiliare e anche considerando che lo stesso conduttore non aveva
allegato una diversa ragionevole spiegazione dell’atto sottoscritto.

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MOTIVI DELLA DECISIONE

Secondo la Corte, ancora, al fine di ritenere raggiunta la prova
sull’accordo dell’aprile 2002, era irrilevante la mancanza di prova dello
spontaneo adempimento del periodo 2002/2003; pure irrilevanti erano
le missive del 2004, inviate dalla società al conduttore per la
rideterminazione del canone, essendo ragionevole che non ottenendo
l’adempimento spontaneo, la società provasse una rinegoziazione; ha
ritenuto irrilevante il riferimento letterale per la proroga ad una sola

temporale al 2016 avrebbe dovuto riferirsi a quella sola località.
Inoltre, con la scrittura privata, sottoscritta da entrambi, le parti
avevano consensualmente rinunciato alla forma richiedente l’assistenza
delle organizzazioni sindacali, cui avevano fatto precedentemente rinvio
(ndr nel contratto del maggio 1998).
Secondo la Corte, infine, il Tribunale non aveva ritenuto simulati i
contratti originari registrati senza che fosse azionata domanda di
simulazione, ma – nel decidere sulla domanda di inadempimento aveva accertato il canone in concreto pattuito.
1.1. I motivi di ricorso vanno accorpati sulla base dello loro stretta
connessione in relazione alle censure prospettate. E’ applicabile ratione
temporis l’art. 366 bis cod. proc. civ.
2. Sono logicamente preliminari il decimo e l’undicesimo motivo,
attinenti alla querela di falso del documento.
Con il decimo, il conduttore deduce insufficiente e contraddittoria
motivazione. Nel cd. quesito di fatto, che conclude il motivo, individua il
fatto controverso nell’inesistenza del disconoscimento da parte del
conduttore della «parte in copia fotostatica del doc. 6»;
documentata dall’oggetto della querela di falso, proposta nella memoria
di costituzione e riproposta all’udienza del 26 giugno 2006 e dalle
dichiarazioni rese contestualmente dal querelante.
Nella parte esplicativa, richiamando i relativi atti processuali, argomenta
nel senso della mancanza del suo disconoscimento del documento
prodotto da controparte, della querela di falso sulle parti aggiuntive,
inesistenti quando aveva siglato il documento.
Con l’undicesimo motivo, deduce insufficiente e contraddittoria
motivazione. Nel c.d. quesito di fatto, che conclude il motivo, denuncia
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località (Po’ del vento) atteso che, altrimenti, anche la proroga

tali vizi richiamando la parte della sentenza impugnata oggetto del
motivo precedente, rispetto all’individuazione del valore probatorio della
copia fotostatica ritenuta disconosciuta, inutilizzabile ex art. 2719 cod.
civ.
2.1. Entrambi i motivi sono inammissibili.
A tal fine rileva la non specificità della impugnazione, quale risulta dalla
deduzione di un vizio attinente alla quaestio facti e dalle argomentazioni,

violazioni di legge.
Comunque, entrambi i motivi sono inammissibili anche per difetto di
interesse sul profilo attinente alla querela di falso relativa al doc. 6.
Lo stesso conduttore, nei ricorso, ammette: di aver proposto querela di
falso sulle parti aggiuntive del doc. 6; che la società locatrice ha
riconosciuto di aver apposto le aggiunte dopo la sua sottoscrizione del
documento; di aver sottoscritto il doc. 6 prima delle aggiunte.
Non è dubitabile che la sentenza censurata (e quella di primo grado che
la stessa conferma) si fonda sul doc. 6, prodotto in fotocopia, senza
considerare le aggiunte autografe del rappresentante legale della
società. Mentre le parti, nella sostanza, controvertono sul se il doc. 6
poteva integrare un accordo modificativo dei contratti precedenti.
Consegue la non influenza, rispetto alla decisione, della mancata
dichiarazione della falsità del documento (sembrerebbe per l’intero,
nonostante si fosse denunciata solo la falsità delle parti aggiunte) da
parte della sentenza di primo grado, nonché delle censure mosse in
proposito con l’appello, oltre che delle argomentazioni spese dalla
sentenza di secondo grado per confutarle e dei motivi di ricorso che alla
censura di queste ultime sono diretti.
3. Procedendo, nell’esame dei motivi, ad accorpare l’esame degli stessi
secondo l’ordine logico delle censure, il secondo, quinto e sesto motivo
si riferiscono alla forma dell’accordo modificativo dell’aprile del 2002.
3.1. Secondo la Corte di merito, premesso che per i contratti agrari
manca un vincolo di forma, l’aver le parti adottato la scrittura privata
per regolare i propri rapporti, dimostrerebbe che le stesse avevano
consensualmente rinunciato alla forma richiedente l’assistenza delle

