Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4436 del 11/02/2022

Cassazione civile sez. III, 11/02/2022, (ud. 29/11/2021, dep. 11/02/2022), n.4436

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. R.G. 8170-2019 proposto da:

COOPERATIVA BELLA VISTA, in persona del legale rappresentante

A.L., rappresentata e difesa dall’Avvocato MARIO CANNAS,

elettivamente domiciliata in Roma presso lo Studio dell’Avvocato

(OMISSIS), via SALVATORE LO BIANCO, n. 30;

– ricorrente –

contro

C.S., rappresentato e difeso dall’Avvocato MAURO CHIRCO e

dall’Avvocato ANDREA MANZI, con domicilio eletto in Roma pres.

Studio di quest’ultimo, via FEDERICO CONFALONIERI, 5;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 367/2018 della Corte d’Appello di SASSARI,

depositata il 7/09/2018.

udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 29 novembre

2021 dal Consigliere Dott. Marilena Gorgoni.

 

Fatto

RILEVATO

che:

C.S., proprietario del (OMISSIS), aveva segnalato un’avaria al motore mentre si trovava a dodici miglia da (OMISSIS) ed era stato soccorso dall’imbarcazione (OMISSIS), di cui la società Cooperativa Bellavista dichiarava d’essere armatrice. Le operazioni di soccorso si erano rivelate particolarmente difficoltose a causa delle condizioni meteomarine tanto che il cavo di rimorchio si era rotto per ben due volte e in occasione del terzo tentativo di aggancio le due imbarcazioni erano entrate in collisione; ad ogni modo, entrambe le imbarcazioni avevano raggiunto (OMISSIS).

La società Cooperativa Bella Vista conveniva, dinanzi al Tribunale di Sassari, C.S., allo scopo di ottenerne la condanna, ai sensi dell’art. 491 c.n., al risarcimento dei danni subiti dall’imbarcazione (OMISSIS), comprensivi del fermo tecnico e del rimborso delle spese di rimorchio, oltre al pagamento del compenso per il buon esito del soccorso.

Il convenuto, pur riconoscendo di avere chiesto il soccorso, imputava alla condotta del comandante del (OMISSIS) la responsabilità dei danni, sostenendo che, violando le regole di prudenza, perizia e diligenza, egli non era riuscito a controllare la velocità dell’imbarcazione del proprio natante, posizionandolo in maniera non corretta.

Il Tribunale, con la sentenza n. 323/2016, condannava C.S. al pagamento, a favore della società attrice, della somma di Euro 65.000,00, oltre agli interessi legali, alle spese di lite e di CTU.

Detta somma veniva determinata, non già in applicazione dell’art. 491 c.n., ritenuto norma residuale, bensì in applicazione della Convenzione di Londra del 1989, in forza del cui art. 2, nell’ipotesi di soccorso prestato con successo, deve essere riconosciuto un compenso, da liquidare, ai sensi degli artt. 12 e 13, con parametri non connotati da valenza risarcitoria secondo le categorie civilistiche e, quindi, indifferenti alla ricorrenza della colpa.

La decisione veniva impugnata, dinanzi alla Corte d’Appello di Sassari, da C.S., il quale deduceva: i) il difetto di legittimazione attiva della società Bellavista, non proprietaria né armatrice dell’imbarcazione (OMISSIS), essendo emerso, ex actis, che il proprietario ed armatore era A.F.; ii) la nullità della sentenza, perché assunta sulla base di una CTU nulla ed inutilizzabile; iii) la nullità delle deposizioni testimoniali, perché rese da componenti dell’equipaggio del (OMISSIS) che avevano interesse al giudizio, in violazione dell’art. 246 c.p.c., con riferimento all’art. 496 c.n.; iv) l’erronea determinazione del compenso; v) l’errata ricostruzione della dinamica del sinistro; vi) l’omessa valutazione dei profili di responsabilità del comandante del (OMISSIS).

La società Cooperativa Bellavista deduceva la violazione dell’art. 342 c.p.c. e, nel merito, chiedeva il rigetto dell’appello, osservando, per quanto qui di interesse, che nessuna norma della Convenzione di Londra attribuisse esclusivamente al proprietario il diritto di ottenere il compenso per il soccorso prestato in mare.

La Corte d’Appello, con la sentenza n. 367-2018, depositata in cancelleria il 7 settembre 2018, respinta l’eccezione di cui all’art. 342 c.p.c., riteneva fondata la censura di parte appellante circa il difetto di legittimazione attiva della società Bellavista, dopo aver chiarito che la titolarità della posizione soggettiva attiva e passiva attiene alla fondatezza della domanda e quindi alla verifica della sussistenza del diritto fatto valere in giudizio, con la conseguenza che la difesa con cui il convenuto nega la sussistenza di detta titolarità non costituisce un’eccezione, soggetta a preclusioni, bensì una mera difesa.

