Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4446 del 20/02/2020

Cassazione civile sez. II, 20/02/2020, (ud. 12/11/2019, dep. 20/02/2020), n.4446

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25878/2015 proposto da:

COMUNE di SAN MARCO EVANGELISTA (CE), in persona del Sindaco legale

rappresentante pro tempore C.G., rappresentato e difeso

dall’Avvocato SALVATORE COLETTA, ed elettivamente domiciliato presso

il suo studio in ROMA, VIALE G. MAZZINI 114/B;

– ricorrente –

contro

L.R., quale procuratore di se stesso, rappresentato e

difeso dall’Avvocato ALESSANDRO BIAMONTE, ed elettivamente

domiciliato presso lo studio di questo, in ROMA, VIA PISTOIA 6;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1532/2015 della CORTE d’APPELLO di NAPOLI,

pubblicata il 31/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/11/2019 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione, ritualmente notificato, il COMUNE di SAN MARCO EVANGELISTA (CE) conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere – Sezione Distaccata di Caserta, l’avv. L.R. per chiedere la revoca del Decreto Ingiuntivo n. 525 del 2006, emesso in favore di quest’ultimo dal Tribunale suddetto, a seguito di parere di congruità pronunciato dall’Ordine degli Avvocati di S. Maria Capua Vetere, in riferimento dell’incarico espletato dall’avv. L. in favore del Comune di San Marco Evangelista in un giudizio davanti al TAR Campania.

Nel ricorso per decreto ingiuntivo, il professionista precisava di aver stipulato con il Comune citato una convenzione di assistenza e consulenza legale, in base alla quale l’avv. L., a fronte di un compenso annuo di Lire 20.000.000, avrebbe difeso in giudizio l’Ente in tutte le cause aventi valore entro Lire 150.000.000, mentre per le cause eccedenti tale somma, il professionista avrebbe percepito un onorario a parte, come da specifica clausola.

Con l’atto di opposizione il Comune di San Marco Evangelista deduceva che le cause di valore indeterminabile rientrassero in quelle per le quali il professionista percepiva il compenso annuo. Nella fattispecie, il L. non avrebbe avuto diritto a ulteriori compensi. In ogni caso, il professionista avrebbe dovuto pattuire il compenso per le cause eccedenti. Il Comune chiedeva la risoluzione del rapporto intercorso tra le parti, per inadempimento del L., che non avrebbe rispettato il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto.

Con sentenza n. 699/2008 del 19.11.2008 il Tribunale accoglieva l’opposizione e revocava il decreto ingiuntivo opposto, compensando tra le parti le spese di lite. Il primo Giudice riteneva che la convenzione intercorsa tra le parti prevedesse un compenso fisso in favore del legale per le controversie inferiori a Lire 150.000.000 e un compenso a parte per le controversie superiori a tale valore e che, pertanto, nella specie, trattandosi di causa di valore indeterminabile, gli onorari dovuti al L. avrebbero dovuto essere concordati tra le parti mediante altro patto scritto.

Contro la sentenza proponeva appello il L., deducendo sia l’esistenza di un giudicato sul punto – in forza della sentenza n. 527/2007, emessa dal Tribunale in analoga vicenda con medesimo petitum e causa petendi e non impugnata -, sia che la sentenza di primo grado fosse erroneamente motivata, in quanto si doveva distinguere la convenzione tra le parti e il mandato ad agire nell’interesse dell’Ente. Con la convenzione le parti avevano inteso regolare i rapporti economici per i futuri e indeterminati mandati professionali: all’atto della sottoscrizione della convenzione le parti non potevano essere in grado di stabilire i giudizi che sarebbero stati intentati contro l’Ente, per cui si limitavano a concordare i criteri economici delle retribuzioni professionali sulla base di pregressi dati statistici, che vedevano l’Ente convenuto in giudizi di valore inferiore a Lire 150.000.000. L’appellante censurava la necessità della forma scritta, richiesta dal Giudice di primo grado; ed in ogni caso, la pattuizione scritta sussisteva: infatti, allorquando il Comune, nel conferire il mandato per le cause eccedenti il valore di Lire 150.000.000, stabiliva di non dover richiedere una pattuizione scritta, riteneva di applicare la normativa che regola la retribuzione del professionista.

