Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4447 del 21/02/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 21/02/2017, (ud. 23/11/2016, dep.21/02/2017),  n. 4447

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14476-2011 proposto da:

M.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE CARSO 23, presso lo studio dell’avvocato MARIA ROSARIA

DAMIZIA, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, C.F.

(OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e

difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici

domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI, 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1472/2010 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 28/12/2010 R.G.N. 772/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/11/2016 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito l’Avvocato DAMIZIA MARIA ROSARIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. M.M., direttore dei servizi generali ed amministrativi della scuola (DSGA), ha impugnato la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per giorni tre, irrogatagli dall’Ufficio scolastico regionale della Campania per avere il ricorrente omesso di accantonare le somme destinate all’erario, distratte per altri fini istituzionali. La domanda è stata respinta dal Tribunale di Cosenza, con sentenza confermata dalla Corte di appello di Catanzaro.

1.2. In sede di gravame, il M. aveva – tra l’altro – riproposto l’eccezione di incompetenza dell’Ufficio scolastico regionale della Campania, sollevata sul rilievo che il procedimento disciplinare era stato avviato in epoca successiva al trasferimento dell’appellante a San Demetrio Corone, facente parte dell’Ufficio scolastico regionale della Calabria, ed aveva contestato l’interpretazione ed applicazione dell’art. 90 C.C.N.L., punto 2, in ordine la decorrenza del termine per la contestazione disciplinare, sostenendo che l’Amministrazione aveva avuto piena conoscenza dei fatti già sin dalla prima relazione ispettiva (21.12.2006).

2. Tali censure sono state respinte dalla Corte di appello, sulla base – in sintesi – delle considerazioni che seguono.

– L’azione disciplinare era stata esercitata dall’ufficio competente, dovendo trovare applicazione il principio del locus commissi delicti, proprio della competenza territoriale penale, attesa l’analogia con la materia delle sanzioni disciplinari, mentre il diverso principio del tempus regit actum si riferisce alle regole procedimentali dell’iter amministrativo. Nel caso in cui un pubblico dipendente commetta fatti disciplinarmente rilevanti in un determinato luogo e successivamente muti la sua sede lavorativa, tale trasferimento non sposta la competenza territoriale dell’ufficio per i procedimenti disciplinari. Nel caso di specie, il procedimento era stato istruito dal direttore dell’Ufficio scolastico regionale della Campania, competente in relazione al luogo di commissione dei fatti.

– Non era stato violato l’art. 90 C.C.N.L. di comparto, atteso che la piena conoscenza della vicenda si era avuta con la notifica all’organo competente della relazione ispettiva finale; inoltre, l’unico termine rilevante era quello di cui all’art. 90 cit., comma 6 il quale stabilisce che il procedimento disciplinare deve concludersi entro 120 giorni dalla data di contestazione dell’addebito. Dall’esame della documentazione non poteva nemmeno ritenersi che le note 19 gennaio 2007 e 12 febbraio 2007 fossero ripetitive della prima relazione del 21 dicembre 2006, contenendo chiarimenti destinati a fare piena luce sull’intera vicenda e sui profili meno indagati.

– Quanto alla configurabilità dell’illecito disciplinare, dall’esame del D.P.R. n. 275 del 1999 (Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche) e del D.I. n. 44 del 2001 (Regolamento concernente le istruzioni generali sulla gestione amministrativo-contabile delle istituzioni scolastiche) era possibile evincere che tra i compiti specifici attribuiti alla figura professionale del DSGA rientrano la tenuta della contabilità, le registrazioni e il versamento delle somme dovute a titolo d’imposta erariale (Irpef) e di imposta regionale (Irap). L’omissione di tali adempimenti rendeva configurabile un’ipotesi di distrazione di fondi. Nè poteva valere la circostanza, richiamata dall’appellante, dell’esistenza di un dirigente scolastico, non essendo stato provato in giudizio che la distrazione fosse stata disposta in esecuzione di precise direttive del superiore.