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anche nel cd. quesito di fatto, che sembrano, confusamente, prospettare

organizzazioni sindacali, cui avevano fatto rinvio (ndr in uno dei) nei
contratti precedenti.
3.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione degli articoli artt.
1321, 1325 e 1326 cod. civ. in riferimento all’art. 23, u. c. della I. n. 11
del 1971, come modificato dall’art. 45 della I. n. 203 del 1982. Per la
validità dell’accordo modificativo di contratti precedenti contenenti
pattuizioni in deroga (nella parte esplicativa si richiama il contratto del

l’accordo risulti da accordo scritto stipulato dinanzi alle associazioni
professionali.
Il ricorrente censura la sentenza, sotto il profilo della insufficiente
(contraddittoria non è esplicata) motivazione in ordine alla ritenuta
rinuncia delle parti alla forma concordata (quinto) e sotto il profilo della
violazione dell’art. 1352 cod. civ. e dell’art. 23, u. c. della I. n. 11 del
1971, come modificato dall’art. 45 della I. n. 203 del 1982 (sesto).
Nel quinto si mette in evidenza l’insufficienza della motivazione per non
avere la Corte considerato le missive del 2004, che facevano riferimento
alla modifica del contratto scritto (del maggio, integrato nell’ottobre del
1998) in cui era prevista la modifica tramite le organizzazioni sindacali.
Nel sesto si sostiene che, in violazione delle suddette norme, la Corte di
merito ha ritenuto la rinuncia delle parti alla forma prevista nell’accordo
scritto, che rinviava all’accordo mediante le organizzazioni sindacali,
senza considerare che per il contratto del maggio 1998, integrato
nell’ottobre del 1998, era stato stipulato dinanzi alle organizzazioni
sindacali contenendo accordi in deroga e che convenzionalmente non si
poteva rinunciare alla suddetta forma.
3.3. Per quel che è ricavabile dai quesiti plurimi posti, che sono ai limiti
della inammissibilità per mancanza di chiarezza e inadeguatezza,

la

questione essenziale posta è se per l’accordo modificativo dei
precedenti contratti fosse o meno necessaria la forma delta
stipulazione attraverso le organizzazioni sindacali, in riferimento
alla previsione della stessa nei (in realtà, in uno dei) contratti
precedenti, con conseguente impossibilità della rinuncia a tale
forma ritenuta dalla Corte di merito.
3.4. Le censure non hanno pregio.

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maggio 1998, integrato nell’ottobre 1998), si assume la necessità che

Al fine di far perdere rilievo alla censura formulata in termini generali
rileva, in primo luogo, la circostanza fattuale che – tra i contratti
precedenti che l’accordo dell’aprile 2002 ha modificato – solo uno (quello
del maggio 1998 modificato nell’ottobre dello stesso anno) è stato
stipulato «in deroga alle norme vigenti in materia di contratti agrari»
con l’assistenza delle rispettive organizzazioni professionali e prevede
(punto 11, pag. 7, doc. 3) la modifica nelle stesse forme. Degli altri, il

