Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4429 del 25/02/2014


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Civile Sent. Sez. U Num. 4429 Anno 2014
Presidente: FINOCCHIARO MARIO
Relatore: PICCIALLI LUIGI

Data pubblicazione: 25/02/2014

SENTENZA

sul ricorso 19552-2010 proposto da:
CROCIONI ADONELLA, elettivamente domiciliata in ROMA,
2014

VIA RICCARDO LANTE GRAZIOLI 16, presso lo studio degli

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avvocati CHIABOTTO SUSANNA, BONAIUTI PAOLO, che la
rappresentano e difendono per delega a margine del
ricorso;
– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;
– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 21/04/2010;

udienza del 11/02/2014 dal Consigliere Dott. LUIGI
PICCIALLI;
udito l’Avvocato Paolo BONAIUTI in proprio e per delega
dell’avvocato Susanna Chiabotto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MAURIZIO VELARDI, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

n. 19552.10

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso del 5.10.2007 la sig.ra Maria Adonella Crocioni,quale erede di Gaetano
Cavargini (deceduto 1’8.3.2007), adì ai sensi della legge 24.3.2001 n. 89 la Corte d’Appello
di Roma,a1 fine di sentir condannare il Ministero dell’Economia e delle Finanze all’equa
riparazione in misura di 88.000.00, per violazione del termine di ragionevole durata del

fondamentali,ratificata in Italia con la legge n. 848 del 1955.
A sostegno della domanda la ricorrente dedusse che il Cavargini, un ex carabiniere collocato
in congedo dal 1959, dopo aver vanamente chiesto in sede amministrativa,fin dal 1957, il
miglioramento del proprio trattamento pensionistico in conseguenza di aggravamento delle
infermità contratte per cause di servizio,con ricorso del 27.3.1976 aveva adito la sezione
giurisdizionale per la Regione Umbria della Corte dei Conti,vedendosi respingere la
domanda,con sentenza del 23.4.2002,confermata in appello con quella in data 11.4.2007
della 2^ Sezione Giurisdizionale Centrale;sicchè l’intero processo,ivi compresa la fase
amministrativa che ne costituiva necessario antecedente,aveva avuto la durata di 50 anni,così
largamente superando quella consentita dalla citata normativa nazionale e sopranazionale.
Con decreto in data 2.11.2009,pubblicato il 21.4.2009,Padita Corte d’Appello,in parziale
accoglimento della domanda,cui l’ amministrazione,non costituendosi,non aveva resistito,
condannò quest’ultima al pagamento della somma di € 25.000,00,oltre agli interessi legali
dalla data del ricorso,ritenendo che il processo avrebbe dovuto durare complessivamente
cinque anni (tre in primo e due in secondo grado),e che,pertanto,la sua durata di trenta anni,
non comprensiva delle fasi amministrative della vertenza,protrattasi dal 1976 al 2007,né
dell’intervallo di un anno tra i due gradi, dovuto a scelta dell’appellante nella proposizione
del gravame, aveva ecceduto il termine ragionevole massimo di 25 anni,per ciascuno dei
quali, nel rispetto dei parametri correnti indicati dalla Corte Europea di Giustizia,andava
riconosciuto un equo indennizzo di mille euro.
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processo,di cui all’art. 6,par.I della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle libertà

Nell’escludere dal computo la durata del procedimento amministrativo che aveva preceduto
quello giudiziario,la corte territoriale ritenne di conformarsi al “più recente e ormai
consolidato orientamento” di questa Suprema Corte,secondo cui l’art. 6 della citata
convenzione europea,salvaguardando il diritto alla definizione di una causa “entro un termine
ragionevole da parte di un tribunale indipendente e imparziale”,farebbe chiaro ed esclusivo

