Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4437 del 11/02/2022

Cassazione civile sez. III, 11/02/2022, (ud. 29/11/2021, dep. 11/02/2022), n.4437

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17017-2019 proposto da:

P.M.C., e C.C., domiciliati in ROMA

presso la Cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e

difesi dall’avvocato GIANPAOLO BUONO;

– ricorrenti –

contro

S.L., e S.C., domiciliati in ROMA presso la

Cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato ANTONIO IACONO, dall’avvocato RAFFAELE CONTE;

– controricorrenti –

e contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, incorporante UNIPOL ASSICURAZIONI SPA,

COMPAGNIA DI ASSICURAZIONI MILANO SPA, PREMAFIN FINANZIARIA SPA, in

persona del procuratore speciale PIEFRANCESCO COLAIANNI,

elettivamente domiciliata in ROMA in via CRISTOFORO COLOMBO, 440,

presso lo Studio dell’avvocato FRANCO TASSONI, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

e nei confronti di:

CO.AN.;

– intimato –

GENERALI ITALIA SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1571/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 20/03/2019, notificata in pari data;

udita la relazione della causa svolta nella CAMERA DI CONSIGLIO del

29/11/2021 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI;

 

Fatto

RILEVATO

che:

Alla guida della proprio moto Suzuki 1000, C.P., il (OMISSIS), dopo aver superato un autobus di linea, cadeva dalla moto e urtava con il capo contro il parafango sinistro anteriore della Fiat Seicento condotta da S.C. che, uscita da una curva, sopravveniva nell’opposto senso di marcia; mentre era in terra veniva sormontato dalla moto Honda Cbrf 600, condotta da Co.An., che percorreva la sua stessa corsa di marcia; trasportato d’urgenza nel vicino ospedale vi decedeva un’ora dopo.

P.M.C. e C.C., madre e fratello della vittima, citavano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Ischia, C. e S.L. e la Milano Assicurazioni, rispettivamente, conducente, proprietario e assicuratrice della Fiat Seicento, nonché Co.An. e Aurora Assicurazioni SPA, proprietario-conducente della moto Honda e sua assicuratrice, al fine di ottenerne la condanna al risarcimento dei danni, iure proprio e iure hereditario, derivanti dalla morte di C.P..

C. e S.L. e la Milano Assicurazioni SPA, costituitisi in giudizio, contestavano la fondatezza della domanda attorea; Co.An. restava contumace; Aurora Assicurazioni si costituiva in giudizio e deduceva la insussistenza di responsabilità del proprio assicurato nella causazione della morte di C.P..

S.C. e S.L., con separati atti, citavano in giudizio, dinanzi al Giudice di Pace di Ischia, P.M.C. e C.C., quali eredi di C.P., al fine di ottenerne la condanna al risarcimento dei danni loro derivanti dal medesimo incidente.

Il Giudice di Pace, con sentenza n. 7/2007, riuniva i due procedimenti e li dichiarava connessi al processo pendente dinanzi al Tribunale di Napoli, concedeva termine per la riassunzione e compensava le spese di lite.

Il giudizio veniva riassunto tardivamente, oltre il termine di 90 giorni fissato dal Giudice di Pace, dinanzi al Tribunale di Napoli, da C. e S.L.. Gli odierni ricorrenti si costituivano in giudizio, eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza della domanda; in via gradata, chiedevano di considerare la corresponsabilità di S.C. e di Co.An. e chiedevano di essere manlevati dalla Toro Assicurazioni, la quale, costituitasi, svolgeva difese analoghe a quelle degli odierni ricorrenti.

Il Tribunale, disposta la riunione del procedimento riassunto a quello già pendente dinanzi a sé, con sentenza n. 12921/2014, rigettava la domanda attorea e compensava le spese di lite.

P.M.C. e C.C. impugnavano in via principale la suddetta decisione dinanzi alla Corte d’Appello di Napoli. S.L., con appello incidentale, lamentava che il Tribunale non si fosse pronunciato sulla sua domanda risarcitoria proposta dinanzi al Giudice di Pace di Ischia e riproposta con l’atto di riassunzione.