La società Bellavista non aveva provato la sua legittimazione attiva né essa poteva dirsi provata in forza del comportamento processuale del convenuto, il quale, con la comparsa di costituzione e risposta in primo grado, non aveva preso posizione sul fatto – diritto costitutivo dell’azione, in merito alla dichiarata qualità di armatrice della società che aveva proposto la domanda.

Non bastava l’aver dichiarato di essere armatrice, in assenza di produzione documentale attestante tale qualità; per di più risultava ex actis che la Motopesca (OMISSIS) era di proprietà di A.F. e che quest’ultimo era anche l’armatore della stessa, sicché doveva presumersi, in assenza di prova contraria, che lo fosse anche all’epoca dei fatti di causa, indipendentemente dal fatto che la società cooperativa Bellavista avesse la disponibilità o l’uso della imbarcazione.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione la società Bellavista, affidandolo a 4 motivi.

Resiste con controricorso C.S..

Il ricorso è stato trattato in Camera di Consiglio ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c.

Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 267 c.p.c. e del principio di non contestazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente il suo difetto di legittimazione attiva, nonostante le difese di C.S. fossero incompatibili con la contestazione della titolarità del diritto attoreo.

Secondo la ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe erroneamente applicato la decisione n. 2961/2016 delle Sezioni Unite di questa Corte, avendo ritenuto le difese del convenuto non incompatibili con la negazione della titolarità attiva in capo all’attrice, giacché da parte di C.S. vi era stato un silenzio in merito al fatto-diritto costitutivo dell’azione che non precludeva la rilevabilità d’ufficio della questione sin dal primo grado né l’esame dell’eccezione formulata dall’appellante.

In particolare, l’errore della decisione impugnata sarebbe quello di non avere considerato che la difesa di C.S. si era articolata senza prendere posizione sul fatto costitutivo dell’azione della società Bellavista e che la mancata contestazione aveva determinato con effetto vincolante per il giudice la relevatio ab oneri probandi in capo all’attrice, espungendo il fatto dall’ambito degli accertamenti richiesti, ritenendolo non controverso. Il fatto che C.S. avesse insistito per far emergere una responsabilità della società Bellavista nella causazione dei danni sopportati nel corso delle operazioni di soccorso significava affermare che la società Bellavista aveva il pieno dominio dell’imbarcazione che il soccorso aveva prestato: il dominio di fatto avrebbe dovuto considerarsi più che sufficiente per il riconoscimento della qualità di armatore in capo alla cooperativa e per riconoscerne la piena legittimazione attiva.

Nella sostanza il rimprovero mosso alla sentenza impugnata può essere così sintetizzato: la Corte territoriale si è limitata a negare la ricorrenza di una contestazione tanto esplicita quanto implicita della ricorrenza della titolarità attiva del diritto fatto valere in giudizio, ma non ha verificato se fossero state svolte difese incompatibili con la negazione della titolarità del diritto.

Secondo la ricorrente, invece, la Corte territoriale avrebbe dovuto ritenere incompatibile con la negazione della titolarità del diritto fatto valere sia il fatto di non avere contestato la titolarità della legittimazione attiva, a fronte di un onere impostogli dall’art. 167 c.p.c., sia l’avere contestato i fatti storici alla base della domanda, la sussistenza e l’entità dei danni, la ricorrenza della polizza assicurativa, perché la non contestazione della titolarità della posizione giuridica dell’attore aveva reso la stessa non controversa e perché insistere circa la responsabilità della cooperativa Bellavista nelle operazioni di soccorso significava affermare che essa aveva il pieno dominio dell’imbarcazione, siccome contestare l’ammontare del danno non poteva non implicare il riconoscimento della qualità di armatrice della società Bellavista.

Il motivo è infondato.

Vanno richiamati i seguenti principi giurisprudenziali di indubbia rilevanza nel caso di specie:

– quand’anche il convenuto avesse consumato il diritto di contestazione, perdendolo irreversibilmente, al giudice non sarebbe precluso di acquisire comunque la prova del fatto non contestato, superando la questione della pregressa non contestazione del fatto che, se ravvisata, avrebbe comportato l’esclusione di esso dal thema probandum (Cass. 13/03/2012, n. 3951).

