Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4443 del 11/02/2022

Cassazione civile sez. trib., 11/02/2022, (ud. 07/12/2021, dep. 11/02/2022), n.4443

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 5498/2013 R.G. proposto da:

S.A.L., rappresentato e difeso dall’Avv. Giovanni

Pattay e dall’Avv. Elisabetta Nardone, presso cui è domiciliato, in

Roma, in piazza Cola di Rienzo, n. 92;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, Direzione centrale, in persona del direttore

pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello

Stato, presso cui domicilia in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 23/12/12 della Commissione tributaria

regionale della Liguria, depositata il 6 luglio 2012 e non

notificata.

Lette le conclusioni del sostituto procuratore generale, Tommaso

Basile, depositate ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art.

23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre

2020, n. 176, con cui si chiede il rigetto del ricorso.

Udita la relazione del cons. Andreina Giudicepietro.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il sig. S.A.L. ricorre avverso l’Agenzia delle entrate con sei motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 23/12/12 della Commissione tributaria regionale della Liguria, depositata il 6 luglio 2012 e non notificata che, in controversia relativa alla impugnazione della cartella di pagamento n. 048200900043186 per vizi formali e di merito, ha rigettato l’appello del contribuente, confermando la sentenza di primo grado della Commissione tributaria provinciale di Genova.

2. La C.t.r. della Liguria ha ritenuto la pronuncia dei giudici di primo grado corretta nel dichiarare inammissibile il ricorso, in quanto le doglianze circa i vizi formali della cartella erano da rivolgere esclusivamente nei confronti del concessionario, non evocato in giudizio; secondo i giudici di appello altrettanto inammissibili erano le eccezioni relative all’applicazione delle sanzioni, poiché l’atto di accertamento, contenente l’irrogazione della sanzioni stesse, non era stato impugnato dal contribuente S..

3. A seguito del ricorso l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Il ricorso è stato fissato per la Camera di Consiglio del 23 settembre 2020, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Il ricorrente depositava memoria.

Con ordinanza del 23 settembre 2020 veniva disposto il rinvio a nuovo ruolo, per l’acquisizione del fascicolo d’ufficio dei precedenti gradi di merito, e successivamente il ricorso veniva nuovamente fissato per l’udienza pubblica del 7 dicembre 2021.

Il P.g., Tommaso Basile, ha fatto pervenire requisitoria scritta, con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo di ricorso il contribuente censura la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 10 e 18 nonché dell’art. 14 dello stesso D.Lgs., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Secondo il ricorrente, la C.t.r. della Liguria avrebbe violato le norme suddette, ritenendo l’inammissibilità del ricorso, non essendo stato convenuto in giudizio il concessionario, unico legittimato passivo per l’impugnazione relativa ai vizi formali della cartella esattoriale.

Il ricorrente sostiene che l’impugnazione della cartella nei confronti dell’Agenzia delle entrate è inammissibile soltanto in casi limitati, diversi da quello in esame, e che, comunque, il giudice, ove avesse ritenuto trattarsi di litisconsorzio necessario, avrebbe dovuto ordinare l’integrazione del contraddittorio.

1.2. Il motivo è fondato e va accolto.

Nel caso di specie, l’Agenzia delle entrate, nel controricorso, riporta che il contribuente aveva proposto ricorso avverso la cartella di pagamento per vizi propri della stessa cartella e per l’illegittimità delle sanzioni irrogategli.

Il contribuente, a sua volta, precisa che i motivi di ricorso attinenti ai vizi formali della cartella di pagamento erano relativi alla carenza motivazionale ed alla mancata indicazione del responsabile del procedimento; sostiene, inoltre, che, con la memoria depositata nel giudizio di primo grado D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 32, comma 2, a fronte delle contestazioni dell’Agenzia delle entrate, aveva ribadito, sia che la cartella era priva di idonea motivazione, meramente riproduttiva del ruolo e mancante dell’indicazione del funzionario incaricato del procedimento, sia che la sanzione applicata era illegittima sotto vari profili.