Dichiarata la contumacia di Co.An. e di Generali Italia SPA e rilevata la tardiva costituzione in giudizio di S.C. e di Unipolsai Assicurazioni, già Milano Assicurazioni, la Corte d’Appello, con la sentenza n. 1571/2019, rigettava l’impugnazione principale, accoglieva l’appello incidentale di S.L., quindi, condannava P.M.C. e C.C. a pagare la somma di Euro 1305,72 a S.L. per i danni all’auto riportati nel sinistro e regolava le spese di lite, in applicazione del principio della soccombenza in relazione al complessivo esito del giudizio.

In particolare, per quanto di interesse, il Giudice d’Appello confermava “il giudizio del primo giudice di assoluzione da ogni colpa del S.”, attribuendo rilievo precipuo alla deposizione testimoniale del conducente dell’autobus, il quale aveva riferito di essere stato superato da due moto che procedevano appaiate e che si erano scontrate, di aver visto che la moto a bordo della quale viaggiava la vittima cadeva e proseguiva la sua corsa in avanti, mentre il conducente della stessa, caduto a sua volta, rotolava sul selciato e finiva contro la Fiat 600 che era uscita da una curva in fondo al rettilineo, per poi essere investito da una terza moto che sopraggiungeva da tergo. Escludeva che l’investimento di C.P. dalla moto condotta da Co.An. avesse avuto effetto causale nella sua morte, perché la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva individuato nella caduta e nel successivo impatto con la Fiat Seicento la causa esclusiva della morte di C.P. non era stata impugnata, riteneva irrilevante la condotta del motocilista che aveva affiancato C.P., il quale neppure era stato parte del giudizio. Negava che S.C. avesse avuto alcuna responsabilità nella morte di C.P., perché aveva prontamente arrestato l’autovettura che conduceva all’interno della sua corsia di marcia e perché null’altro poteva fare per evitare l’impatto con la vittima, già sbalzata dal sellino della moto e diretta per inerzia contro il paraurti anteriore sinistro del suo veicolo.

P.M.C. e C.C. ricorrono per la cassazione della sentenza n. 1571/2019, avvalendosi di sei motivi.

Resistono con separati controricorsi C. e S.L. e Unipolsai Assicurazioni, che illustra il proprio controricorso con memoria.

Nessuna attività difensiva è svolta dagli altri intimati.

Il ricorso è stato trattato in Camera di Consiglio ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c.

Diritto

Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte. CONSIDERATO

che:

1.Con il primo motivo i ricorrenti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deducono la violazione e falsa applicazione degli dell’art. 132 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c. e art. 111 Cost.

Il percorso motivazionale con cui la Corte territoriale ha dichiarato di condividere il giudizio del primo giudice “di assoluzione da ogni colpa di S.C.”, escludendone il concorso di colpa, ex art. 2054 c.c., sarebbe affetto da anomalia motivazionale, perché risulterebbe privo di argomentazioni logicamente comprensibili e giuridicamente idonee, non avendo accertato se S.C. avesse fatto tutto il possibile per evitare l’impatto e se si fosse uniformato alle regole del codice della strada e di comune prudenza.

Per di più, avendo affermato perentoriamente che la causa della morte di C.P. doveva attribuirsi all’impatto con il paraurti della Fiat Seicento, avrebbe dovuto ritenere operante la presunzione di responsabilità di cui all’art. 2054 c.c.

Il motivo è inammissibile.

L’ubi consistam della censura, a prescindere dalla rubrica, è quella di ottenere una inammissibile rivalutazione delle circostanze fattuali che hanno portato il Giudice d’Appello a ritenere ricorrente la responsabilità esclusiva di C.P. nella causazione del sinistro che ne aveva provocato la morte.

La Corte territoriale, infatti, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, ha illustrato in maniera esauriente e priva di contraddizioni logiche e giuridiche le ragioni che l’hanno indotta a condividere sul punto la decisione del Tribunale, dando dimostrazione di avere considerato (anche) il comportamento alla guida tenuto da S.C., il quale si legge in sentenza “alla vista dei motociclisti aveva prontamente arrestato l’autovettura, che conduceva all’interno della corsia di pertinenza, e, null’altro potendo fare per evitare l’impatto di C.P., già sbalzato dal sellino della moto e diretto per inerzia verso il veicolo, contro il paraurti anteriore sinistro” (p. 13); il che vuol dire che, secondo la sentenza impugnata, aveva tenuto una condotta corretta alla guida nell’auto e non aveva potuto evitare che C.P. urtasse con il capo contro il parafango della sua auto.