– Con riguardo al merito delle contestazioni, gli addebiti erano stati provati in giudizio. Le ritenute erariali non erano state versate perchè non accantonate. L’autonomia di cui gode il DSGA non può arrivare sino a consentire la distrazione di somme da una voce all’altra. Il mancato accantonamento delle somme destinate l’estinzione di obbligazioni tributarie aveva esposto Amministrazione scolastica all’applicazione di interessi di mora da parte degli uffici competenti. Infine, l’appellante non aveva spiegato perchè la sanzione dovesse tenersi non congrua rispetto ai fatti contestati.

3. Per la cassazione di tale sentenza M.M. propone ricorso affidato a sette motivi, riconducibili a quattro ordini di censure. Resiste il MIUR con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con i primi due motivi si lamenta omessa o erronea interpretazione del D.M. n. 93 del 1999; della Circolare Ministeriale 187 del 1989; della Circolare Ministeriale n. 235 del 1999; del D.I. n. 44 del 2001, art. 1, comma 2; della nota esplicativa del MIUR del 22 aprile 2010, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè violazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1365, 1366 e 1370 c.c., in relazione all’art. 350 c.p.c., n. 3. La sentenza impugnata aveva omesso di esaminare – o comunque aveva erroneamente interpretato – le norme sui flussi di cassa e il contenuto delle circolari e dei decreti recanti i criteri e le regole per i pagamenti che le singole istituzioni scolastiche sono chiamate ad effettuare. L’autonomia di cui gode il DSGA non impedisce l’eventuale spostamento di fondi da una voce all’altra. La non arbitrarietà della scelta operata dal ricorrente trovava conferma anche nella comunicazione del 1 dicembre 2000, proveniente dall’Ufficio scolastico per la Lombardia, secondo cui tra le spese da onorare con precedenza assoluta rientravano gli stipendi dei supplenti, anche con possibilità di attingere ai fondi destinati al pagamento dell’Irap e dell’Irpef. Con il terzo motivo ci si duole di omessa, insufficiente, contraddittoria e illogica motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 per avere la Corte territoriale ritenuto obbligazione primaria quella tributaria, avente priorità su quella relativa al pagamento delle retribuzioni dei dipendenti.

2. Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 89, 90 e 92 C.C.N.L. comparto scuola, riguardanti l’elencazione degli obblighi del dipendente, le procedure e il codice disciplinare. La scelta del M. non poteva configurarsi come violazione degli obblighi del DSGA, essendo stata adottata per il buon funzionamento dell’amministrazione pubblica e nella piena convinzione che la stessa fosse conforme a specifiche disposizioni in materia. Lo spostamento di somme da una voce all’altra, operata non per profitto personale o per un errore di valutazione, trovava ragione nella carenza di fondi e nella priorità assegnata al pagamento degli stipendi. Non era comunque riscontrabile alcuna negligenza o imperizia nell’assolvimento dei compiti istituzionali. Il quinto motivo verte su vizio di motivazione, per avere la Corte di merito trascurato di considerare che le somme dovute a titolo di tributi erano state regolarmente iscritte in bilancio e contabilizzate; quindi, il comportamento addebitabile era circoscritto al mancato accantonamento di somme che sarebbero state versate ove i fondi fossero stati capienti.

3. Con il sesto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 90 C.C.N.L., commi 2 e 3, con riguardo all’inizio dell’azione disciplinare e al termine di decadenza per il suo esercizio. Dai documenti prodotti in giudizio era emerso che le circostanze contestate erano conosciute dall’Amministrazione sin dal 21 dicembre 2006, data della prima relazione ispettiva, per essere poi contestate oltre tre mesi dopo e dunque tardivamente rispetto al termine di 20 giorni previsto dall’art. 90, comma 2. In ogni caso, la contestazione era tardiva anche rispetto al 28 febbraio 2007, essendo pervenuta al ricorrente in data 23 marzo 2007.