del 1982, il terzo (doc. 5 e 5 bis) è un contratto qualificato come
«locazione commerciale» nel quale la disciplina è costruita con il
richiamo della legge n. 392 del 1978.
Da ciò l’impossibilità di far discendere un obbligo di forma
convenzionalmente stabilito e riferibile a tutti i contratti.
Né l’obbligo di forma, consistente nella stipula con l’assistenza delle
rispettive organizzazioni professionali, può ipotizzarsi esistente in
generale per trarne l’invalidità dellmaccordon dell’aprile 2002, doc. 6 per
mancanza della stessa.
Infatti, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, la forma della
stipulazione con l’assistenza delle organizzazioni professionali (art. 23
della legge n. 11 del 1971, come modificato dall’art. 45 della I. n. 203
del 1982) consente la validità di accordi in deroga alle previsioni
legislative, con conseguente nullità delle parti in deroga se non c’è
l’assistenza (art. 58 della stessa legge) e sostituzione delle norme
violate alle clausole convenzionali (ex art. 1339 e 1419, secondo comma
cod. civ. (da ultimo, Cass. 4 giugno 2013, n. 14046).
Da ciò la l’inidoneità del richiamo alla disciplina suddetta per fame
discendere un obbligo di forma generalizzato e l’inidoneità del richiamo
anche rispetto all’unico contratto in deroga, se si considera che non si
fa valere la stipulazione in violazione di norme inderogabili della legge,
ma solo per un astratto vizio di forma. Per di più, invocando quella
forma legale come rilevante convenzionalmente, ai sensi dell’art. 1352
cod. civ., che disciplina la diversa ipotesi di forma convenzionalmente
prevista nell’ambito dell’autonomia negoziale.
Per escludere il rilievo generale dell’art. 1352 cod. civ., può aggiungersi
che lo stesso è invocato assumendo come forma preventivamente
8

primo del 1992 (doc. 2 e 2 bis) è un contratto ai sensi della legge n. 203

concordata proprio quella per la stipulazione dei contratti agrari in
deroga prevista solo nel contratto del maggio 1998 e, quindi, proprio in
quel contratto a forma vincolata a determinati fini, per la validità del
quale non può rilevare il generale 1352 cit.
In definitiva, le censure vanno rigettate.
4. La seconda questione è se nel documento (senza le aggiunte)

possa considerarsi esplicata la volontà e raggiunto l’accordo di

censura è presente nel primo, terzo, quarto motivo.
La corte di appello ha confermato la valutazione fatta dal giudice di
primo grado; in particolare, ha ritenuto sufficiente, per ritenere
raggiunto l’accordo, che nel doc. 6 vi fosse l’indicazione dell’elemento
che veniva modificato in aumento (il canone considerato
complessivamente) per gli anni dal 2002 al 2005.
4.1.Con il primo motivo, si deduce la violazione degli artt. 1321, 1325 e
1326 cod. civ. per aver la Corte di merito attribuito il valore di accordo
negoziale modificativo ad un documento sottoscritto dalle parti
contenente solo date e cifre, ritenendo tali elementi sufficienti e rilevanti
a manifestare la volontà delle parti.
Con il terzo motivo si deduce insufficiente e contraddittoria motivazione
nell’avere la Corte ritenuto che il doc. 6 contenesse la volontà di
concludere un accordo generale modificativo dei canoni e non fosse,
invece, la trascrizione di una delle tante trattative svolte.
Con il quarto motivo si deduce omessa e insufficiente motivazione sulla
circostanza che l’accordo del doc. 6 si riferiva a tutti i contratti, visto che
non si fa alcun riferimento alla pluralità di beni oggetto dei suddetti
contratti che l’accordo in argomento modificherebbe, ma solo a quelli di
“Po’ del vento”, atteso che la Corte di merito si è limitata ad affermare
che, riferendo l’accordo solo a quest’ultimo, la proroga riguarderebbe
solo questo.
4.2. I motivi sono inammissibili.
Rileva la incompletezza dei quesiti, nell’individuazione della

quaestio

facti, nei quali sono omessi i fatti rispetto ai quali vi sarebbe omessa o
insufficiente motivazione. Né alcun rilievo ha, secondo la giurisprudenza
consolidata della Corte di legittimità, che tali elementi (quali, il
9

aumentare i canoni complessivi dei precedenti contratti. La

comportamento successivo delle parti risultante dalle missive del 2004,
la mancata prova dell’esecuzione dell’accordo del 2002 prima
dell’azione; il riferimento all’aumento del canone per i beni di “Po’ del
vento” come dimostrazione che il doc. 6 ricapitolava lo stato delle
trattative) emergano confusamente nella parte esplicativa.
In mancanza di specifiche censure alla ricostruzione in fatto, finalizzate
al sindacato della completezza e non contraddittorietà della motivazione,