2.Con il secondo motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 2043,2050,2054 e 2697 c.c. e degli artt. 112,115 e 116 c.p.c.

I ricorrenti insistono in ordine all’omesso accertamento del comportamento alla guida tenuto da S.C., onerato, per superare la presunzione di responsabilità di cui all’art. 2054 c.c., che disciplina la responsabilità derivante da circolazione stradale avendo bene a mente che la circolazione stradale è un’attività pericolosa, della prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.

Depurata la censura da taluni richiami ridondanti e preso atto che delle numerose norme indicate come violate nell’epigrafe del motivo solo l’art. 2054 c.c. risulta implicato dalle argomentazioni dei ricorrenti, non può che ribadirsi che i ricorrenti invocano un diverso esito delle valutazioni del compendio probatorio e dell’articolazione processuale dei fatti rispetto a quello emerso da ben due giudizi di merito, ma non formulano censure rispettose del costante insegnamento di questa Corte, secondo cui il vizio di violazione e falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito a questa Corte di adempiere al compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. nn. 16132/05, 26048/05, 20145/05, 1108/06, 10043/06, 20100/06, 21245/06, 14752/07, 3010/12 e 16038/13). In altri termini, non è il punto d’arrivo della decisione di fatto che determina l’esistenza del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ma l’impostazione giuridica che, espressamente o implicitamente, abbia seguito il giudice di merito nel selezionare le norme applicabili alla fattispecie e nell’interpretarle.

3.Con il terzo motivo i ricorrenti imputano alla sentenza gravata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, di aver violato gli artt. 112 e 342 c.p.c.

Con il terzo motivo di appello, trascritto al fine di soddisfare le prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, era stato lamentato che il Tribunale, seppure avesse dato atto che Co.An. non era riuscito ad evitare di travolgere la vittima che già aveva urtato con il capo contro la Fiat Seicento, aveva considerato responsabile dell’incidente mortale occorsogli C.P., senza indagare, come avrebbe dovuto, quale fosse stata la condotta alla guida (non solo di S.C., ma anche) di Co.An., allo scopo di appurare se avesse tenuto la distanza di sicurezza impostagli dall’art. 149 C.d.S., onde superare la presunzione de facto di inosservanza di detta distanza, stante la collisione con la moto che lo precedeva. Con lo stesso motivo veniva dedotto che il Tribunale avesse violato l’art. 115 c.p.c., avendo posto a base della decisione fatti non desumibili dal corredo probatorio, non ammessi o riconosciuti come veri dalle parti e, in aggiunta, la illogicità e la contraddittorietà della decisione di prime cure che, pur partendo dalla premessa che i tre ragazzi la sera dell’incidente corressero ciascuno a bordo della propria moto, non ne avesse tratto alcuna conseguenza.

La censura non ha messo bene a fuoco la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha ritenuto irrilevante la condotta di guida di Co.An., perché quand’anche responsabile di aver sormontato il corpo della vittima, per aver tenuto una velocità non consona allo stato dei luoghi, per non aver rispettato la distanza di sicurezza, non ne aveva causato la morte, la quale, con una statuizione non impugnata dai ricorrenti, era stata ritenuta cagionata dalla caduta dalla moto che aveva provocato l’impatto del capo della vittima contro il parafango della Fiat 600.

Il motivo, pertanto, si palesa inammissibile.