Avverso detto decreto la Cavargini,dolendosi dell’esclusione del suddetto periodo,
proponeva ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, deducente violazione e falsa
applicazione dell’art. 3 L. 89/2001 in combinato disposto con l’art. 6 della CEDU,censura
corredata da adeguato quesito di diritto ex art. 366 bis c.pc. ed illustrata con successiva
memoria.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze non svolgeva attività difensiva.
Con ordinanza del 31.5.2013,1a prima sezione civile di questa Corte,davanti alla quale il
ricorso era stato discusso alla pubblica udienza del 6.6.2012,ravvisando un contrasto di
giurisprudenza tra le pronunzie di questa Corte,cui si era conformata quella d’Appello,ed
altre,secondo cui ai fini della ragionevole durata del processo ed agli effetti dell’equa
riparazione dovuta in base alle norme sopra citate,dovrebbe tenersi conto anche della fase
amministrativa della vertenza,nei casi in cui l’esaurimento della stessa costituisca condizione
necessaria perché il giudizio abbia luogo e non ne sia normativamente previsto un termine
massimo,ha rimesso gli atti al Primo Presidente,i1 quale ha assegnato la definizione del
giudizio a queste Sezioni Unite.
Neppure in questa fase l’amministrazione intimata ha svolto attività.
Ulteriore memoria illustrativa è stata,infme,depositata per la ricorrente.
MOTIVI DELLA DECISIONE
§ 1. Queste Sezioni Unite,a1 fine dirimere il contrasto di giurisprudenza evidenziato da quella
rimettente, sono chiamate a pronunziarsi sulla questione,compendiabile nei seguenti termini:

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riferimento all’esercizio della funzione giurisdizionale.

”se la legge n. 89 del 2001,art 2- stabilendo,con il richiamo dell’art. 6,paragrafo 1,della
CEDU,che ogni persona ha diritto a che la causa sia esaminata equamente,pubblicamente e
ragionevolmente da un tribunale indipendente ed imparziale-faccia riferimento all’esercizio
della funzione giurisdizionale ed escluda perciò la possibilità di tener conto anche del
preventivo svolgimento di un procedimento amministrativo,oppure consenta di considerare

o no un termine di durata”.
§2. Al quesito di cui sopra hanno fornito risposta positiva alcune decisioni della prima
sezione civile di questa Corte,la prima dellt quali,la n. 21045 del 2004,emessa in fattispecie
(analoga a quella formante oggetto del presente giudizio) di controversia pensionistica
promossa da un militare di leva,svoltasi in sede giurisdizionale davanti alla Corte dei Conti e
preceduta dal vano esperimento del procedimento amministrativo presupposto innanzi al
Ministero della Difesa. Della durata (sei anni) di tale procedimento la citata pronunzia
sezionale, cassando con rinvio il decreto della corte territoriale che aveva escluso detto
periodo dal computo in questione,stabilì che si dovesse tener conto ai fini dell’equa
riparazione,valorizzando,sul piano normativo,la previsione di cui all’art. 2,comma
secondo,della L. n. 89/2201, nella parte prevedente che, nell’accertare la violazione del
principio della ragionevole durata del processo come sopra dettato dalla Convenzione per la
salvaguardia di diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, debba considerarsi,tra l’altro,i1
comportamento non solo delle parti e del giudice durante il procedimento,ma anche “quello

di ogni altro soggetto chiamato a concorrervi o a contribuire alla sua definizione”.
In tale novero,secondo la suindicata decisione e di quelle successive (nn.7118, 9853 e 2618
del 2006,23385 del 2007), che alla medesima si conformarono (peraltro concludendosi tutte,a
differenza della prima,con pronunzie di rigetto,sulla base del “distinguo” di cui si dirà
subito), rientrebbero anche gli organi della Pubblica Amministrazione in tutti quei casi nei
quali il previo esperimento di un procedimento amministrativo sia imposto quale condizione

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la durata di tale procedimento,a seconda del fatto che per esso sia normativamente previsto

necessaria perché il giudizio possa aver luogo,purchè per il relativo esaurimento non sia
normativamente previsto un termine massimo di durata (donde il rigetto,nei casi esaminati,in
cui siffatti termini erano previsti dalle norme di riferimento). La ragione di tale accezione
della citata disposizione è stata indicata,in tutte le citate pronunzie, nella considerazione
che,quando manchi la predeterminazione normativa di un termine massimo di durata del