Si costituiva in giudizio il Comune appellato, riproponendo alcune eccezioni di carattere preliminare, chiedendo il rigetto dell’appello.

Con sentenza n. 1532/2015, depositata in data 31.3.2015, la Corte d’appello di Napoli accoglieva l’appello confermando il decreto ingiuntivo opposto e dichiarando interamente compensate tra le parti le spese di lite del giudizio di primo grado, condannando l’appellato Comune alle spese di lite del grado d’appello. In particolare, la Corte di merito riteneva che si fosse formato il giudicato esterno, avendo il Tribunale di S. Maria Capua Vetere già pronunciato in altro giudizio con sentenza diventata definitiva.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione il Comune di San Marco Evangelista sulla base di quattro motivi; resiste l’Avv. L. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il Comune ricorrente, preliminarmente evidenzia che nei giudizi di opposizione tra le stesse parti si sono avute diverse decisioni tra loro di segno opposto: con le sentenze nn. 527/2015; 2742/2013; 1579/2104; 1415/2014; 4220/2012, la Corte d’Appello di Napoli accoglieva l’appello del Comune; mentre con le sentenze nn. 3100/2012; 3172/2013; 4288/2013 e 1542/2015 della stessa Corte e con quella impugnata erano accolte le ragioni del L..

1.1. – Con il primo motivo, il Comune lamenta la “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”. Secondo il ricorrente il contenzioso sottoposto al vaglio della Suprema Corte riguarda la determinazione del compenso dovuto al L. per aver svolto attività che esulerebbe dalla convenzione intercorsa con l’Ente, mentre la sentenza n. 572/2007 pronunciata dal medesimo Tribunale, ormai definitiva, avrebbe accertato l’obbligo di corrispondere le somme in base alla convenzione stessa. Pertanto, è inapplicabile l’art. 2909 c.c., data la differenza tra le due fattispecie di petitum e causa petendi.

1.2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”, poichè il L., in appello, aveva eccepito la formazione del giudicato esterno limitandosi a depositare la copia della sentenza del Tribunale di S. Maria Capua Vetere, senza riportare petitum e causa petendi.

1.3. – In ragione della loro connessione logico-giuridica, i motivi vanno congiutamente esaminati e decisi.

1.4. – Detti motivi non sono fondati.

1.5. – Con specifico riguardo all’ampio contenzioso inter pertes, questa Corte (Cass. n. 21007 del 2019) – a fronte dello speculare richiamo alla configurabilità (o meno) ed alla valenza dei dedotti giudicati esterni asseritamente formatisi in relazione a differenti decisioni di merito (onde evitare la sovrapposizione di divergenti e contraddittorie decisioni) – ha espressamente posto in rilievo come debba “riconoscersi che il giudicato sussista limitatamente alla decisione sulla questione pregiudiziale riguardante l’interpretazione della convenzione, in quanto costituente un punto fondamentale comune di ambedue le controversie (Cass. n. 11754 del 2018), e non anche in ordine alle ulteriori statuizioni della sentenza sulla validità dell’incarico, trattandosi di affermazioni in diritto riferite all’incarico oggetto di lite e non suscettibili di costituire giudicato su incarichi diversi” (cfr. Cass. n. 20381 del 2019, sempre relativa al medesimo contenzioso).

2.1. – Con il terzo motivo, il Comune deduce la “Violazione e omessa applicazione del R.D. n. 2440 del 1923, artt. 16 e 17, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia”, giacchè il L. non avrebbe avuto diritto al pagamento del compenso professionale data la mancanza di apposita convenzione scritta, prevista a pena di nullità. Inoltre, il Comune ricorrente evidenzia che la normativa in materia prevede l’impegno di spesa da assumere con preventiva deliberazione.

2.2. – Il motivo non è fondato.