4. Con il quarto motivo viene dedotta la violazione degli artt. 40,274,333,334 c.p.c. e art. 343 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Secondo i ricorrenti, premesso che il Tribunale non aveva assunto alcuna decisione in ordine alle domande che S.L. aveva formulato nei loro confronti nel giudizio inizialmente proposto dinanzi al Giudice di Pace di Ischia e poi riunito, ai sensi dell’art. 274 c.p.c., e che l’appello principale riguardava solo la sentenza resa nel giudizio in cui gli odierni ricorrenti erano stati attori, S.L. non avrebbe dovuto proporre, come, invece, aveva fatto, appello incidentale per lamentare l’omessa pronuncia, bensì autonomo gravame avverso la sentenza di prime cure, in quanto, secondo l’orientamento giurisprudenziale consolidato, il provvedimento di riunione conserva l’autonomia delle cause riunite e non pregiudica la sorte delle singole azioni, tant’e’ vero che la sentenza che decide simultaneamente le cause riunite, pur essendo formalmente unica, si risolve in altrettante pronunce quante sono le cause, ciascuna delle quali è assoggettata al regime formale e temporale d’impugnazione che le è proprio. Di conseguenza, la legittimazione ad impugnare ed a resistere compete solo ai soggetti che sono stati parti del corrispondente giudizio ed inoltre la parte vittoriosa in un giudizio e soccombente in un altro può proporre impugnazione incidentale tardiva contro la pronuncia rispetto alla quale sia rimasta soccombente solo se questa pronuncia sia stata impugnata in via principale da altra parte dello stesso processo e non anche se si via stata impugnazione principale nei confronti di una pronuncia relativa all’altro giudizio riunito.

La tesi prospettata è che S.L., il quale neppure aveva proposto domanda riconvenzionale, avrebbe dovuto impugnare la decisione di primo grado per la parte relativa al giudizio in cui figurava come attore entro il termine perentorio di un anno, cioè entro 11 novembre 2015, mentre, invece, aveva proposto appello incidentale in data 25 febbraio 2016.

4.Con il quinto motivo alla sentenza d’appello è imputata la violazione degli artt. 50,307,180 e 112 c.p.c.

S.L. aveva riassunto la causa contro gli odierni ricorrenti in ritardo – oltre il termine di 90 giorni fissato dal Giudice di Pace di Ischia – ciò nonostante la Corte d’Appello, anziché prendere atto, come verosimilmente aveva fatto il Tribunale, della estinzione del giudizio, aveva esaminato l’appello incidentale, ritenendo che l’eccezione di estinzione avrebbe potuto essere proposta ad istanza di parte, da svolgersi prima di ogni altra difesa, incorrendo nella violazione dell’art. 180 c.p.c. nel testo ratione temporis applicabile, a mente del quale il giudice, in ogni caso fissa a data successiva la prima udienza di trattazione, assegnando al convenuto un termine perentorio non inferiore a 20 giorni, prima di tale udienza, per proporre le eccezioni processuali e di merito che non sono rilevabili d’ufficio. Nel caso di specie, all’esito della prima udienza svoltasi in data 8 maggio 2009, in cui aveva disposto la riunione dei procedimenti, il giudice aveva rinviato le parti per la trattazione al 4 novembre 2009, concedendo ai convenuti il termine di cui all’art. 180 c.p.c. per la proposizione delle eccezioni processuali e di merito. Con memoria depositata in data 14 ottobre 2009, gli odierni ricorrenti avevano reiterato l’eccezione di estinzione del giudizio, per mancata riassunzione nei termini.

I motivi quarto e quinto meritano una trattazione congiunta, poiché sottopongono allo scrutinio di questa Corte questioni connesse.

Innanzitutto, va ribadito, contrariamente a quanto affermato dai ricorrenti, “che è solo una facoltà e non un obbligo del convenuto proporre domanda riconvenzionale nello stesso giudizio instaurato dall’attore (art. 167 c.p.c.); che le parti possono proporre domande connesse nello stesso processo (art. 31 c.p.c. e s.), ovvero contro la stessa parte nel medesimo processo più domande anche non altrimenti connesse (art. 104 c.p.c.), ovvero cause connesse dinanzi a Giudici diversi (art. 40 c.p.c.) e può essere disposta la riunione di più cause pendenti davanti allo stesso Giudice (art. 274 c.p.c.) non solo nell’ipotesi di connessione in senso proprio ma altresì per motivi di opportunità e di economia processuale”: in termini, cfr. Cass. 25/09/1990, n. 9719.