Tale principio è stato puntellato dalle Sezioni Unite con riferimento alla questione, di merito, relativa alla titolarità del diritto, escludendo che per ciò solo, cioè per il mero fatto di essere una questione di merito, che la “relativa prova gravi sul convenuto e che la difesa con la quale il convenuto neghi la sussistenza della titolarità costituisca un’eccezione, tanto meno in senso stretto”. Al contrario, la carenza di legittimazione ad agire può essere eccepita in ogni grado e stato del giudizio e può essere rilevata d’ufficio dal giudice. Il convenuto che neghi la titolarità del diritto dell’attore lo fa con una mera difesa, cioè espone ragioni giuridiche o prende posizione rispetto ai fatti prospettati dall’attore. Trattandosi di mera difesa essa non è soggetta a preclusioni processuali né a decadenza, ex art. 167 c.p.c., comma 2, e non ne è preclusa la rilevabilità d’ufficio. “E’ vero che il medesimo art. 167, comma 1 chiede al convenuto di proporre nella comparsa di risposta tutte le difese prendendo posizione sui fatti posti dall’attore fondamento delle domanda, ma tale disposizione, contrariamente a quanto sancito nel comma successivo, non prevede decadenza”. Non solo: “può anche essere oggetto di motivo di appello, perché l’art. 345 c.p.c., comma 2, prevede il divieto di “nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio””.

La comparsa di risposta del convenuto può non contenere alcuna presa di posizione sulla titolarità del diritto dell’attore oppure può riconoscere che l’attore è titolare del diritto o contenere una linea difensiva incompatibile con la negazione della sussistenza del diritto in capo all’attore: solo in tale ultimo caso, l’attore non è tenuto ad allegare di essere titolare del diritto ed il convenuto non potrebbe rimettere in discussione, neppure in appello, la legittimazione sostanziale dell’attore. Spetta al giudice valutare con particolare rigore se vi sia stata contestazione diretta ovvero indiretta.

Ebbene, nel caso di specie la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi di cui alla sentenza 2461/2016, perché ha escluso, con un accertamento di fatto che non può essere messo in discussione in sede di legittimità, che il convenuto avesse direttamente, cioè esplicitamente, o indirettamente, attraverso difese incompatibili con l’affermazione della legittimazione sostanziale, riconosciuto la ricorrenza di quest’ultima in capo alla società Bellavista (p. 6).

Di conseguenza, ha ritenuto che non gli fosse precluso sollevare per la prima volta in appello la questione del difetto della legittimazione sostanziale, sostenendo, correttamente, che avesse svolto, a tale scopo, una mera difesa non preclusa dall’art. 345 c.p.c.

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 183 c.p.c. e del principio del contraddittorio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per avere la Corte territoriale utilizzato, ai fini della decisione, documentazione non prodotta dalle parti, ma illegittimamente acquisita dal CTU.

Il Tribunale già avrebbe rilevato la nullità delle autonome acquisizioni del CTU, il quale avrebbe fatto confluire in giudizio una serie di elementi che solo il tempestivo assolvimento degli oneri probatori avrebbe consentito di impiegare, mentre, invece, la Corte d’Appello avrebbe interamente utilizzato la documentazione irritualmente acquisita, ponendosi in contrasto con la giurisprudenza di legittimità che permette al CTU di ottenere documentazione, non rilevabile dagli atti processuali e concernente atti e situazioni formanti oggetto del suo accertamento, solo se essa risulti funzionale al corretto espletamento dell’incarico devolutogli, cioè se serva per riscontrare e verificare quanto affermato e documentato dalle parti.

L’ottenimento della licenza per navi minori e galleggianti del 2004 e dell’attestazione del Bureau Veritas non era necessario, ad avviso della ricorrente per l’espletamento dell’incarico di CTU, trattandosi di documenti, entrambi rilasciati da privati, che avrebbero dovuto essere allegati dalle parti.

Il motivo è inammissibile.

Le censure mosse al CTU quanto alle modalità di acquisizione dei dati relativi alla titolarità del diritto di proprietà ed alla qualifica di armatore sono meramente assertive. L’unico supporto a quanto affermato dal ricorrente è costituito da un passaggio della sentenza di prime cure che aveva rilevato che, per espletare il suo incarico, l’ausiliario del giudice non si era limitato ad esaminare il corredo probatorio formato nel contraddittorio delle parti, ma aveva acquisito direttamente dal consulente tecnico di parte documentazione ritenuta utile nonché assunto informazioni direttamente dagli stessi comandanti delle due imbarcazioni.

