Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4440 del 25/02/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 4440 Anno 2014
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: ROSSETTI MARCO

SENTENZA

sul ricorso 10939-2008 proposto da:
REGIONE LAZIO, in persona del Presidente in carica,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI
12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la
rappresenta e difende per legge;
– ricorrente contro

FRATTARELLI MARIA PAOLA, elettivamente domiciliata in
ROMA, V.LE G. MAZZINI 114-A, presso lo studio
dell’avvocato CALISTRO FEDELE, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;

1

Data pubblicazione: 25/02/2014

- controricorrente

avverso la sentenza n. 5057/2007 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 03/12/2007 R.G.N.
4694/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

ROSSETTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per
l’inammissibilita’ del ricorso.

2

udienza del 17/12/2013 dal Consigliere Dott. MARCO

R.G.N. 10939/08
Udienza del 17 dicembre 2013

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il 21 novembre 1996 la sig.a Maria Paola Frattarelli cadde nel discendere
alcuni gradini all’interno dell’immobile sito in Roma, via Marcantonio
Colonna n. 27, detenuto dalla Regione Lazio.
Assumendo di avere patito danni alla persona in conseguenza della caduta,

colposamente creato o lasciato sussistere una insidia, la sig.a Maria Pia
Frattarelli nel 2000 convenne la suddetta amministrazione dinanzi al
Tribunale di Roma, chiedendone la condanna al risarcimento del danno.

2. Il Tribunale di Roma con sentenza 31.1.2005 n. 7377 accolse la domanda
e condannò la Regione Lazio al pagamento in favore dell’attrice della
somma di euro 31.756,49, oltre accessori.

3. La Corte d’appello di Roma, adìta dalla parte soccombente, con sentenza
3.12.2007 n. 5057 rigettò il gravame e condannò l’appellante alle spese del
Qoi

grado.
Tale sentenza viene ora impugnata per cassazione dalla Regione Lazio, sulla
base di tre motivi.
La sig.a Maria Pia Frattarelli ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Il primo motivo di ricorso.
4.1. Col primo motivo di ricorso la Regione lamenta – ai sensi dell’art. 360,
n. 4, c.p.c. – la nullità del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c.
Espone, al riguardo, di avere impugnato, con l’atto d’appello, la decisione di
primo grado nella parte in cui aveva prestato fede alle deposizioni di due
testimoni che erano tra loro contraddittorie ed inverosimili. La Corte
d’appello, tuttavia, non aveva esaminato tali doglianze, limitandosi ad
affermare tautologicamente che le deposizioni raccolte non erano
contraddittorie.

4.2. Il motivo è inammissibile.

pagina 3

e che questa fosse ascrivibile a responsabilità della Regione, per avere

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Udienza del 17 dicembre 2013

La Corte d’appello, infatti, non ha affatto omesso di decidere sul motivo
d’appello concernente la valutazione delle prove compiuta dal primo giudice:
l’ha deciso, e decidendolo ha ritenuto che correttamente quel giudice avesse
giudicato attendibili le testimonianze raccolte nel corso dell’istruttoria.
Esclusa la sussistenza d’una omessa pronuncia, deve rilevarsi come la

intrinseca attendibilità dei testimoni, e quindi chieda a questa Corte una
sostanziale rivalutazione delle prove: richiesta, come ognun sa,
inammissibile nella presente sede.

2. Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Col secondo motivo di ricorso, formulato in via subordinata al rigetto
del primo, la Regione lamenta – ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c. – la nullità
del procedimento per violazione dell’art. 132 c.p.c..
Espone, al riguardo, che il giudice di secondo grado ha omesso di motivare
in merito al motivo d’appello col quale la Regione lamentava l’inattendibilità
dei testimoni interrogati nel corso dell’istruttoria.
Precisa che l’obbligo di motivazione non può ritenersi soddisfatto dalla
scarna sintassi adottata dalla Corte d’appello di Roma, la quale si limitò ad
affermare che “non appaiono sostanzialmente contraddittorie [le deposizioni
raccolte] in quanto [i testimoni] hanno visto cadere” l’attrice.

