Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4442 del 21/02/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 21/02/2017, (ud. 22/11/2016, dep.21/02/2017),  n. 4442

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Giovanni – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10837-2011 proposto da:

ATAC S.P.A., c.f. (OMISSIS), quale incorporante di TRAMBUS S.P.A., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 23/A, presso lo studio degli

avvocati GIAMPIERO PROIA, MAURO PETRASSI, che la rappresentano e

difendono, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.F., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO FARANDA, che

lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1440/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 19/04/2011 R.G.N. 1469/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/11/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito l’Avvocato SILVESTRI MATTEO per delega verbale Avvocato PROIA

GIAMPIERO;

udito l’Avvocato FARANDA RICCARDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con sentenza 19 aprile 2010, la Corte d’appello di Roma rigettava l’appello proposto da ATAC (quale incorporante Trambus) s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che l’aveva condannata al pagamento, in favore del dipendente P.F., della somma di Euro 30.428,40 a titolo di differenze retributive per la riqualificazione del rapporto di formazione e lavoro nel periodo da marzo 2000 a marzo 2002 in termini di rapporto a tempo indeterminato e respinto la sua domanda riconvenzionale di ripetizione di quanto indebitamente versato al predetto per illegittima riduzione dell’orario di lavoro.

Premessa la sopravvenuta rinuncia di Trambus s.p.a. all’istanza di integrazione del contraddittorio nei confronti dell’incorporante ATAC s.p.a. per esserne manlevata dal pagamento di ogni somma spettante al lavoratore per il periodo precedente il 18 dicembre 2000, la Corte territoriale ribadiva la correttezza del rigetto dal primo giudice dell’istanza di sospensione del giudizio, avente ad oggetto il quantum della controversia, fino alla definizione di quello, già pendente in grado di appello, sull’an debeatur, in presenza di una pregiudizialità soltanto logica e non anche in senso tecnico-giuridico.

Essa escludeva poi la pertinenza al giudizio della censura di erroneo riconoscimento dal Tribunale, quale conseguenza dell’illegittimità del contratto di formazione e lavoro e della sua conversione in rapporto a tempo indeterminato, della percezione dell’ERS (Elemento di Riordino del Sistema Retributivo), istituito con accordo aziendale dell’11 luglio 2000 e limitato ai dipendenti all’epoca a tempo indeterminato (come non invece P.F.), in quanto oggetto,della pronuncia sull’an e pertanto di diverso giudizio.

Infine, la Corte capitolina confermava il rigetto della domanda riconvenzionale datoriale sulla duplice ratio: a) della sua formulazione ambigua (non essendo chiaro se intesa alla restituzione di due ore di retribuzione ordinaria lavorate in meno rispetto alle trentanove settimanali previste dalla contrattazione collettiva nazionale ovvero di due ore di straordinario lavorate in più rispetto alle trentasette settimanali previste dalla contrattazione aziendale); b) dell’insufficiente richiamo, nella censura dell’applicazione alla conversione del rapporto tra le parti in lavoro a tempo indeterminato di un orario di lavoro settimanale di trentasette ore, di una sentenza di legittimità (Cass. 8 luglio 2004, n. 12661) che aveva ritenuto nulla la relativa norma di contrattazione collettiva perchè in contrasto con il D.L. n. 702 del 1978, art. 5 ter (conv. in L. n. 1 del 1979), senza alcuna spiegazione della sua persistente applicabilità, nonostante la successiva scrutinata evoluzione normativa, ignorata dalla società datrice, oltre che per la non univocità dell’insegnamento giurisprudenziale citato, essendovene altro contrario preferito.

Con atto notificato il 19 aprile 2011, ATAC s.p.a. ricorre per cassazione con due motivi, cui resiste il lavoratore con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 295 c.p.c., art. 337 c.p.c., comma 2, artt. 113 e 277 c.p.c. e art. 1321 c.c. e art. 1362 c.c. e ss., in relazione all’accordo collettivo aziendale 11 luglio 2000 e al verbale di accordo 24 marzo 2005, nonchè vizio di motivazione su punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per la non disposta sospensione (in quanto necessaria o quanto meno opportuna) del giudizio in attesa della definizione di quello sull’an debeatur, sul quale interamente fondato, con motivazione pure contraddittoria laddove la Corte territoriale non aveva deciso sulla contestata spettanza dell’ERS sul rilievo della pertinenza (non a quello de quo, ma) al giudizio sull’an, così pure violando l’obbligo di decisione su tutte le domande proposte e comunque i canoni di ermeneutica contrattuale denunciati, in riferimento ai suindicati accordi sindacali, nel riconoscimento al lavoratore del suddetto emolumento, non spettantegli in quanto riservato, con disposizione collettiva di stretta interpretazione, ai soli dipendenti formalmente assunti con contratto di lavoro a tempo determinato alla data dell’11 luglio 2000.