4. Con l’ultimo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dei principi del tempus regit factum e del locus commissi delicti; violazione della L. n. 689 del 1981; del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 75 comma 3; violazione del D.P.R. n. 347 del 2000, del D.P.R. n. 347 del 2000. Il D.P.R. n. 347 del 2000 ha previsto l’articolazione del MIUR in uffici scolastici regionali definiti come autonomi centri di responsabilità amministrativa, con sede in ciascun capoluogo di regione; essi rappresentano articolazioni organizzative del Ministero, ognuna delle quali svolge le proprie funzioni nell’ambito territoriale di propria competenza. L’Ufficio scolastico regionale della Campania aveva violato i limiti della propria competenza territoriale, giacchè alla data di notificazione della contestazione di addebito (23 marzo 2007) il ricorrente già svolgeva la propria attività di DSGA presso un istituto scolastico rientrante nell’area di competenza territoriale dell’Ufficio scolastico regionale per la Calabria.

5. Il ricorso, in tutte le sue articolazioni, è infondato.

6. I primi tre motivi vertono sull’accertamento dei poteri (e degli obblighi) contabili e di gestione facenti capo al DSGA. La Corte d’appello ha fondato il decisum sull’interpretazione ed applicazione del D.I. n. 44 del 2001, osservando che, per i compiti attribuiti al DSGA, occorre fare riferimento all’art. 29, comma 50 tale decreto, il quale specifica le competenze relative ai servizi generali amministrativo-contabili, alla responsabilità del DSGA riguardo alla tenuta della contabilità e alle registrazioni destinate ai pagamenti delle ritenute erariali. La Corte ha altresì interpretato la disciplina contenuta nel D.P.R. 8 marzo 1999 n. 275, Regolamento recante norme in materia di autonomia dell’istituzioni scolastiche, ai sensi della L. 15 marzo 1997, n. 59, art. 21. Sulla scorta di tali fonti normative ha tratto il convincimento della violazione, ad opera del M., delle regole ivi previste in materia di accantonamenti contabili e adempimenti degli obblighi tributari.

6.1. Va premesso che i regolamenti, espressione di una potestà normativa attribuita all’Amministrazione, secondaria rispetto alla potestà legislativa, diretti a disciplinare in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, hanno carattere normativo all’ordinamento giuridico esistente (cfr. Cass. n. 5062 del 2007). La relativa interpretazione attiene al contenuto di un atto di normazione secondaria. Ne consegue che in relazione a tali atti non trovano applicazione i criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e ss.; che l’interpretazione data dal giudice del merito agli anzidetti accordi può essere denunciata in sede di legittimità a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione o falsa applicazione di norme di diritto; che la Corte regolatrice può sottoporre a diretto esame esegetico le relative norme in base ai criteri fissati dall’art. 12 preleggi per l’interpretazione delle leggi (Cass. n. 9171 del 2013).

6.2. Nessuno dei motivi di ricorso ha ad oggetto l’interpretazione delle fonti normative poste dalla Corte d’appello a fondamento del decisum, nè ha ad oggetto l’operazione di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta delineata da tali fonti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Del tutto inconferente (art. 366 c.p.c., n. 4) è la prospettata violazione dei canoni di ermeneutica negoziale di cui alla rubrica del secondo motivo, inidonea a devolvere a questa Corte la questione giuridica centrale del decisum.

6.3. Le censure formulate con i primi due motivi, in realtà, introducono questioni concernenti il contenuto di circolari e note esplicative di cui la Corte d’appello non fa menzione nel proprio argomentare. A prescindere dalla contraddittorietà della contestuale denuncia di omesso esame e di erronea interpretazione di tali atti unilaterali, deve rilevarsi la parziale novità – e dunque l’inammissibilità – di questioni di fatto di cui la Corte d’appello non fa menzione nella sentenza impugnata. Neppure risulta precisato da parte ricorrente – quanto meno per alcune di tali fonti – in quali termini e in quali fasi del giudizio le relative questioni di fatto sarebbero state introdotte.

