Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4430 del 25/02/2014


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Civile Sent. Sez. U Num. 4430 Anno 2014
Presidente: FINOCCHIARO MARIO
Relatore: PICCIALLI LUIGI

Data pubblicazione: 25/02/2014

SENTENZA
sul ricorso 21155-2012 proposto da:
GRAVANTE ROSA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
2014

OVIDIO 20, presso lo studio dell’avvocato LICCARDO

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GAETANO, LANDOLFI E ASSOCIATI, rappresentata e difesa
dagli avvocati VIRGINIO PENNINO, ACTIS GIOVANNI, per
delega a margine del ricorso;
– ricorrente –

contro

COMUNE DI GRAZZANISE, in persona del Commissario
Straordinario pro-tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA LUCULLO 3, presso lo STUDIO LEGALE ADRAGNAZAMPONE, rappresentato e difeso dall’avvocato BATTISTA
ANTONIO, per delega a margine del controricorso;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2831/2012 della CORTE D’APPELLO
di NAPOLI, depositata il 02/08/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/02/2014 dal Consigliere Dott. LUIGI
PICCIALLI;
udito l’Avvocato Giovanni ACTIS;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MAURIZIO VELARDI, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

n. 21155.12

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione dell’11.3.2000 il Comune di Grazzanise convenne al giudizio del
Tribunale di S.Maria Capua Vetere la sig.ra Rosa Gravante,a1 fine di sentir pronunziare la
risoluzione,per inadempimento della medesima,della convenzione,stipulata in data

concesso la gestione di un campo da tennis con annessi spogliatoi e di un adiacente terreno
di proprietà comunale, per complessivi mq.8.219,per un canone di £ 4.500.000 annue,
corrispettivo compensabile con le spese che la Gravante si era impegnata a sostenere per la
realizzazione di un campo da calcetto,di un parco giochi,di un chiosco per la vendita di bibite
e di una recinzione dell’intera area,opere per le quali la medesima avrebbe dovuto munirsi
delle occorrenti autorizzazioni amministrative e che,a1 termine del, rapporto previsto in
quindici anni,avrebbero dovuto essere acquisite al patrimonio comunale.
A sostegno della domanda risolutoria e della conseguente richiesta di condanna al
pagamento dei canoni insoluti,con rivalutazione ed interessi,l’ente attore esponeva che la
Gravante si era resa totalmente morosa ed aveva realizzato sull’area comunale in questione
una serie di opere,tutte prive di autorizzazione edilizia e comunque non assentite
dall’amministrazione, parte delle quali neppure previste nella convenzione.
Costituitasi la convenuta,contestò la domanda,tra l’altro e preliminarmente eccependo il
difetto di giurisdizione e la “litispendenza” di analogo giudizio innanzi al T.A.R. della
Campania, per l’assunta natura concessoria del rapporto,sostenendo,nel merito,che in luogo
del campo da tennis,in condizioni di abbandono, e sul resto dell’area,già incolta e paludosa,
aveva realizzato un moderno e funzionale centro sportivo,per cui propose anche domanda
riconvenzionale per il rimborso delle migliorie e addizioni,in misura di £ 1.500.000.000.
All’esito di istruttoria documentale e consulenza tecnica di ufficio,con sentenza monocratica
del 5.10.2009 l’adito tribunale,dichiarata la propria giurisdizione, in accoglimento della

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30.12.1988 a seguito di delibera consiliare del 22.9.1988,con la quale aveva alla suddetta

domanda attrice e disattesa la riconvenzionale,condannò la Gravante al rilascio del fondo,
previo abbattimento di tutte le nuove opere in esso realizzate, al pagamento dei canoni
insoluti,nella misura di €2324,06 annua,oltre a rivalutazione per le annualità successive alla
prima ed interessi,nonché alle spese del giudizio.
Appellata dalla Gravante,nella resistenza del Comune di Grazzanise,la suddetta decisione