2.3. – In entrambe le richiamate decisioni di legittimità inter partes (Cass. n. 20381 e n. 21007 del 2019) questa Corte ha rilevato di avere più volte affermato che “nel contratto di patrocinio della pubblica amministrazione, il requisito della forma scritta ad substantiam è soddisfatto con il rilascio al difensore della procura ai sensi dell’art. 83 c.p.c., atteso che l’esercizio della rappresentanza giudiziale tramite la redazione e la sottoscrizione dell’atto difensivo perfeziona, mediante l’incontro di volontà fra le parti, l’accordo contrattuale in forma scritta (Cass. n. 15454 del 2015, in motiv.; Cass. n. 1830 del 2018; conf., con riferimento alla procura generale, Cass. n. 3721 del 2015; Cass. n. 2266 del 2012; Cass. n. 13963 del 2006). In effetti, mentre la procura ad litem costituisce un negozio unilaterale con il quale il difensore viene investito del potere di rappresentare la parte in giudizio, il mandato sostanziale costituisce un negozio bilaterale (cosiddetto contratto di patrocinio) con il quale il professionista viene incaricato, secondo lo schema negoziale che è proprio del mandato, di svolgere la sua opera professionale in favore della parte: ne consegue, in particolare, che, ai fini della conclusione del contratto di patrocinio, non è indispensabile il rilascio di una procura ad litem, essendo questa necessaria solo per lo svolgimento dell’attività processuale, e che non è richiesta la forma scritta, vigendo per il mandato il principio di libertà di forma. La procura ad litem, tuttavia, quando sia stata conferita per iscritto dal cliente ai sensi dell’art. 83 c.p.c., ed è accettata dal professionista con il concreto esercizio della rappresentanza giudiziale tramite atto difensivo sottoscritto, perfeziona il contratto di patrocinio tra ente pubblico e professionista, del quale, infatti, sussistono tutti i requisiti necessari, vale a dire l’incontro di volontà tra ente pubblico e difensore, la funzione economico-sociale (causa) del negozio, l’oggetto nonchè la forma scritta, che, quale requisito proprio di tutti i contratti stipulati dalla P.A., risponde all’esigenza di identificarne il contenuto negoziale e di rendere possibili i controlli dell’autorità tutoria (Cass. n. 8500 del 2004; Cass. n. 2266 del 2012): specie se considera la particolare liquidità delle obbligazioni hinc et inde assunte, considerato che oggetto del contratto di patrocinio sono, da un lato, l’attività di difesa della parte, per sua natura non predeterminabile specificamente, e, dall’altro, il pagamento del compenso secondo la tariffa forense (Cass. n. 15454 del 2015, in motiv.). Non a caso, è stato segnatamente evidenziato che la nullità correlata alla mancata previsione della spesa e della sua copertura non può concernere anche le deliberazioni relative alla partecipazione degli Enti a controversie giudiziarie, sia perchè è incerta l’incidenza del relativo onere economico, condizionato alla soccombenza, e sia perchè, nel bilancio dell’Ente, è di norma presente una voce generale nella quale possono essere inserite le prevedibili spese di lite (Cass. n. 15454 del 2015, in motiv.; conf., Cass. n. 8646 del 1993; Cass. n. 3581 del 1998; Cass. n. 11859 del 1999; Cass. SU n. 11098 del 2002)”.

3.1. – Con il quarto motivo, il Comune lamenta la “Violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”, in quanto l’illegittimo frazionamento dei ricorsi da parte del L. avrebbe causato l’esborso di notevoli somme a carico del Comune, di tal che le spese di lite di primo grado dovevano essere poste a carico del L..

3.2. – Il motivo è infondato.

3.3. – La censura risulta del tutto generica, là dove la violazione del dovere di lealtà processuale rimane meramente asserita, ma non specificamente provata in riferimento alla dedotta illegittimità del frazionamento delle domande operato dal controricorrente.

Peraltro, nella specie, la superfetazione del contenzioso deriva non già da un unico frazionamento del credito in più richieste singole di pagamento, bensì dalla domanda di riconoscimento di diritti al pagamento del compenso professionale che non sorgevano contemporaneamente, ma al termine di ogni giudizio.

4. – Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresì la dichiarazione ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il Comune di San Marco Evangelista al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.500,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello quello del ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020

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