indipendente ed imparziale resterebbe esposti alla incontrollata possibilità di vanificazione,
mediante prolungamento a tempo indeterminato del procedimento di sua competenza, da
parte della P.A.,tenuta ad esaminare in tale preventiva fase la domanda dell’interessato.
§3. Risposta negativa al quesito è stata invece fornita da altre,più numerose,sentenze,sulla
scorta dell’essenziale considerazione,ritenuta dirimente,che il processo,cui la nonna CEDU e
quella nazionale applicativa fanno riferimento,è solo quello giurisdizionale,mentre il
procedimento amministrativo che lo preceda,anche nei casi in cui il relativo esperimento sia
obbligatorio,ne costituisce soltanto un presupposto,con la conseguenza che dello stesso non
possa tenersi conto ai fini della “ragionevole durata del processo”,restando al di fuori di
quest’ultimo,non potendo gli organi,davanti ai quali si sia svolto,considerarsi soggetti
chiamati a concorrere al giudizio o alla sua definizione,diversamente da quelli che abbiano,
dopo l’inizio della fase giurisdizionale,svolto attività,di collaborazione o esecuzione,
comunque incidenti sulla durata del relativo processo (v. 5386/2004,9411/2006, 28105/2009,
2088/2010,13088/2010, 12279/2011,tutte della prima sezione civile).
Particolare menzione merita la sentenza della prima sezione n. 1184/2006 (relativa alle
lungaggini dei procedimenti penali instaurati a seguito del disastro aereo di Ustica del 1980),
nella quale, pur fornendosi un’interpretazione non strettamente “endoprocessuale” dell’art.
2,co.2 sopra citato,nella parte ne occupa,includendo, tra i soggetti chiamati a concorrere o
contribuire alla definizione del processo,non solo quelli addetti agli uffici giudiziari con
mansioni collaborative o esecutive,o svolgenti funzioni di ausiliari del giudice,ma anche

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procedimento amministrativo presupposto,i1 concreto esercizio del diritto di adire un giudice

ogni altra “autorità legislativa od amministrativa,la cui attività abbia in concreto inciso sulla
procedura”,i1 riferimento risulta tuttavia implicitamente limitato alle incidenze dei
comportamenti di siffatti organi su procedimenti giudiziari già in corso.
§ 4. Sul versante dottrinario,la maggior parte degli autori evidenzia (taluno prendendo
spunto anche dai lavori parlamentari che avevano condotto al varo della L. 24.3.2001 n. 89,

relativo a funzioni o mansioni comunque ricadenti all’interno di una fattispecie processuale,
sia pure in guisa tale da comprendere non solo quegli organi che,in via normale o
istituzionale,svolgono compiti ausiliari e complementari rispetto all’amministrazione della
Giustizia,bensì comprendendovi qualsiasi organo pubblico comunque concorrente,a richiesta
del giudice o delle parti,quale elemento necessario o funzionale, all’avanzamento dell’iter
processuale.
Alcuni altri autori si limitano a registrare,senza prendere tuttavia posizione sul
tema,l’accezione più “larga” fornita dalle pronunzie citate sub §2.
§ 5 Di nessun apporto alla suddetta interpretazione “estensiva” è,infme, la giurisprudenza
della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nelle cui più significative pronunzie in materia,pur
sottolineandosi costantemente la necessità di aver riguardo alle condotte delle autorità non
solo giudiziarie,ma anche amministrative coinvolte nel processo,altrettanto costante risulta
tuttavia il riferimento alla pendenza di un procedimento giurisdizionale (v. CEDU,30/1/2001,
Holzinger/Austria, 28/11/2000,Ro sshulber/Austri a, 7/11/2000,Anagnostopoulos/Grecia,
18/2/1999,Laino/Italia, 15/11/1996,Ceteroni/Italia,8/2/1996, Commissione/Danimarca.
§ 6. Premesso quanto precede, ritengono queste Sezioni Unite che il contrasto come sopra
delineato sia da risolvere nel senso di cui al secondo dei riportati indirizzi giurisprudenziali,
che risulta il più aderente alla lettera ed alla ratio della norma in considerazione,mentre
quello minoritario costituisce il frutto di uno sforzo ermeneutico,dettato dall’intento di
colmare una ritenuta lacuna del sistema,che si risolve,in realtà,non nell’interpretazione