disponendo,in luogo dell’abbattimento delle opere abusive,i1 pagamento in favore dell’ente
appellato della somma di € 37.975,59, pari al costo della relativa demolizione,oltre interessi
e rivalutazione, contenendo nei tre quarti la condanna della soccombente alle spese di ambo
i gradi, per il resto compensate,sulla scorta delle seguenti essenziali ragioni:
a) era da confermarsi la giurisdizione del g.o.,dovendosi escludersi la natura concessoria
del rapporto in contestazione,stipulato dalle parti sul piano paritario,in considerazione
sia dell’appartenenza,contestata solo in grado di appello dalla Gravante,del suolo al
patrimonio disponibile comunale,sia dell’assenza, all’epoca della stipulazione della
convenzione,di una destinazione effettiva ed attuale del bene ad un servizio pubblico;
b) meritevole di conferma era la pronunzia di risoluzione del suddetto rapporto,essendo
risultata incontestata e confermata dalla consulenza tecnica la circostanza che tutte le
opere,in parte anche non previste dalla convenzione,in violazione dei relativi art. 3 e
4,erano prive di autorizzazione edilizia, tanto che,con ordinanza sindacale n. 58/86,
confermata dal T.A.R.Campania con sentenza n. 19832/2055 passata in giudicato,ne
era stata disposta la demolizione;
c) né poteva ritenersi il comportamento del comune contrario a buona fede per mancata
cooperazione con la controparte,non avendo quest’ultima mai richiesto le occorrenti
autorizzazioni alla realizzazione delle opere,che neppure potevano considerarsi
tacitamente assentite dall’ente,con il rilascio delle licenze di vendita e
somministrazione di bevande alcoliche e di esercizio di pasticceria e gelateria
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veniva parzialmente riformata dalla Corte di Napoli,con sentenza dei 3/7-2/8/2012,

nell’ambito del complesso,atteso il diverso oggetto di tali provvedimenti,peraltro
riguardanti attività commerciali da svolgersi soldlctmi dei manufatti;
d) era anche da escludersi che le opere costituissero miglioramenti indennizzabili, per la
natura abusiva delle stesse,in violazione di specifica clausola contrattuale,oltre che
per l’eccedenza rispetto alle previsioni negoziali,ragioni per le quali legittimamente il

ordinarne la demolizione;
e) quanto all’azione di ingiustificato arricchimento,proposta soltanto in grado di
appello,la stessa era inammissibile ex art. 345 c.p.c,tanto più che non era stato
provato,né dedotto,i1 necessario riconoscimento

dell’utilitas da parte dell’ente

pubblico;
O non essendo stata inizialmente richiesta la condanna all’eliminazione delle opere
abusive,la relativa statuizione del primo giudice era viziata ex art. 112 c.p.c in
cospetto di una mutalo libelli,per cui andava sostituita con quella risarcitoria,
formulata in citazione per il “maggiotdanno”,relativa all’accertato costo delle
demolizioni;
g) meritevole di conferma ,infine,era anche la reiezione della richiesta di compensazione
dei canoni insoluti con il valore delle opere,tenuto conto dell’ accertata legittimità del
rifiuto del comune di acquisire queste ultime,in quanto abusive e non conformi alla
convenzione.
Avverso tale sentenza la Gravante ha proposto ricorso affidato a sette motivi di censura.
Ha resistito il Comune di Grazzanise con rituale controricorso.
Il giudizio è stato assegnato a queste Sezioni Unite,in considerazione del primo
motivo,deducente la questione della giurisdizione.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

comune aveva manifestato la propria volontà di non acquisirle in proprietà,tanto da

MOTIVI DELLA DECISIONE
§1.Deve essere anzitutto respinta la preliminare eccezione di inammissibilità del
ricorso,formulata nel controricorso e ribadita con la memoria illustrativa del Comune di
Grazzanise,per ritenuta inosservanza del requisito di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c.,considerato

pedissequa trascrizione degli atti del giudizio di merito,avendo invece riportato,sia pur
testualmente, le parti salienti,rilevanti ai fini del presente giudizio di legittimità, intercalando
i relativi brani trascritti con i necessari elementi di raccordo,opera dell’estensore del ricorso,
in guisa tale da consentire una sufficiente comprensione delle vicende processuali di merito
e delle questioni esaminate dai giudici a quibus,ancora rilevanti in questa sede in funzione
dell’esame delle censure devolute a questa Corte.
Del tutto generico è poi l’ulteriore profilo dell’ eccezione,secondo cui i motivi sarebbero
“irrispettosi dei requisiti di cui al n. 4 ed al n. 6 dell’art. 366 c.p.c.” ed “irregolari”,perché
non “dedotti specificamente” ma riferentisi ” a “difese del giudizio di merito e mancanti delle
specifiche ragioni di diritto del denunciato errore”,oltre che difettanti di “autosufficienza”.
Tali carenze,in particolare,non si ravvisano nel primo motivo di ricorso,che risulta
abbastanza chiaro,sia nella formulazione,sia nelle motivazioni,e la cui assorbente fondatezza
— per quanto di seguito si dirà – dispensa dal prendere in esame le censure rivolte dal
controricorrente alla correttezza formale dei successivi mezzi d’impugnazione.
§ 2. Con tale motivo vengono dedotte violazione e falsa applicazione degli artt. 826
cod.civ.,5 co.I L. 6.12.1971 n. 1034 e 33 co.I Dlgs. n. 80 del 1998,con connesse
omissione,insufficienza,carenza e contraddittorietà della motivazione su punti decisivi della
controversia,ribadendo l’eccezione di difetto di giurisdizione,sull’assunta appartenenza dei
beni oggetto della convenzione del 30.12.1998 al patrimonio indisponibile del Comune di