Da tale stralcio della motivazione non si evince a quale documentazione ritenuta utile, benché inutilizzabile, il Tribunale faccia riferimento; tantomeno vi sono gli elementi per accertare se la documentazione acquisita aliunde fosse strumentale a riscontrare e verificare quanto affermato e documentato dalle parti. A tal riguardo la società ricorrente si limita a sostenere, del tutto assertivamente, che le parti, nel corso del giudizio, non avevano mai affermato e documentato i fatti oggetto della licenza per navi minori e galleggianti e della dichiarazione del Bureau Veritas – registro internazionale.

In aggiunta, il motivo denunciante la violazione dell’art. 2697 c.c. deve essere dedotto lamentando che il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni. Viceversa, allorquando il motivo deducente la violazione del paradigma dell’art. 2697 c.c. non risulti argomentato in questi termini, ma solo con la postulazione (erronea) che la valutazione delle risultanze probatorie ha condotto ad un esito non corretto, il motivo è inammissibile come motivo in iure, ai sensi del n. 4 dell’art. 360 c.p.c., se si considera l’art. 2697 c.c. norma processuale, e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, se si considera l’art. 2697 c.c. norma sostanziale, sulla base della vecchia idea dell’essere le norme sulle prove norma sostanziali: cfr., in tal senso, Cass., Sez. Un., 05/08/2016, n. 16598.

3.Con il terzo motivo la ricorrente imputa alla sentenza gravata di avere violato e falsamente applicato l’art. 265 c.n., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte Territoriale ritenuto che non fosse armatrice, credendo tale qualifica formale dipendente dalla c.d. dichiarazione di armatore.

Oggetto di censura è la statuizione con cui il giudice a quo ha affermato che il Tribunale avrebbe potuto rilevare d’ufficio l’assenza di prova della titolarità del diritto azionato dalla società attrice, la quale si era limitata a dichiarare di essere l’armatrice del (OMISSIS) senza produrre documentazione attestante tale qualità “che per legge è una qualità formale ex art. 265 c.n. e ss., attestata, a prescindere dalla natura dichiarativa o costitutiva, dalla c.d. dichiarazione di armatore”.

L’art. 265 c.n. definisce armatore chi assume l’esercizio di una nave, dimostrando di ritenere elemento necessario e sufficiente per assumere la qualifica di armatore lo svolgimento di quell’attività organizzata inerente all’impiego della nave in base alla destinazione ad essa propria rivolta al perseguimento di un risultato economico connesso al soddisfacimento di un bisogno proprio dell’esercente ed accompagnata dall’incidenza del rischio. In altri termini, a differenza di quanto postulato dalla Corte territoriale – che non solo aveva ritenuto necessaria la dichiarazione di armatore, attribuendole sostanzialmente efficacia costitutiva dello status di armatore, ma che aveva anche reputato irrilevanti la mera disponibilità e l’uso dell’imbarcazione, desumibili dall’esame di altri documenti – la qualità di armatore si ottiene sulla scorta del dato materiale rappresentato dalla disponibilità del mezzo nautico e dalla sua utilizzazione economica, anche in assenza di un titolo idoneo.

4. Con il quarto ed ultimo motivo la sentenza impugnata viene censurata per violazione e falsa applicazione degli artt. 272 c.n., 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte territoriale omesso di qualificarla armatrice, nonostante la stessa avesse provato di avere la disponibilità dell’imbarcazione e di esercitare essa stessa l’impresa di navigazione con utilizzazione proprio dell’imbarcazione oggetto del giudizio.

La censura attinge la statuizione con cui la Corte d’Appello ha ritenuto documentato che A.F. fosse proprietario della imbarcazione e presuntivamente armatore, in assenza della dichiarazione di armatore in capo ad altri al momento della proposizione della domanda.

Le ragioni della critica sono da individuare nell’erronea applicazione dell’art. 272 c.n. – il quale dispone che, in mancanza della dichiarazione di armatore debitamente resa pubblica, armatore si presume il proprietario fino a prova contraria – in assenza di alcun coordinamento con l’art. 265 c.n. che afferma che armatore è chi assume l’esercizio della nave. La Corte territoriale avrebbe ritenuto che solo la diversa attestazione ufficiale, cioè una diversa dichiarazione di armatore, avrebbe potuto integrare la prova contraria richiesta dall’art. 272 c.c. e non anche la dimostrazione di avere avuto la disponibilità e l’uso dell’imbarcazione.

5. Gli ultimi due motivi di ricorso possono essere fatti oggetto di una trattazione unitaria, atteso che riguardano, da prospettive diverse, la stessa questione.

