Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4440 del 24/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 24/02/2010, (ud. 27/01/2010, dep. 24/02/2010), n.4440

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21536/2005 proposto da:

P.L. e L.L., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA NOMENTANA 263 presso lo studio dell’Avvocato MATTIA

MICHELANGELO, rappresentati e difesi dall’Avvocato TADDEO LUIGI

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 112/2004 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di NAPOLI, depositata il 11/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/01/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE BOGNANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con separati ricorsi alla commissione tributaria provinciale di Napoli P.L. e L.L. proponevano opposizione avverso altrettanti avvisi di contestazione e irrogazione di sanzioni, che erano stati notificati a cura dell’ufficio provinciale Iva di quella città alla società Dasbo Carni srl. e a loro stessi, nella rispettiva qualità di socio il primo ed amministratore il secondo sino al 2.9.1993, e ciò relativamente a quell’anno d’imposta. Essi esponevano che gli atti impositivi erano carenti di motivazione, ed inoltre nel merito infondati, giacchè qualunque fatto non poteva essere loro attribuito; perciò chiedevano l’annullamento di quegli avvisi.

Instauratosi il contraddittorio, l’ufficio IVA eccepiva l’infondatezza dei ricorsi introduttivi, in quanto gli elenchi riepilogativi degli acquisti intracomunitari erano stati presentati con ritardo in data 29.4.1994, e la contabilità era stata tenuta in modo irregolare, posto che le fatture attive e passive non erano state conservate; perciò chiedeva il rigetto dell’impugnativa.

Quella commissione, riuniti i ricorsi, li rigettava entrambi.

Avverso la relativa decisione i contribuenti proponevano appello, cui l’agenzia delle entrate resisteva con controdeduzioni, dinanzi alla commissione tributaria regionale della Campania, la quale ha rigettato il gravame con sentenza n. n. 112 del 2004, osservando che, data la ristretta base delle partecipazioni, per cui i soci erano solo due, e cioè P. e L., questi anche amministratore sino al mese di settembre 1993, allora le sanzioni non potevano non fare capo anche a loro come autori delle violazioni, anche se tuttavia la loro posizione veniva temperata dal fatto che si configurava comunque la responsabilità solidale della società contribuente per le infrazioni commesse da loro, anche perchè gli interessati non avevano fornito alcuna prova circa il loro assunto.

Avverso questa pronuncia P. e L. hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

Il Ministero dell’economia e delle finanze e l’agenzia delle entrate hanno resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Col primo motivo i ricorrenti deducono violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, in quanto la commissione tributaria regionale non ha considerato che la notifica degli avvisi andava effettuata solamente nei confronti della società Dasbo Carni, che era la contribuente, e non invece dei soci, che erano carenti di legittimazione passiva.

Il motivo è infondato.

Si tratta di applicazione di sanzioni, per le quali l’ufficio ben poteva pretenderne il pagamento da parte del socio e dell’amministratore in via solidale.

2) Col secondo motivo i ricorrenti denunziano violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, giacchè la CTR non ha considerato che l’ufficio si era avvalso soltanto degli elementi acquisiti dalla Guardia di finanza, e che non avevano trovato alcun riscontro.

La censura è piuttosto generica, anche se tuttavia va rilevato che il giudice di seconda istanza ha messo in rilievo che le deduzioni degli appellanti erano del tutto sfornite di prova, e tanto basta per ritenere il loro assunto inattendibile.

Sul punto perciò la sentenza impugnata risulta motivata in modo giuridicamente corretto.

3)Col terzo motivo i ricorrenti lamentano violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 472 del 1997, art. 2, comma 2, e art. 11, comma 1, poichè il giudice di appello non ha considerato che la nuova disciplina introdotta con la novella suindicata non poteva trovare applicazione retroattiva nel caso in esame, dal momento che le sanzioni non potevano gravare sugli autori delle violazioni, ma soltanto sulla contribuente società. Inoltre i ricorrenti non avevano alcuna qualità di amministratore all’epoca dei fatti, atteso che P. aveva cessato già nel 1993, mentre l’infrazione sarebbe stata commessa nel mese di marzo 1994.

La doglianza è inammissibile, trattandosi di censura nuova, in quanto non dedotta nel precedente grado, come rilevato anche dall’esame diretto del ricorso in appello, ed inoltre – “ad abundantiam” – non ha pregio.

Invero in tema di sanzioni amministrative per violazione delle norme tributarie, il c.d. principio di personalizzazione della sanzione, introdotto dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, artt. 2 ed 11, – in virtù del quale le persone fisiche che hanno la rappresentanza di un soggetto passivo d’imposta o di un inadempiente all’obbligo tributario sono divenute direttamente responsabili delle sanzioni connesse alle violazioni delle norme (formali e sostanziali) tributarie commesse ad opera e/o nell’interesse della parte rappresentata (legalmente e/o negozialmente) e/o amministrata, mentre tale parte è obbligata al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata – si applica, ai sensi dell’art. 27 del medesimo D.Lgs., alle sole violazioni commesse dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina. Invece quelle commesse in epoca precedente continuano ad essere riferite alla società, all’associazione o all’ente, con permanenza della responsabilità solidale della persona fisica prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 98, senza che possa trovare applicazione il principio del “favor rei”, in quanto l’abrogazione della disciplina previgente non ha avuto alcun effetto sulla norma incriminatrice (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 5714 del 12/03/2007, n. 17223 del 2006, n. 18041 del 2005).

Ne deriva che il ricorso va rigettato.

Quanto alle spese di questo giudizio, esse seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE Rigetta il ricorso, e condanna i ricorrenti in solido al rimborso delle spese a favore dei controricorrenti, e che liquida in complessivi Euro 1.700,00 (millesettecento/00), di cui Euro 200,00 per esborsi, ed Euro 1.500,00 per onorario, oltre a quelle generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2010

 

 

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