In aggiunta, deve essere ricordato che, ai fini che qui interessano, superate le incertezze giurisprudenziali e le tensioni dottrinarie relative all’ambito di applicazione dell’art. 334 c.p.c., anche con il contributo di due interventi delle Sezioni Unite che hanno superato l’originario orientamento restrittivo che riteneva l’impugnazione incidentale tardiva consentita solo se aveva ad oggetto lo stesso capo di sentenza impugnato con l’impugnazione principale o un capo di sentenza dipendente da, o connesso con, quello impugnato con l’impugnazione principale, se proposta contro l’impugnante principale – cfr. Cass., Sez. Un., 07/11/1989, n. 4640, che ha ampliato l’ambito oggettivo dell’impugnazione incidentale tardiva, e Cass., Sez. Un., 27/11/2007, n. 24627, che, invece, ha fatto leva sulla ricorrenza dell’interesse ad impugnare – “l’unico limite di carattere oggettivo che la norma dell’art. 334 c.p.c. prevede è “l’unicità formale” della sentenza contenente una pluralità di capi sulle domande delle parti, la quale è sufficiente a creare quel nesso tra le varie pronunce che giustifica l’ammissibilità della impugnazione incidentale anche oltre il termine e nonostante l’acquiescenza, perché nella visione pratica delle parti l’unità del processo assorbe e fonde come elementi di un tutto le varie domande che vi furono proposte, senza che si possa distinguere tra domande connesse e domande autonome”.

Una diversa e più restrittiva interpretazione indurrebbe ciascuna parte a cautelarsi proponendo un’autonoma impugnazione tempestiva sulla statuizione rispetto alla quale è rimasta soccombente, con inevitabile proliferazione dei processi d’impugnazione (cfr. Cass. 11/11/2020, n. 25285, Cass. 12/07/2018, n. 18415, Cass. 30/05/2018, n. 13651).

Ne’ può trascurarsi – il che assume carattere assorbente che la l’impugnazione incidentale tardiva è sempre ammessa tutte le volte che quella principale metta in discussione l’assetto di interessi derivante dalla sentenza che l’impugnato, in mancanza dell’altrui gravame, avrebbe accettato e, conseguentemente, può essere proposta sia nei confronti del ricorrente principale, anche con riguardo ad un capo della sentenza diverso da quello investito dall’impugnazione principale, sia nelle forme dell’impugnazione adesiva rivolta contro parti processuali diverse dall’impugnante principale, tutte le volte che, nel caso concreto, il gravame se accolto comporterebbe un pregiudizio per l’impugnante incidentale tardivo poiché darebbe luogo ad una sua soccombenza totale o, comunque, più grave di quella stabilita nella decisione gravata (Cass. 09/07/2020, n. 14596).

La fattispecie per cui è causa, tuttavia, pone un problema più complesso che le considerazioni dianzi riproposte non bastano a risolvere. La tesi dei ricorrenti è che la sentenza di prime cure abbia pronunciato solo su una delle cause connesse per avere reputato estinto l’altro giudizio per tardiva riassunzione, accogliendo l’eccezione di estinzione formulata dagli odierni ricorrenti.

Stante che la sentenza di appello, pur non contenendo alcuna pronuncia sulla eventuale estinzione del giudizio, non aveva esaminato nel merito la domanda oggetto della causa tardivamente riassunta, P.M.C. e C.C. ritengono che tale omessa pronuncia non sia stata una svista, ma conseguenza dell’accoglimento implicito dell’eccezione di estinzione del giudizio. Adombrano evidentemente la ricorrenza di un giudicato processuale implicito interno, senza trarne però alcuna implicazione, tant’e’ vero che la trama argomentativa si sviluppa in una direzione diversa: può notarsi, infatti, che il riferimento alla decisione implicita di accoglimento della eccezione di estinzione è introdotta nel ricorso attraverso un mero accenno – si legge, infatti, “si è già accennato che” il Tribunale non è incorso in una svista (p. 29): il precedente accenno è quello contenuto alla p. 8, nella parte deputata alla ricostruzione processuale dei fatti di causa – e che subito dopo i ricorrenti insistono sulla tempestività dell’eccezione di estinzione, introducendo la questione con una locuzione preposizionale avversativa: “d’altra parte, neppure può revocarsi in dubbio, che effettivamente, quella causa sia stata riassunta tardivamente da S.L. (…)”.

Ebbene, a tal proposito, va rilevato che la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che l’estinzione del processo per tardiva riassunzione non è rilevabile d’ufficio, ma è rimessa al potere dispositivo della parte; si è dunque di fronte di una eccezione processuale in senso stretto, che costituisce un elemento costitutivo della fattispecie estintiva e deve di conseguenza essere sollevata espressamente dalla parte interessata; detta eccezione è caratterizzata da assoluta pregiudizialità, perciò deve essere sollevata, anche nell’ambito dell’atto difensivo che la contiene, prima di ogni altra difesa; non può essere subordinata al superamento di altre tesi difensive e, in ipotesi di contestuale proposizione di più eccezioni, deve essere accompagnata dall’espressa precisazione che essa viene proposta in via pregiudiziale prima di ogni altra istanza o difesa.