I giudici di appello, dopo aver richiamato la decisione di primo grado, che aveva rigettato il ricorso del contribuente per vizi propri della cartella di pagamento, ritendo che quest’ultima fosse sufficientemente motivata e regolarmente notificata, hanno dichiarato inammissibili i motivi di ricorso attinenti ai vizi formali della cartella esattoriale, non essendo stato evocato in giudizio il concessionario, quale unico responsabile dei vizi denunciati.

Tuttavia questa Corte, sebbene abbia rilevato, in diversa fattispecie, come sia inammissibile il ricorso proposto esclusivamente nei confronti dell’amministrazione, nel caso in cui l’impugnazione riguardi atti viziati da errori direttamente imputabili al concessionario (Cass. n. 5832/2011), ha anche evidenziato che sussiste la legittimazione passiva dell’ente impositore quando la cartella sia riproduttiva del ruolo ed il vizio sia riconducibile a quest’ultimo (vedi Cass. S.U. n. 11722/2010, che nel testo precisa come, essendo la cartella riproduttiva del ruolo, il vizio di motivazione sia imputabile all’ente impositore e non al concessionario; conf. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8329 del 29/04/2020, secondo cui “in caso di impugnazione della cartella esattoriale per vizio di motivazione, legittimato passivo non è il concessionario ma l’ente impositore, cui solamente è imputabile tale vizio, essendo la cartella riproduttiva del ruolo”).

Anche nel caso di vizi attinenti alla notifica della cartella di pagamento (che, comunque, nel caso di specie, la C.t.r. sembra esaminare come meramente “eventuali” e che non sono riportati nell’illustrazione del ricorso da parte del contribuente), si è detto che la legittimazione passiva spetta all’ente impositore, su cui incombe l’onere probatorio, al cui adempimento è funzionale l’eventuale chiamata in causa D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 23 del concessionario del servizio alla riscossione, perché provveda a produrre la documentazione in suo possesso (cfr. Cass. n. 22729/2016; vedi anche, più di recente, Cass. n. 10019/2018, secondo cui “in materia di impugnazione della cartella esattoriale, la tardività della notificazione della cartella non costituisce vizio proprio di questa, tale da legittimare in via esclusiva il concessionario a contraddire nel relativo giudizio. La legittimazione passiva spetta, pertanto, all’ente titolare del credito tributario e non già al concessionario, al quale, se è fatto destinatario dell’impugnazione, incombe l’onere di chiamare in giudizio l’ente predetto, se non vuole rispondere dell’esito della lite, non essendo il giudice tenuto a disporre d’ufficio l’integrazione del contraddittorio, in quanto non è configurabile nella specie un litisconsorzio necessario”).

Pertanto, nella fattispecie in oggetto, sussisteva la legittimazione passiva dell’ente creditore in relazione ai denunziati vizi della cartella di pagamento e la C.t.r. ha erroneamente dichiarato l’inammissibilità dei motivi di appello ad essi attinenti.

2.1. Con il secondo motivo, il ricorrente censura la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 19 e 27 nonché dell’art. 295 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Secondo il ricorrente, la C.t.r. ha errato nel ritenere il ricorso di primo grado inammissibile in relazione al fondamento della pretesa tributaria ed ai vizi sostanziali della cartella di pagamento per il fatto che l’avviso di accertamento era definitivo per non essere stato impugnato dal contribuente.

Deduce il ricorrente che l’impugnativa dell’avviso di accertamento sarebbe ancora pendente dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione, senza che vi sia stata una sentenza definitiva sul punto; sostiene, quindi, che, essendo il processo ancora in corso, il giudice di merito avrebbe dovuto sospendere il ricorso, in relazione all’art. 295 c.p.c., oppure esaminare in via incidentale la questione della tardività o meno del ricorso avverso l’avviso di accertamento.

2.2. Il motivo è fondato e va accolto.

Invero, come chiarito dall’Agenzia delle entrate, la Motortrade s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria, depositata il 20 aprile 2011, di reiezione dell’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva dichiarato inammissibile il ricorso per l’annullamento dell’avviso di accertamento con cui, relativamente all’anno 2005, era stato determinato il reddito della società e recuperate a tassazione le imposte non versate, oltre sanzioni e interessi.