La statuizione assunta dalla Corte territoriale risulta frutto dell’attribuzione di una funzione costitutiva alla dichiarazione di armatore, nonostante la decisione abbia premesso l’irrilevanza della natura costitutiva ovvero dichiarativa di detta dichiarazione.

La funzione assegnata alla dichiarazione in oggetto e’, nondimeno, collegata alla possibilità di ammettere il superamento della presunzione di armatore attraverso la dimostrazione che l’esercizio di fatto non coincide con l’esercizio formale della stessa quale risultante dalla dichiarazione suddetta.

In dottrina, sono emerse più posizioni: quella che riempie di contenuto l’oggetto della prova contraria cui fa riferimento l’art. 272 c.n., partendo dalla premessa che tale disposizione individua una forma di pubblicità notizia, volta ad agevolare la conoscenza da parte dei terzi dei fatti iscritti, facendone derivare la possibilità che chiunque dimostri che i fatti iscritti non corrispondono alla realtà o che, in assenza della dichiarazione, l’esercizio sia stato assunto da un soggetto diverso dal proprietario; quella che svaluta la funzione pubblicitaria della dichiarazione di armatore e fa leva solo sul fatto che l’art. 272 c.n. non individui, tipizzandolo, il contenuto della prova contraria richiesta per vincere la presunzione di armatore, limitandosi a precostituire una presunzione di esercizio effettivo in capo a chi si dichiari armatore; solo chi attribuisce alla dichiarazione funzione di pubblicità costitutiva della qualità di armatore ritiene che esclusivamente una dichiarazione di armatore successiva, volta a modificare quella precedente, possa integrare la prova contraria necessaria a vincere la presunzione della qualità di armatore in capo al dichiarante.

Fatta tale premessa, è necessario fare due precisazioni: la prima è che la Corte territoriale non ha per niente fatto leva su tale ultima tesi per negare rilevanza alla prova emergente ex actis che l’esercizio effettivo della nave era svolto dalla società Bellavista, giacché ha precisato, come si è anticipato, che l’irrilevanza del fatto che alla pubblicità debba essere attribuita efficacia dichiarativa ovvero costitutiva; la seconda è che la tesi della natura costitutiva della dichiarazione di armatore è seguita da una parte minoritaria della dottrina che non ha trovato eco nella giurisprudenza di questa Corte, per la quale, ai sensi dell’art. 265 c.n., è armatore (e quindi anche datore di lavoro dell’equipaggio) chi assume in proprio l’esercizio della nave, sia o no anche proprietario della stessa, mentre, ai sensi del successivo art. 272 (che pone una presunzione “iuris tantum”), il proprietario si presume – fino a prova contraria – armatore ove manchi la dichiarazione (di armatore) prevista dal detto art. 265 (Cass. 12/09/1995, n. 9638; Cass. 09/11/1992, n. 12069).

La Corte d’Appello, quindi – proprio perché ha svalutato ogni rilievo pubblicitario della dichiarazione – avrebbe dovuto applicare il combinato disposto degli artt. 265 e 271 c.n., per cui è armatore chi assume in proprio l’esercizio della nave, sia o meno anche proprietario della stessa; se l’armatore omette di fare la dichiarazione all’ufficio di iscrizione della nave, si presume armatore il proprietario della nave, presunzione peraltro iuris tantum, suscettibile di essere superata fornendo la prova contraria consistente nella dimostrazione, a carico di terzi, di chi sia l’effettivo armatore (Cass. 12/09/1995, n. 9638).

Invece, la Corte d’Appello, pur avendo nella sua disponibilità la prova dell’esercizio effettivo della nave da parte della società Bellavista, l’ha ritenuta erroneamente irrilevante ai fini del superamento della presunzione che armatore fosse il proprietario, nella convinzione che solo una nuova dichiarazione di armatore potesse superare quella precedente. Il codice della navigazione non contiene l’indicazione delle circostanze che debbono essere provate per togliere valore alle conseguenze derivanti dalla dichiarazione di armatore né con quali mezzi di prova possa togliersi valore alla medesima, ma attribuisce una particolare rilevanza all’esercizio della nave quale presupposto per assumere la qualifica di armatore anche da parte di chi non è il proprietario dell’imbarcazione.

6. L’errore della Corte territoriale determina l’accoglimento del terzo e del quarto motivo di ricorso; il primo motivo è infondato, il secondo è inammissibile.

7. Di conseguenza, la sentenza è cassata in relazione al motivo accolto e la controversia è rinviata alla Corte d’Appello di Sassari in diversa composizione che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo ed il quarto motivo di ricorso, dichiara infondato il primo ed inammissibile il secondo. Cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Sassari in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della sezione Terza civile, il 29 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2022

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