Ora, nel caso di specie, i ricorrenti a p. 7 del ricorso chiariscono di essersi costituiti, a seguito della riassunzione del giudizio tramite atto notificato da parte di S.L. il 18 ottobre 2017 “eccependo l’inammissibilità ed infondatezza delle avverse domande, chiedendo, in via gradata, ai sensi dell’art. 2054 c.c., di considerare il grado di colpa di S.C. ed Co.An. e, comunque, di essere manlevati dalla Toro Ass.ni SPA (Lloyd Italico) da ogni conseguenza pregiudizievole. In data 7.3.2008 si e’, altresì, costituita la predetta Impresa Assicurativa, svolgendo analoghi rilievi a quelli dei propri litisconsorti”.

Risulta evidente dunque che la eccezione di estinzione per tardiva riassunzione non è stata formulata nel rispetto della assoluta pregiudizialità che la contraddistingue.

Di conseguenza, deve escludersi che la Corte d’Appello sia incorsa nell’errore denunciato.

5. Con il sesto ed ultimo motivo i ricorrenti ritengono che la sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, abbia violato gli artt. 324 e 329 c.p.c. non ché l’art. 2909 c.c. e gli artt. 91 e 92 c.p.c., per avere liquidato a favore di S.L., per be due volte, le spese del giudizio svoltosi dinanzi al Giudice di Pace di Ischia che aveva disposto la compensazione delle spese di lite, senza essere impugnata.

Il motivo è infondato.

In materia di liquidazione delle spese giudiziali, il giudice d’appello, mentre nel caso di rigetto del gravame non può, in mancanza di uno specifico motivo di impugnazione, modificare la statuizione sulle spese processuali di primo grado, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, è tenuto a provvedere, anche d’ufficio, ad un nuovo regolamento di dette spese alla stregua dell’esito complessivo della lite, atteso che, in base al principio di cui all’art. 336 c.p.c.., la riforma della sentenza del primo giudice determina la caducazione del capo della pronuncia che ha statuito sulle spese (cfr. Cass. 18.03.2021, n. 7616, secondo cui il giudice di appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, mentre, in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione).

Quanto alla censura di doppia liquidazione delle spese del giudizio dinanzi al Giudice di Pace, si tratta di un evidente errore materiale. La Corte d’Appello, infatti, dopo aver liquidato le spese del giudizio di appello nei confronti di S.C., Unipolsai Assicurazioni, già Milano Assicurazioni, ed a Unipolsai Assicurazioni SPA, già Aurora Assicurazioni (punto 5 del dispositivo), passa a liquidare le spese a favore di S.L., liquidandogli le spese per il giudizio dinanzi al Giudice di Pace di Ischia, quelle per il giudizio dinanzi al Tribunale e per errore anziché indicare le spese per il giudizio di appello, indica le spese per il giudizio dinanzi al Giudice di Pace di Ischia.

Per giurisprudenza consolidata di questa Corte l’errore che non incide sul contenuto concettuale e sostanziale della decisione, ma si concreta in un difetto di corrispondenza tra la ideazione e la sua materiale rappresentazione grafica può essere corretto solo con il procedimento di cui agli artt. 287 c.p.c. e ss. e non e’, invece, denunciabile davanti alla Corte di cassazione, il cui compito istituzionale si esaurisce nel controllo di mera legittimità delle decisioni di merito (Cass. 15/05/2009, n. 11333 e successiva giurisprudenza conforme).

6. Il ricorso va, dunque, rigettato.

7. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

8. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico dei ricorrenti l’obbligo di pagamento del doppio contributo unificato, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti, liquidandole in Euro 5200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge a favore di C. e S.L., con distrazione a favore di Antonio Iacono e Raffaele Conte, e di Euro 7200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge a favore di Unipolsai assicurazioni.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza civile della Corte Suprema di Cassazione, il 29 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2022

 

 

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