6.4. A ciò aggiungasi che nel caso di denuncia, in sede di ricorso per cassazione, del vizio di omesso esame di fatti o atti ritenuti rilevanti ai fini del decidere (art. 360 c.p.c., n. 5), quale il mancato esame di una serie di circolari e note esplicative, il ricorrente deve indicare, nel rispetto le previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 non solo il fatto storico il cui esame sarebbe stato omesso e il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, nonchè il “come” e il “quando” tale fatto fu oggetto di discussione processuale tra le parti, ma altresì la sua “decisività”. Nel caso in esame, il ricorso tende a contrastare la ricostruzione giuridica fornita dalla Corte d’appello senza svolgere – come già detto – appropriate censure circa l’interpretazione delle fonti normative su cui la sentenza impugnata si fonda o la sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta delineata da tali fonti. Giova ricordare che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti.

6.5. Il terzo motivo verte su un mero passaggio argomentativo, privo di autonomia e decisività, svolto a corredo del principale argomento costituito dalla violazione degli obblighi di ordine contabile e amministrativo gravanti sul DSGA alla stregua delle fonti che ne contengono la disciplina primaria.

7. Il quarto e il quinto motivo denunciano violazione della normativa contrattuale in tema di sanzioni disciplinari. Non si contesta la congruità della sanzione, ma la stessa sussistenza di un’ipotesi di violazione disciplinarmente rilevante. Si assume che la valutazione relativa allo spostamento dei fondi da una voce all’altra, ove avvenuta senza profitto personale o errori di valutazione, non costituisce comportamento suscettibile di essere sanzionato, tanto più laddove, come nel caso di specie, le somme a titolo di tributi siano state regolarmente iscritte in bilancio e contabilizzate e il comportamento ascritto sia costituito esclusivamente dal mancato accantonamento di esse, da cui è dipeso il mancato pagamento.

7.1. Anche tali censure sono destituite di fondamento. Una volta ritenuto – alla stregua della ricostruzione di fatto e di diritto di cui alla sentenza impugnata – che l’odierno ricorrente aveva omesso adempimenti cui avrebbe dovuto provvedere, l’elemento soggettivo della colpa è insito nel compimento delle azioni o omissioni contrastanti con gli obblighi gravanti sul dipendente. La sentenza impugnata ha, tra l’altro, evidenziato che dal comportamento tenuto dal M. erano derivati danni per l’amministrazione scolastica, consistenti negli interessi di mora applicati dagli uffici tributari, circostanza ulteriormente confermativa della rilevanza disciplinare dell’inadempimento commesso dal ricorrente.

8. Il sesto motivo verte sulla tempestività della contestazione disciplinare. Premesso che la fattispecie in esame è regolata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, nel testo anteriore alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 150 del 2009, e dalle disposizioni contrattuali, va osservato che l’art. 90, comma 2 del CCNL comparto scuola 2002/2005 prevede, al comma 2, che “L’Amministrazione, salvo il caso del rimprovero verbale, non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del dipendente senza previa contestazione scritta dell’addebito – da effettuarsi entro 20 giorni da quando il soggetto competente per la contestazione, di cui al successivo art. 91, è venuto a conoscenza del fatto….” e, al comma 6, che “Il procedimento disciplinare deve concludersi entro 120 giorni dalla data di contestazione di addebito. Qualora non sia stato portato a termine entro tale data, il procedimento si estingue”. Tali disposizioni contrattuali non prevedono il carattere perentorio del termine iniziale del procedimento, ma solo di quello finale, di talchè è utilmente richiamabile la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, ove la contrattazione collettiva non riconosca il carattere perentorio del termine iniziale del procedimento, la sua inosservanza non comporta un vizio della sanzione finale, atteso che, in un assetto disciplinare contrattualizzato, gli effetti decadenziali possono verificarsi solo in presenza di una loro espressa previsione normativa o contrattuale (cfr. Cass. nn. 24529/15, 6091/2010, 5637/2009, 20654/2007).