Con il secondo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 113 c.p.c., D.L. n. 702 del 1978, art. 5ter conv. in L. n. 1 del 1979, del ccnl 23 luglio 1976, dell’accordo collettivo nazionale 12 luglio 1985 e del ccnl 25 luglio 1997 di settore, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per non corretta interpretazione della domanda riconvenzionale di ripetizione delle somme corrisposte a titolo di straordinario non dovuto per prestazioni lavorative eccedenti le 37 ore ma entro le 39 ore settimanali, in quanto le prime previste da contrattazione collettiva aziendale su materia non delegata da quella nazionale, in quanto riguardante la disciplina dell’orario di lavoro di competenza esclusiva della seconda: come previsto dall’art. 5ter D.L. cit., ben applicabile ratione temporis, sulla base anche della legislazione di riforma delle aziende municipalizzate e come ritenuto da giurisprudenza di legittimità pure successiva a Cass. 12661/2004.

Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 295 c.p.c., art. 337 c.p.c., comma 2, artt. 113 e 277 c.p.c. e art. 1321 c.c., art. 1362 c.c. e ss., in relazione all’accordo collettivo aziendale 11 luglio 2000 e al verbale di accordo 24 marzo 2005, nonchè vizio di motivazione su punto decisivo della controversia, per non disposta sospensione del giudizio in attesa della definizione di quello sull’an debeatur, con motivazione pure contraddittoria laddove non deciso sulla contestata spettanza dell’ERS, è infondato.

La Corte territoriale ha, infatti, correttamente escluso la ricorrenza di un’ipotesi di sospensione necessaria, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., nel caso, come appunto quello di specie, di contemporanea pendenza davanti a due giudici diversi del giudizio sull’an debeatur e di quello sul quantum.

Poichè tra essi sussiste un rapporto di pregiudizialità solamente in senso logico, non anche in senso tecnico-giuridico: essendo eventualmente applicabile l’art. 337 c.p.c., comma 2, il quale, in caso di impugnazione di una sentenza la cui autorità sia stata invocata in un separato processo, prevede soltanto la possibilità della sospensione facoltativa di tale processo; tenuto altresì conto del fatto che, a norma dell’art. 336 c.p.c., comma 2, la riforma o la cassazione della sentenza sull’an debeatur determina l’automatica caducazione della sentenza sul quantum, anche se su quest’ultima si sia formato un giudicato apparente, con conseguente esclusione del conflitto di giudicati (Cass. 3 maggio 2007, n. 10185; Cass. 14 febbraio 2013, n. 3656: con specifico riferimento all’inammissibilità del ricorso per cassazione avverso la sentenza sul quantum, in caso di rigetto del ricorso per cassazione avverso la riforma in appello della sentenza non definitiva di primo grado, che aveva pronunciato positivamente sull’an debeatur, comportando la caducazione della prima).

E la Corte capitolina ha ben giustificato, con argomentazione adeguata (all’ultima parte del quarto capoverso di pg. 3 della sentenza), la sospensione negata ai sensi dell’art. 337 c.p.c., comma 2, di natura facoltativa e pertanto nella discrezionalità del giudice d’appello.

Non paiono, infine, pertinenti le ulteriori censure, posto che la Corte territoriale non ha contravvenuto al principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (neppure correttamente denunciato quale error in procedendo per violazione dell’art. 112 c.p.c.), per la devoluzione ad essa del giudizio sulla determinazione quantitativa del diritto all’ERS (riconosciuto nel diverso giudizio sull’an debeatur, solo logicamente pregiudicante e senza alcuna contraddizione motiva, proprio per la diversità di causa petendi e petitum dei due giudizi). Essa ha anzi interamente assolto alla pronuncia richiestale, senza alcun esame (in quanto esplicitamente ritenuto non riproponibile in giudizio diverso da quello sull’an, di sua esclusiva pertinenza, quivi essendone stata accertata la spettanza: così al primo capoverso di pg. 4 della sentenza) della normativa collettiva di riferimento, pertanto denunciata in modo inconferente.