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che la ricorrente non si è limitata,nella narrativa del proprio atto di impugnazione,alla

Grazzanise,con la conseguente devoluzione della controversia,attinente ad un rapporto di
concessione, alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo.
A sostegno della censura si deduce che la corte di merito,pur avendo correttamente disatteso
l’erronea premessa dell’affermazione della propria giurisdizione da parte del primo giudice
(secondo cui,perché il bene potesse ritenersi effettivamente destinato ad un pubblico servizio,

necessario che il servizio potesse essere erogato esclusivamente dalla P.A.),non ne avrebbe
tuttavia tratto coerenti conclusioni,laddove,pur dando atto dell’esistenza sul fondo di un
campo da tennis,avrebbe escluso la destinazione al pubblico servizio per la sola circostanza
che l’impianto era risultato,dalla consulenza tecnica e dalle ammissioni della stessa parte
attrice,in condizioni di degrado e disuso. Così argomentando,si soggiunge,la corte di merito
avrebbe indebitamente valorizzato lo stato dei luoghi,dovuto a circostanze contingenti,a1 fine
di escludere una destinazione oggettiva e funzionale,a suo tempo impressa al bene,fin dal
relativo acquisto avvenuto nel 1961,in forza di esecuzione di una delibera di giunta (n. 94 del
20/10) con poteri consiliari,prodotta in copia agli atti dallo stesso comune,con la quale era
stata prevista la destinazione del fondo “unicamente per la costruzione del Campo Sportivo e

dopo il trasferimento non potrà essere adibito per altre destinazioni”. Tale destinazione non
sarebbe venuta meno,per il solo fatto che l’impianto era di fatto caduto in stato di degrado,e
sarebbe stata confermata successivamente con la delibera consiliare n. 29 del 3.3.1988 (anche
prodotta dal comune),con la quale era stato stabilito di “cedere in concessione la gestione del

campo da tennis alla citata richiedente.. “,vale a dire a Rosa Gravante.
Conseguentemente,rientrando il bene nell’ambito del patrimonio indisponibile,la relativa
gestione conferita ad un privato non avrebbe potuto che fondarsi su un rapporto concessorio,
con conseguente devoluzione della controversia alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo,risultando poco o punto rilevante,trattandosi di “concessione — contratto”,la
ritenuta mancanza di una posizione di supremazia dell’ente concedente.
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non sarebbe stata sufficiente la relativa destinazione ad una collettività indistinta di utenti,ma

Il motivo è fondato.
Costituisce principio costantemente affermato nella giurisprudenza di questa Corte (v.,in
particolare,S.U. n. 391/1999,n.16831/2002) quello secondo cui,ai fini della qualificazione di
un bene quale appartenente al patrimonio indisponibile di un ente pubblico,ai sensi dell’art.
826,co.3 u.p.,cod.civ.,la destinazione ad un pubblico servizio,che tale indisponibilità

da una manifestazione di volontà dell’ente proprietario, espressa in un atto amministrativo ad

hoc,con il quale il bene sia stato destinato al soddisfacimento di una esigenza della
collettività, e dii, quello “oggettivo”,che ricorre nei casi in cui tale destinazione

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pubblico

interesse sia stata concretamente attuata.
Altrettanto consolidato è il principio secondo cui “gli impianti sportivi di proprietà comunale

appartengono al patrimonio indisponibile del Comune ai sensi dell’art. 826, ultimo
comma,cod. civ.,essendo destinati al soddisfacimento dell’interesse proprio dell’intera
collettività allo svolgimento delle attività sportive che in essi hanno luogo “,con la
conseguenza che ,”qualora tali beni siano trasferiti nella disponibilità di privati perché ne

facciano determinati usi mediante concessione amministrativa (che costituisce il solo
strumento con cui tale trasferimento può essere realizzato), restano devolute al giudice
amministrativo a norma dell’art. 5,primo comma,della legge 6 dicembre 1971 n.,1034,le
controversie connesse al rapporto…” (v. S.U.n. 10013/2001,conf. successivamente,S.U. n.
17926/2008,relativa ad una controversia tra un Comune ed un privato,in tema di
ampliamento e gestione di un complesso sportivo).
Nel caso di specie,come risulta dalla incontroverse e documentate vicende relative al bene in
questione,tale destinazione venne impressa al fondo in occasione dell’approvazione del suo
acquisto (operato in virtù di una permuta tra il locale Ente Comunale di Assistenza ed il
Comune di Grazzanise ) contenuta nella delibera n. 94 del 20.10.1961,assunta in via di
urgenza con i poteri del Consiglio,dalla Giunta Comunale, con la quale ,”dovendo realizzare
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connota,debba risultare da un duplice ordine di requisiti,d&quello c.d. “soggettivo”,costituito