8.1. Inoltre, poichè la ricostruzione del momento in cui la piena conoscenza dei fatti si è concretizzata in capo all’Amministrazione scolastica costituisce accertamento di fatto insindacabile nella presente sede di legittimità, è inammissibile la censura che tende a retrodatare, sulla base di una diversa ricostruzione fattuale, il dies a quo del termine ad un momento anteriore al 28 febbraio 2007.

8.2. Infine, è principio affermato da questa Corte che, ai fini della tempestività dell’avvio dell’azione disciplinare, occorre avere riguardo alla data in cui l’amministrazione datrice di lavoro esprime la propria valutazione in ordine alla rilevanza e consistenza disciplinare della notizia dei fatti rilevanti disciplinarmente e la consolida nell’atto di contestazione, assumendo rilievo l’eventuale ritardo nella comunicazione solo allorchè sia di entità tale da rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto di difesa da parte dell’incolpato (Cass. n. 16900 del 2016). Non rileva dunque il momento della ricezione della contestazione, ma quello dell’adozione – da parte della P.A. – dell’atto recante la contestazione dell’addebito disciplinare.

9. Il settimo motivo ha ad oggetto l’eccezione di incompetenza territoriale dell’Ufficio regionale scolastico della Campania, formulata dal ricorrente sul rilievo dell’intervenuto trasferimento della sua sede lavorativa all’atto della comunicazione della contestazione disciplinare.

9.1. Al riguardo, ritiene il Collegio che la competenza ad avviare e concludere il procedimento disciplinare sia dell’ufficio per i procedimenti disciplinari (u.p.d.) del luogo, ossia della sede lavorativa, dove il lavoratore prestava servizio quando i fatti, come conosciuti dall’Amministrazione, erano venuti ad evidenza disciplinare. Nell’ipotesi di trasferimento del lavoratore in altra sede lavorativa appartenente alla stessa Amministrazione, ancorchè gravante nella sfera di competenza di altro ufficio disciplinare, la competenza non muta, nè il procedimento si sposta nella diversa sede istruttoria.

9.2. Quindi, non rileva che al momento della comunicazione della contestazione disciplinare il M. si trovasse a lavorare presso un altro istituto, facente capo a un diverso Ufficio scolastico regionale. Il procedimento è stato correttamente avviato dall’Ufficio che era competente quando i fatti vennero portati a conoscenza dell’Amministrazione, assumendo evidenza disciplinare.

9.3. Per completezza, va osservato che il successivo D.Lgs. n. 150 del 2009 – non applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame – è intervenuto (art. 55 bis, comma 8) in argomento, prendendo in considerazione peraltro la sola ipotesi di trasferimento del dipendente presso “altra amministrazione”, ed ha previsto che “in caso di trasferimento del dipendente, a qualunque titolo, in un’altra amministrazione pubblica, il procedimento disciplinare è avviato o concluso o la sanzione è applicata presso quest’ultima. In tali casi i termini per la contestazione dell’addebito o per la conclusione del procedimento, se ancora pendenti, sono interrotti e riprendono a decorrere alla data del trasferimento “. E’ stato così precisato che spetta all’amministrazione di destinazione avviare o proseguire il procedimento disciplinare o adottare la sanzione, ma è stata altresì prevista una fase di sospensione e riattivazione del procedimento disciplinare successiva al trasferimento del dipendente, con connessa sospensione dei termini procedimentali.

10. In conclusione, il ricorso va respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come dispositivo.

PQM

La corte rigetta il ricorso e condanne il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 2500,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2017

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