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c.d.”legge Pinto”),come il riferimento ai “soggetti” in questione sia da intendersi quale

estensiva della norma internazionale e di quella nazionale applicativa,bensì in una vera e
propria operazione di applicazione analogica,incompatibile con la natura chiaramente
eccezionale della disposizione,che operando una vera e propria “rivoluzione” nel sistema dei
rapporti tra cittadini e Stato,ha reso quest’ultimo patrimonialmente responsabile nei
confronti dei primi dei pregiudizi sofferti per effetto delle lungaggini, dovute alle carenze

processo ed indipendentemente dall’assunto ruolo,attivo o passivo,e dall’accertamento del
torto o della ragione nell’ambito dello stesso.
Tale eccezionale responsabilità,in quanto derivante dal principio contenuto nella più volte
citata convenzione europea,ove il diritto alla ragionevole durata del processo è chiaramente
rapportata a quello di essere giudicato da un “tribunale indipendente ed imparziale”,non può
ritenersi riferibile anche alla protrazione di tutte quelle attività compiute,a1 di fuori del
procedimento giurisdizionale,da altri organismi,ancorchè pubblici,considerato che il
“tribunale” è sinonimo,nella formulazione della norma,di “giudice”,e che prima che
quest’ultimo sia adito o comunque investito della “causa”,i1 processo (giuridiszionale) non
può ritenersi ancora iniziato,anche se,per disposizione normativa,sia prescritto il previo
esperimento di un procedimento (non processo) amministrativo.
In tale fase, invero,quand’anche costituente presupposto necessario,ma non “anticamera”,
del processo vero e proprio (che potrà anche non seguire),i1 rapporto non è ancora instaurato
tra lo “Stato-giudice” (quello che sarà poi,eventualmente,chiamato a rispondere
dell’irragionevole durata in questione) ed il cittadino,vertendo invece tra quest’ultimo e la
Pubblica Amministrazione che,operando al di fuori di ogni controllo da parte del giudice,
riveste,in realtà,i1 ruolo di una vera e propria controparte istituzionale,che potrà essere
successivamente chiamata, ove l’interessato non abbia ottenuto soddisfazione in sede
amministrativa e contesti il relativo provvedimento, a dar conto della legittimità di

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strutturali o ai disservizi patologici, per il solo fatto della irragionevole protrazione del

quest’ultimo nell’ambito di un contraddittorio,da svolgersi in condizioni di parità,davanti ad
un giudice terzo ed imparziale.
Correttamente,pertanto,l’indirizzo giurisprudenziale maggioritario ha evidenziato l’estraneità
al “giusto processo” di tali,sia pur necessarie, fasi amministrative delle vertenze tra cittadini e
P.A.,costituenti le stesse dei meri presupposti del giudizio (così,in particolare,la già citata

alla Corte dei Conti),nel quale il mancato accoglimento della pretesa da parte dell’organo
deputato a valutarla, prima dell’autorità giudiziaria,costituirà poi l’oggetto della decisione,la
cui aspettativa ad una pronunzia,favorevole o sfavorevole che sia,entro un termine
ragionevole, costituente l’oggetto del particolarissimo diritto introdotto dalla convenzione
europea,decorre soltanto dal momento in cui ne sia stato formalmente investito il competente
“tribunale indipendente ed imparziale”,connotato quest’ultimo che,all’evidenza,non è
attribuibile nella fase prodromica all’amministrazione,in quanto potenziale controparte.
§ 7. D’altra parte le esigenze di ovviare a quelle lacune del sistema,che sono alla base della
sostanziale operazione analogica contenuta nelle sentenze citate sub § 2 (fattesi carico di
evitare che la compressione a tempo indefinito del diritto di attivare il processo
giurisdizionale rimanesse senza sanzione ),non sono più sussistenti ( e già non lo erano
all’epoca di tali pronunzie) nell’attuale assetto ordinamentale,ormai connotato,a seguito
dell’introduzione,ai sensi dell’art. 2 della legge 7 agosto 1990 n. 241, di un termine massimo
e generale,applicabile in tutti i casi in cui non lo prevedano disposizioni particolari di legge o
di regolamento, o non abbia provveduto a determinarlo la stessa pubblica amministrazione
nell’ambito della propria autonomia organizzativa (conferita dal comma 2 dell’articolo
citato),entro il quale la P.A. è tenuta a fornire la propria risposta alle istanze ad essa rivolte,
che la disposizione residuale di cui al comma 3 fissa in trenta giorni.
Il sistema di tutela è stato successivamente perfezionato dall’aggiunta al testo della legge
citata dell’art. 2 bis (introdotto con l’art. 7 della legge 18.6.2009 n. 69), prevedente il c.d.