Tale giudizio si è concluso con l’ordinanza n. 24305/2018, che ha cassato la sentenza del giudice di appello, con rinvio alla C.t.r. della Liguria per l’esame del ricorso ed, in particolare, della questione relativa ai vizi della notifica dell’atto impositivo.

Sul punto deve rilevarsi che l’obbligazione sanzionatoria discende dal rapporto di imposta, tanto che, ove dovesse venir meno quest’ultimo, cadrebbe la prima. Di conseguenza, l’eventuale annullamento dell’avviso di accertamento comporterebbe il venir meno della sanzione irrogata con quell’avviso, anche se l’impugnazione della società dovesse riguardare solo la parte relativa all’obbligazione tributaria.

Pertanto, il nesso tra i due giudizi, per potenziale giudicato esterno riflesso, nei limiti previsti dall’art. 1306 c.c. in caso di coobbligati solidali, esiste ed è regolato, in un primo momento, dall’art. 295 c.p.c. e, dopo la pronunzia di primo grado, dall’art. 337 c.p.c. (Sez. U., Sentenza n. 21763 del 29/07/2021, Rv. 662227 – 03; Sez. U, Sentenza n. 10027 del 19/06/2012, Rv. 623042 – 01; Sez. U, Sentenza n. 21348 del 30/11/2012, Rv. 624129 – 01; nel contenzioso tributario vedi: Sez. 5, Sentenza n. 16329 del 17/07/2014, Rv. 632247 – 01; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 17613 del 05/09/2016, Rv. 640959 – 01; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 23480 del 06/10/2017, Rv. 646407 – 01, in tal senso dovendosi rettificare in parte Sez. 5, Sentenza n. 16615 del 07/08/2015, Rv. 636825 – 01).

Nel caso di specie, in cui l’amministrazione finanziaria ha contestato al contribuente il concorso nella violazione tributaria della società in qualità di amministratore, senza imputargli una specifica condotta tesa al perseguimento di un proprio interesse personale utilizzando la struttura societaria come un mero strumento fittizio per conseguire un proprio vantaggio fiscale indebito, risulta pregiudiziale esaminare l’esito del giudizio di impugnazione dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società stessa.

Ciò in quanto l’irrogazione della sanzione nei confronti dell’amministratore, in qualità di coautore dell’illecito, dipende dall’accertamento della stessa sussistenza dell’illecito, come contestato nell’avviso di accertamento, oggetto di impugnazione da parte della società.

3.1. Con il terzo motivo di ricorso, il contribuente censura la violazione del D.L. n. 269 del 2003, art. 7 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Secondo il ricorrente, sulla base della suddetta normativa, la sanzione amministrativa, relativa al rapporto fiscale proprio della società, non poteva essere ascritta all’amministratore dopo l’entrata in vigore del D.L. n. 269 del 2003.

Con il quarto motivo di ricorso, il ricorrente censura la violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, comma 2, e art. 11 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Secondo il ricorrente, il giudice di merito non ha tenuto conto della norma anzidetta; nel caso di specie, infatti, non sarebbe stato accertato che il S. sia autore delle violazioni né che ne abbia tratto diretto vantaggio o che abbia agito con colpa.

Con il quinto motivo di ricorso, il ricorrente censura la violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Secondo il sig. S. nel caso di specie risulta del tutto incomprensibile il metodo di calcolo per l’irrogazione della sanzione ed il giudice non ha rideterminato la sanzione stessa.

Inoltre la sanzione per l’anno 2005 risulterebbe essere la semplice sottrazione tra il totale del cumulo materiale e la sanzione applicata negli atti relativi alle annualità precedenti.

Con il sesto motivo di ricorso il contribuente censura la violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 24, comma 1, e D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15, comma 1.

Secondo il ricorrente, essendo ancora pendente il giudizio instaurato dalla Motortrade s.r.l. nella persona del signor S.F. (legale rappresentante della società) avverso l’avviso di accertamento in esame, l’accertamento non può ritenersi definitivo e pertanto l’iscrizione a ruolo del totale è illegittima.

Tutti tali motivi rimangono assorbiti dall’accoglimento dei primi due, con il rinvio alla C.t.r. della Liguria, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbiti i rimanenti, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla C.t.r. della Liguria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2022

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