al più presto il campo sportivo”, si dava atto della cessione del descritto fondo che “dovrà
servire unicamente per la costruzione del campo sportivo e dopo il trasferimento non potrà
essere adibito per altre destinazioni”.
A tale atto di inequivoca e tassativa destinazione,integrante l’elemento soggettivofece
seguito,sul piano oggettivo, la realizzazione di un campo sportivo e degli annessi spogliatoi,

tecnico di ufficio,sia pur evidenziandone lo stato di degrado ed abbandono.
Da tali condizioni dell’impianto e del circostante terreno la Corte d’Appello ha ritenuto di
poter desumere l’insussistenza attuale della destinazione in questione e,pertanto,la natura
patrimoniale del bene, in virtù di una sorta di regressione dello stesso dal novero di quelli
previsti dal terzo cornma,nel quale pur era entrato a far parte all’epoca della realizzazione
dell’impianto, in conformità alla deliberata destinazione pubblica,a quello di cui al primo
comma dell’art. 826 cod. civ.,per effetto del successivo disuso.
Siffatta impostazione della tematica centrale del giudizio non è tuttavia condivisibile, non
avendo la corte di merito considerato come,se per l’assunzione della qualità di bene
patrimoniale indisponibile è necessario il duplice requisito delle volontà e della concreta
destinazione da parte dell’ente proprietario del bene ad un pubblico servizio,analogamente ed
in senso inverso debba esigersi,perché possa configurarsi una dismissione di tale qualità e la
conseguente regressione al patrimonio disponibile, una manifestazione di volontà in tal senso
espressa con un atto amministrativo,oltre alla materiale cessazione della destinazione del
servizio cui il bene era destinato.
Ma una tale manifestazione di volontà dell’ente, di far venir meno la suesposta
destinazione,nel caso di specie,oltre a non essere stata accertata,risulta invece smentita
proprio dal tenore della convenzione in data 30.12.1988 stipulata tra il Comune e la
Gravante,e,soprattutto,dalla delibera consiliare autorizzativa n. 129 del 3.3.1988,con cui si
era stabilito non di cedere in locazione un fondo qualsiasi ad un privato,bensì di dare “in
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la cui esistenza in loco , come si rileva dalla sentenza impugnata, fu constatata dal consulente

concessione la gestione del campo da tennis alla citata richiedente”,prevedendo non solo la
ristrutturazione dell’impianto esistente,ma anche un ampliamento ( comprensivo di una
piscina),e, soprattutto la restituzione all’ente territoriale proprietario,con acquisizione dei
relativi manufatti,del complesso nel termine di quindici anni,così inequivocamente
ribadendosi quella originaria destinazione,mai venuta meno,ma soltanto di fatto trascurata

fabbricati descritti nella consulenza tecnica.
Non essendo dunque sufficiente,per le considerazioni sopra espresse,la mera e patologica
disfunzione del pubblico servizio, cui il complesso era stato destinato,a farlo degradare a
bene patrimoniale disponibile,ed essendo stata la suddetta destinazione confermata nella
temporanea concessione della relativa gestione,con obbligo di ampliamento,a1 privato,la
controversia sul relativo rapporto,di natura concessoria,avrebbe dovuto essere instaurata
innanzi al giudice amministrativo,in conformità ai principi affermati dalla giurisprudenza in
precedenza citata,ravvisanti la relativa giurisdizione esclusiva.
§3. I successivi motivi di ricorso,tutti formulati in via subordinata, per l’ipotesi di ritenuta
appartenenza della controversia alla giurisdizione ordinaria,restano assorbiti
dall’accoglimento del primo.
§ 4. Il ricorso va conclusivamente accolto e la sentenza impugnata cassata,dichiarandosi ex
art. 382 co. 1 c.p.c. la giurisdizione del giudice amministrativo.
§ 5. Sussistono,tuttavia,giusti motivi,per la totale compensazione delle spese del presente
giudizio e di quelli di merito,tenuto conto dell’obiettiva controvertibilità delle questioni
affrontate e dell’assenza di precedenti giurisprudenziali di legittimità, sullo specifico tema
della possibilità e delle modalità di regressione di un bene dal patrimonio indisponibile a
quello disponibile degli enti pubblici.
P.Q.M.

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negli anni successivi alla realizzazione da parte del Comune del campo e degli annessi

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso,dichiara assorbiti i rimanenti,cassa la sentenza
impugnata,dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo e compensa totalmente le
spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma ,a sezioni unite,!’ 11 febbraio 2014.

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