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sent. n. 13088/10,relativo,ad un caso analogo al presente,di giudizio pensionistico davanti

”danno da ritardo”, da omesso o ritardato esercizio della funzione amministrativa,per
inosservanza,dolosa o colposa,del termine di conclusione del procedimento,ed attribuente la
giurisdizione esclusiva al giudice ordinario, ed,infine,completato dalla recente introduzione
di un criterio normativo per la determinazione di tale danno,ad opera dell’art. 28 della legge
9 agosto 2013 n. 98,di conversione con modifiche del D.L. 21.6.2013 n. 69 ( recante

del termine di conclusione del procedimento amministrativo iniziato ad istanza di parte,per
il quale sussiste l’obbligo di pronunziarsi,con esclusione delle ipotesi di silenzio qualificato e
dei pubblici concorsi,è dovuto dall’amministrazione responsabile all’interessato un
indennizzo pari ad 30,00 per ogni giorno di ritardo, con decorrenza dalla data di scadenza
del termine del procedimento,entro il limite massimo di € 2000,00.
L’avvenuta regolamentazione da parte del legislatore delle conseguenze patrimoniali
derivanti dall’illegittima protrazione dei procedimenti amministrativi,con carattere di
generalità e senza alcuna esclusione dal suo ambito di applicazione delle ipotesi in cui detti
procedimenti costituiscano presupposto necessario per l’instaurazione di una successiva
controversia in sede giudiziaria,costituisce ulteriore conferma ex post della estraneità, nel
sistema,anche previgente, di tali particolari procedimenti al processo in senso proprio,che era
ed è soltanto quello che si svolge innanzi ad un giudice,non comprensivo di quegli antefatti
amministrativi,nei quali alla pretesa del cittadino,non ancora sottoposta al vaglio di un
“giudice indipendente ed imparziale”,non è correlata quella aspettativa di definizione entro
un termine di ragionevole durata,a1 quale la convenzione europea prima,e l’ordinamento
italiano poi, in quanto soggetto passivo delle disfunzioni del sistema —giustizia,hanno
ritenuto di riconoscere l’eccezionale tutela indennitaria in questione.
§7. Traendo, dunque, le fila del discorso,vanno affermati i seguenti principi:
I) ” In tema di equa riparazione per superamento del termine di ragionevole durata del
processo,ai sensi dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001,in relazione all’art. 6,par.1,della

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disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia),a termini del quale,in caso di inosservanza

Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali,non è
computabile,ai fini della determinazione della durata del processo,quella del
procedimento amministrativo che lo abbia preceduto,anche quando il preventivo
esperimento ne sia normativamente prescritto, senza predeterminazione di un termine
massimo e lo stesso si sia svolto prima dell’entrata in vigore della legge 7.8.1990 n. 241

particolari disposizioni, di gg. 30), non partecipando siffatti procedimenti della natura
giurisdizionale del processo,che secondo la normativa in precedenza citata è soltanto
quello che si svolge davanti ad un giudice.”
II) “Sono invece computabili, ai fini della suddetta ragionevole durata, i tempi occorsi
per l’espletamento di attività endoprocessuali,riferibili ad organi dell’apparato
giudiziario e ad ausiliari del giudice,nonché le protrazioni del processo determinate
dall’operato di altri soggetti istituzionali,comunque incidenti sul relativo corso”
§ 8. Calando il primo dei sopra enunciati principi nella fattispecie in esame,considerato che
allo stesso si è attenuta la Corte d’Appello di Roma nel provvedimento impugnato,deve
concludersi per il rigetto del ricorso.
§9 Non vi è luogo,infine,a regolamento delle spese del presente giudizio,non avendovi
partecipato l’intimato ministero.
P.Q.M
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma,a sezioni unite,l’ll febbraio 2014.

(prevedente all’art. 2 un termine massimo generalizzato,per i casi non regolati da

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