Il secondo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 113 c.p.c., D.L. n. 702 del 1978, art. 5ter conv. in L. n. 1 del 1979, del ccnl 23 luglio 1976, dell’accordo collettivo nazionale 12 luglio 1985 e del ccnl 25 luglio 1997 di settore, per non corretta interpretazione della domanda datoriale in via riconvenzionale di ripetizione di somme, è infondato.

Occorre innanzi tutto premettere la mancata confutazione della prima ratio decidendi di ambigua formulazione della domanda riconvenzionale (se di restituzione di erogazione di retribuzione ordinaria per le due ore settimanali lavorate in meno ovvero di compenso per lavoro straordinario per le due lavorate in più rispetto alle trentasette previste dalla contrattazione aziendale: con evidente differenza di causa petendi, comportante diversità di accertamento), per la tautologica ri-affermazione delle conclusioni del ricorso introduttivo di “chiarissimo tenore letterale” (così al primo capoverso di pg. 32 del ricorso). E ciò comporta l’inammissibilità del mezzo, per la formazione, attesa l’autonomia di ognuna della distinte rationes decidendi, del giudicato su quella non censurata (Cass. s.u. 29 marzo 2013, n. 7931; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2108; Cass. 3 novembre 2011, n. 22753).

Ma occorre pure evidenziare la generica confutazione della seconda, per omessa contestazione dell’affermazione della mancata deduzione della persistente applicabilità, alla fattispecie in esame del D.L. n. 702 del 1978, art. 5ter conv. in L. n. 1 del 1979 (al penultimo capoverso di pg. 5 della sentenza). Anch’essa costituisce ragione di inammissibilità del mezzo, per la violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che ne esige l’illustrazione, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; Cass. 6 luglio 2007, n. 15952).

Nel merito, è consolidato il principio in materia, secondo cui, nel rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri, deve escludersi, in relazione alle disposizioni previste dal R.D.L. 15 marzo 1923, n. 692, art. 5 e dal R.D.L. 19 ottobre 1923, n. 2328, art. 3 (che prevedono una maggiorazione pari al 10% della retribuzione per la prestazione di lavoro straordinario), l’illegittimità degli accordi aziendali 23 giugno 1983 e 28 luglio 1988, nella parte in cui prevedono la riduzione a trentasette ore della durata della prestazione lavorativa settimanale, rimanendo fermo il riferimento all’orario previgente, determinato in trentanove settimanali dal c.c.n.l., ai fini retributivi (e, in particolare, per la determinazione della quota oraria della retribuzione, rilevante anche per il computo del compenso per lavoro straordinario), in quanto la difformità fra l’orario rilevante ai fini normativi e retributivi e la durata della prestazione effettivamente richiesta consegue non ad una costruzione arbitraria o solo fittizia, ma alla imposizione di determinati limiti, effettivamente voluti dalle parti, ad una pattuizione di maggior favore per i lavoratori: ossia nella riduzione della prestazione lavorativa, mediante la riduzione dell’orario di lavoro, a fronte di una situazione normativa che non consentiva un incremento retributivo, neppure limitato alle sole prestazioni straordinarie, in virtù del divieto di deroghe migliorative stabilito, per gli accordi aziendali, dal D.L. n. 702 del 1978, art. 5ter introdotto dalla Legge di conversione 8 gennaio 1979, n. 1, e vigente all’epoca della stipula dei suddetti accordi (Cass. 17 marzo 2014, n. 6068; Cass. 22 luglio 2002, n. 10710).

Sicchè, non rilevano nel caso di specie le sentenze citate dalla ricorrente (oltre a Cass. 8 luglio 2004, n. 12661: Cass. 1 aprile 2008, n. 8423; Cass. 27 aprile 2006, n. 9614), siccome riguardanti profili diversi da quello in discussione.

Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso e la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza, con distrazione al difensore antistatario secondo la sua richiesta; senza condanna risarcitoria, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 2, richiesta dal controricorrente in memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., in difetto di allegazione di alcun danno (Cass. 27 ottobre 2015, n. 21798; Cass. s.u. 20 aprile 2004, n. 7583).

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso e condanna ATAC s.p.a. alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15 % e accessori di legge, con distrazione al difensore antistatario. (Avv. Faranda Riccardo).

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2017

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