la diversa valutazione della parte con conseguente non sindacabilità nel
giudizio di legittimità.
5.Con il settimo motivo si deduce violazione dell’art. 2697 cod. civ.
Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui, a conclusione del
rigetto del motivo di appello volto a negare la conclusione di un accordo
modificativo generale, aggiunge che il conduttore non aveva fornito una
diversa ragionevole spiegazione.
Il motivo è inammissibile.
L’argomentazione censurata non ha una propria autonomia rispetto alla
decisione e, certamente, non ha comportato l’inversione dell’onere
probatorio. Si tratta, infatti, solo di una argomentazione aggiuntiva; a
sostegno della ragionevolezza della ricostruzione della volontà delle parti
effettuata in sentenza, si mette in luce la mancanza di una diversa
ragionevole spiegazione del doc. 6 offerta dal conduttore, essendosi lo
stesso limitato a sostenere il carattere di puntazione, pur in presenza di
importi precisi, seguiti dalla sua firma.
6. Con il nono motivo si deduce la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
sotto il profilo di ultrapetizione, per avere la corte di merito accertato
l’importo dei canoni dovuti mediante un accordo inteso ad attribuire
carattere fittizio all’importo previsto nei contratti scritti, senza che tale
accertamento fosse stato mai richiesto dalla società attrice.
Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente si limita a ripropone – senza specifiche censure alla
sentenza – un motivo di appello, rispetto al quale la corte di merito
aveva rilevato che la domanda di risoluzione per inadempimento ha
comportato l’accertamento incidentale sulla misura contrattualmente ed
effettivamente pattuita.

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residua solo la valutazione da parte del giudice alla quale si contrappone

7. Con l’ottavo motivo si deduce la violazione dell’art. 47 della legge n.
203 del 1982 e dell’art. 412 bis cod. proc. civ., censurando la decisione
impugnata, nella parte in cui concerne la domanda riconvenzionale
proposta dal conduttore, per non aver applicato l’art. 412 bis. cit.
La Corte di merito, confermando la statuizione del primo giudice, ha
ritenuto improponibile la domanda riconvenzionale avanzata dal
conduttore in ordine alle turbative poste in essere dal locatore.

«riservò di agire per le turbative» ha ritenuto che il tentativo non si
era svolto su tale oggetto; quindi ha argomentato nel senso della non
applicabilità alle controversie agrarie dell’art. 412 bis. cod. proc. civ.,
proprio del rito del lavoro.
7.1. La Corte di merito ha deciso in senso conforme alla costante
giurisprudenza di legittimità.
Anche di recente, si è sostenuto che in materia agraria la necessità del
preventivo esperimento del tentativo di conciliazione, secondo quanto
previsto dall’art. 46 della legge 3 maggio 1982, n. 203, configura una
condizione di proponibilità della domanda, la cui mancanza, rilevabile
anche d’ufficio nel corso del giudizio di merito, comporta la definizione
della causa con sentenza dichiarativa di improponibilità. Invece, nel
processo del lavoro, alla stregua di quanto stabilito dall’art. 412-bis cod.
proc. civ., l’esperimento del tentativo di conciliazione integra una
condizione di procedibilità e la sua mancanza una improcedibilità sui
generis,

avuto riguardo al regime della sua rilevabilità ed

all’iter

successivo a siffatto rilievo. Quindi, l’art. 412-bis cod. proc. civ., anche
se successivo all’anzidetto art. 46 (siccome introdotto dall’art. 39 del
d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80), prevedendo una disciplina peculiare del
processo del lavoro, non può trovare applicazione nel processo agrario, il
quale mantiene inalterata la propria diversa ed autonoma
regolamentazione positiva dettata dal citato art. 46. (Cass. 29 gennaio
2010, n. 2046).
Consegue il rigetto del motivo di ricorso.
8. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese, liquidate sulla base dei parametri vigenti di cui ai d.m. n. 140
del 2012, seguono la soccombenza.
11

Rilevato che nel tentativo di conciliazione esperito il conduttore si

P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE
rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della
società controricorrente, delle spese processuali del giudizio di
cassazione, che liquida in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per spese,

Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2014

Il consigliere estensore

oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

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