2.2. Il motivo è manifestamente infondato.
A prescindere dal fatto che già il passo appena trascritto sarebbe stato
sufficiente ad assolvere l’onere della motivazione, v’è da aggiungere che la
Corte d’appello non si è comunque limitata a spiegare la propria decisione
con le parole sopra riportate, ma ha altresì riassunto il contenuto delle due
deposizioni testimoniali raccolte, concludendo che esse gli sono apparse
“chiare e non contrastanti” (così la sentenza impugnata, pp. 4-5).
La motivazione dunque esiste e non è apparente.

3. Il terzo motivo di ricorso.

(‘Y

ricorrente alle pagg. 4-8 del ricorso formuli una serie di considerazioni sulla

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Udienza del 17 dicembre 2013

3.1. Col terzo motivo di ricorso, formulato in via subordinata al rigetto degli
altri due, la Regione lamenta – ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. – il vizio di
motivazione.
Espone, al riguardo, quattro circostanze o gruppi di circostanze [pp. 10-12
del ricorso, lettere (a)-(d)] che ad avviso della ricorrente dimostrerebbero

testimonianze raccolte, unica fonte di prova dei fatti dedotti dall’attrice.

3.2. Il motivo è tanto inammissibile quanto infondato.
E’ inammissibile perché non concluso dalla “chiara indicazione del fatto
controverso” o momento di sintesi, prescritto dall’art. 366 bis c.p.c. (inserito
nel codice dall’art. 6 d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, e successivamente
abrogato dall’art. 47, comma 1, lettera (d), della I. 18 giugno 2009, n. 69).
Tale norma è tuttora applicabile, benché abrogata, a tutte le impugnazioni
proposte contro sentenze depositate dopo il 2.3.2006 (data di entrata in
vigore della suddetta disposizione) e prima del 4.7.2009 (data della sua
abrogazione), per effetto della previsione di cui all’art. 58, comma 5, della
suddetta I. 69/09, ove si stabilisce che l’abrogazione vale per le controversie
nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione è stato
pubblicato successivamente alla data di entrata in vigore della legge
medesima.
Il motivo di ricorso, tuttavia, sarebbe comunque infondato, in quanto esso
non prospetta alcuno dei tradizionali vizi di motivazione indicati dall’art. 360
n. 5 c.p.c. (mancanza, illogicità, contraddittorietà), ma chiede
semplicemente una valutazione del materiale istruttorio diversa da quella
compiuta dal giudice di merito.

4. Il quarto motivo di ricorso.
4.1. Col quarto motivo di ricorso la Regione lamenta – ai sensi dell’art. 360,
n. 5, c.p.c. – il vizio di motivazione.
Espone, al riguardo, che la Corte avrebbe trascurato di considerare come la
insidia che causò la caduta dell’attrice, secondo quanto riferito dai testimoni,

mi

tanto l’assenza di colpa dell’ente convenuto, quanto l’inverosimiglianza delle

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Udienza del 17 dicembre 2013

fosse ben visibile, e quindi poteva essere evitata con l’uso dell’ordinaria
diligenza da parte della vittima.

4.2. Anche questo motivo è inammissibile, per tre concorrenti ragioni:
– sia perché anch’esso privo del “momento di sintesi” prescritto dall’art. 366

§ 3.2);
– sia perché l’errore denunciato costituirebbe non un vizio di motivazione,
ma una violazione di legge, con riferimento all’art. 1227, comma 1, c.c.;
– sia, infine, perché non coglie la ratio decidendi della sentenza d’appello. La
Corte, infatti, non ha affatto escluso – come invece pretenderebbe di farle
dire la ricorrente – che la vittima non fosse tenuta a prestare la normale
diligenza nel percorrere la scala ove cadde, ma ha affermato una cosa ben
diversa: e cioè che il cedimento del gradino sotto il peso d’una persona era
evento imprevedibile: affermazione ovviamente non illogica, né
contraddittoria.

5. Le spese.
Le spese dei giudizio di legittimità varino poste 5 carico della ricerrénte, al
sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c..
P.q.m.
la Corte di cassazione:
-) rigetta il ricorso;
-) condanna la Regione Lazio alla rifusione nei confronti della sig.a Maria
Paola Frattarelli delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano
in euro 2.700 (di cui 200 per spese).
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile
della Corte di cassazione, addì 17 dicembre 2013.

bis c.p.c., secondo quanto indicato con riferimento al terzo motivo (supra,

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