Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4440 del 21/02/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 21/02/2017, (ud. 15/11/2016, dep.21/02/2017),  n. 4440

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2937/2013 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS) in persona del suo Presidente e lecale rappresentante pro

tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A.

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA N. 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli

avvocati LELIO MARITATO, ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, giusta

delega in atti;

– ricorrenti –

contro

C.A.P., c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA DELLA LIBERIA 13, presso lo studio dell’avvocato

AGOSTINO GESSINI, che lo rappresenta e difende unitamente agli

avvocati ALBERTO LEONE, MONICA BELTRAMO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

EQUITALIA NORD S.P.A. (GIA’ EQUITALIA NOMOS S.P.A.);

– intimata –

avverso la sentenza n. 903/2012 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 18/07/2012 R.G.N. 1872/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/11/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;

udito l’Avvocato MARITATO LELIO;

udito l’Avvocato GESSINI AGOSTINO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

Con sentenza depositata il 18.7.2012, la Corte d’appello di Torino confermava la sentenza di primo grado che aveva accolto l’opposizione proposta da C.A.P. avverso la cartella esattoriale con cui gli era stato ingiunto il pagamento di contributi dovuti alla gestione commercianti, pretesi in relazione alla sua duplice veste di amministratore di C. s.r.l. e soggetto che prestava la propria opera in azienda.

La Corte, per quanto qui rileva, riteneva che l’istruttoria espletata non consentisse di considerare raggiunta la prova in ordine alla partecipazione personale dell’assicurato all’attività aziendale con carattere di abitualità e prevalenza.

Contro tale pronuncia ricorre l’INPS con un unico motivo di censura. Resiste C.A.P. con controricorso. La società concessionaria dei servizi di riscossione non ha svolto in questa sede attività difensiva.

Diritto

Con l’unico motivo di ricorso, l’INPS lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 203 e 208, così come interpretato dal D.L. n. 78 del 2010, art. 12, comma 11 (conv. con L. n. 122 del 2010), in relazione all’art. 2697 c.c., nonchè vizio di motivazione, per avere la Corte di merito ritenuto l’insussistenza dell’obbligo di iscrizione dell’odierno controricorrente alla gestione commercianti, nonostante fosse processualmente emerso che costui si era occupato personalmente del coordinamento e del controllo del lavoro dei dipendenti, aveva intrattenuto contatti con i fornitori, si era occupato della contabilità e dei rapporti con gli istituti creditizi ed era stato presente nei locali aziendali.

Il motivo è infondato.

La disciplina relativa alla gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali e del terziario è stata, come noto, modificata dalla L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 203, il quale, nel riformulare la L. n. 160 del 1975, art. 29, comma 1, ha previsto che l’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali di cui alla L. n. 613 del 1966, sussiste per i soggetti che siano in possesso dei seguenti requisiti:

a) siano titolari o gestori in proprio di imprese che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano organizzate e/o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia, ivi compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, ovvero siano familiari coadiutori preposti al punto di vendita;

b) abbiano la piena responsabilità dell’impresa ed assumano tutti gli oneri ed i rischi relativi alla sua gestione (ancorchè tale requisito non sia richiesto per i familiari coadiutori preposti al punto di vendita nonchè per i soci di società a responsabilità limitata);

c) partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza;

d) siano in possesso, ove previsto da leggi o regolamenti, di licenze o autorizzazioni e/o siano iscritti in albi, registri e ruoli.

Presupposto imprescindibile per l’iscrizione alla gestione commercianti è dunque pur sempre la prestazione di un’attività lavorativa abituale all’interno dell’impresa, sia essa gestita in forma individuale che societaria: e ciò perchè – come a suo tempo rimarcato da Cass. S.U. n. 3240 del 2010 – l’assicurazione obbligatoria non intende proteggere l’elemento imprenditoriale del lavoro autonomo, ma piuttosto accomunare commercianti, coltivatori diretti e artigiani ai lavoratori dipendenti in ragione dell’espletamento di attività lavorativa abituale e prevalente all’interno dell’impresa.

E’ piuttosto il caso di chiarire che, a parere del Collegio, i requisiti congiunti di abitualità e prevalenza dell’attività del socio di società a responsabilità limitata (l’onere della prova dei quali è a carico dell’INPS) sono da riferire all’attività lavorativa espletata dal soggetto considerato in seno all’impresa che costituisce l’oggetto della società, ovviamente al netto dell’attività eventualmente esercitata in quanto amministratore, per la quale semmai ricorre l’obbligo dell’iscrizione alla gestione separata di cui alla L. n. 335 del 1995. Detto altrimenti, va assicurato alla gestione commercianti il socio di società a responsabilità limitata che si dedica abitualmente e prevalentemente al lavoro in azienda, indipendentemente dal fatto che il suo apporto sia prevalente rispetto agli altri fattori produttivi (naturali, materiali e personali) dell’impresa, come invece ritenuto da Cass. nn. 3835 e 17370 del 2016: una tale accezione del requisito della “prevalenza”, infatti, meglio si attaglia alla lettera della disposizione, volta all’evidenza a valorizzare l’elemento del lavoro personale, e meglio aderisce alla ratio dell’estensione dell’obbligo assicurativo introdotto dal legislatore per i soci di società a responsabilità limitata, dal momento che include nell’area di applicazione dell’assicurazione commercianti tutti i casi in cui l’attività del socio, ancorchè abituale e prevalente rispetto al resto delle sue proprie attività, non possa essere ritenuta preponderante rispetto agli altri fattori produttivi dell’impresa.

Del resto, risulta dai lavori preparatori (e segnatamente dal parere n. 926/1998, reso dal Consiglio di Stato su interpello del Ministero del Lavoro) che la L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 203, è stato introdotto, tra l’altro, per eliminare i dubbi che erano stati sollevati a proposito dell’iscrizione nella gestione dei soci di società a responsabilità limitata, dato che su costoro non grava logicamente alcun rischio nella conduzione dell’impresa: si voleva in altri termini evitare che, grazie allo schermo della struttura societaria, la prestazione di lavoro resa dal socio nell’impresa sociale fosse sottratta alla contribuzione previdenziale e, al contempo, superare la preesistente disparità di trattamento dei titolari di ditte individuali e dei soci di società di persone rispetto ai soci di società a responsabilità limitata.

Ciò chiarito, nel caso di specie la Corte territoriale ha accertato che l’odierno controricorrente, “che neppure è sempre presente nei due punti vendita (…) e che non svolge attività di vendita in alcuno dei due negozi”, ha svolto esclusivamente “attività che non ineriscono all’attività commerciale svolta dalla società (che commercializza prodotti di telefonia (…)) ma alla gestione in sè dell’azienda e rientrano certamente (…) nelle attribuzioni dell’amministratore della società”. E poichè la congruità di tale accertamento non è stata specificamente censurata in ricorso, del tutto corretta – specie alla stregua delle precisazioni di cui dianzi – risulta l’applicazione delle norme la cui violazione è stata invece dedotta dall’Istituto ricorrente.

Il ricorso, pertanto, va rigettato. Tenuto conto delle difformi pronunzie di legittimità, sopra ricordate, sono da ritenere sussistenti gravi ed eccezionali ragioni per compensare le spese di lite.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2017

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