Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4428 del 23/02/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 4428 Anno 2018
Presidente: D’ASCOLA PASQUALE
Relatore: CRISCUOLO MAURO

ORDINANZA
sul ricorso 12337-2017 proposto da:
DE RISO ALFONSO, domiciliato in ROMA presso la Cancelleria
della Corte di Cassazione, e rappresentato e difeso
dall’avvocato UGO CARDOSI in virtù di procura in calce al
ricorso;
– ricorrente contro

DE RISO ANGELA, DE RISO FILOMENA, DE RISO RITA, DE
RISO ANNA, elettivamente domiciliate in ROMA, VIALE
ANGELICO 97, presso lo studio dell’avvocato GENNARO LEONE,
che le rappresenta e difende in virtù di procura in calce al
controricorso;
– controricorrenti –

Data pubblicazione: 23/02/2018

avverso la sentenza n. 3301/2016 della CORTE D’APPELLO di
ROMA, depositata il 24/05/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 15/12/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le memorie depositate dalle parti;

Con atto del 3.12.1994 le controricorrenti convennero il
ricorrente nonché la madre Varva Giuseppa davanti al
Tribunale di Latina, domandando lo scioglimento della
comunione di un terreno agricolo con sovrastanti fabbricati e di
altro terreno, entrambi siti nel comune di Terracina, già
appartenenti al loro genitore De Riso Michele deceduto ab
intestato in data 28/7/1989.
I convenuti eccepirono innanzitutto la prescrizione del diritto
delle attrici ad accettare l’eredità e in via riconvenzionale
chiesero che venisse dichiarata la nullità della donazione
effettuata dal de cuius in favore della figlia Filomena.
L’adito Tribunale con sentenza non definitiva 1797/2004
accolse l’eccezione di prescrizione del diritto ad accettare
l’eredità e rigettò pertanto la domanda di scioglimento della
comunione avanzata dalle attrici.
La sentenza venne impugnata dalle soccombenti e la Corte
d’Appello di Roma, con sentenza non definitiva n. 1001/2012,
ribaltando l’esito del giudizio, accolse la domanda di divisione
dichiarando aperta la successione di De Riso Michele.
Dispose quindi la rinnovazione del progetto divisionale e rigettò
la domanda dei convenuti volta ad ottenere la dichiarazione di
appartenenza alla comunione legale del terreno acquistato dal
de cuius e dalla moglie.
Per giungere a tale conclusione la Corte di merito rilevò:

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MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

- che l’eccezione di prescrizione del diritto ad accettare
l’eredità doveva ritenersi infondata in presenza di un
tempestivo atto di accettazione tacita, rappresentato dalla
proposizione di un ricorso in Commissione Tributaria contro un
avviso di accertamento di maggior valore dei beni caduti in

che la domanda riconvenzionale di accertamento della

comproprietà del 50% del terreno acquistato dal de cuius
dall’Opera Nazionale Combattenti risultava rinunziata;
– che la domanda di rendiconto formulata dalle appellanti nei
confronti del convenuto doveva ritenersi assorbita in quanto
subordinata all’accoglimento della domanda di accertamento
della comunione legale del terreno.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso De Riso Alfonso e
questa Corte con la sentenza n. 22017/2016 ha rigettato il
gravame nonché il ricorso incidentale delle attrici, volto ad
ottenere l’accoglimento della domanda di rendiconto.
Nelle more la Corte d’Appello di Roma con la sentenza n. 3301
del 24/5/2016, preso atto del deposito della CTU, approvava il
progetto divisionale n. 4 predisposto dall’ausiliario di ufficio,
assegnando i lotti ai germani De Riso, con esclusione della sola
quota da attribuire agli eredi di Varva Giuseppa, deceduta nelle
more del giudizio, atteso che i chiamati alla sua eredità vi
avevano rinunciato.
Disponeva altresì la compensazione per la metà delle spese di
lite, ponendo la residua parte a carico del convenuto, in quanto
soccombente sulla questione decisa con la sentenza non
definitiva.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso De Riso
Alfonso sulla base di un motivo.
Le intimate resistono con controricorso.

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successione;

Il motivo di ricorso denunzia la violazione ed errata
applicazione degli artt. 1117 e 2697, e nella seconda parte, il
mancato rilievo della improcedibilità ed inammissibilità della
domanda per la mancata produzione della certificazione
i pocatasta le.

allegati alla CTU, con atto del 1/7/1994 la condividente Varva
Giuseppa aveva alienato al ricorrente nonché alla moglie
Bellaspiga Lorena una quota pari ad un sesto dei diritti vantati
sui terreni di cui alle particelle nn. 174, 46, 63 e 75, acquistate
a sua volta per successione del coniuge defunto.
Si assume pertanto che ai sensi dell’art. 1113 co. 3 c.p.c.
devono essere chiamati a partecipare alla divisione coloro che
hanno acquistato diritti sui beni comuni in virtù di atti trascritti
prima della divisione della domanda di divisione, quali
litisconsorti necessari, sicchè la mancata partecipazione al
giudizio della Bellaspiga rende lo stesso invalido.
Il motivo è infondato.
Ed, invero, in disparte il difetto di specificità del motivo nella
parte in cui omette di riportare il preciso contenuto dell’atto di
acquisto dei diritti de quibus, mancando altresì la
dimostrazione della effettiva avvenuta trascrizione in epoca
anteriore alla trascrizione della domanda giudiziale di divisione,
vale ricordare che secondo la costante giurisprudenza di questa
Corte (cfr. ex multis Cass. n. 4765/2001) il difetto di integrità
del contraddittorio può essere denunciato in ogni stato e grado
del processo, e rilevato d’ufficio anche dal giudice di legittimità,
incontrando il solo limite della formazione del giudicato (conf.
Cass. 10260/2000; Cass. n. 820/1982; essendosi altresì
precisato che la preclusione del giudicato opera solo per le

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Nella prima parte si rileva che, come emergeva anche dagli

parti del giudizio, senza pregiudizio alcuno per la posizione del
litisconsorte preternnesso, così ex multis Cass. n. 360/1986).
Nel caso di specie, deve ritenersi che il giudicato interno circa
l’integrità del contraddittorio derivi dalla pronuncia della
precedente sentenza di questa Corte n. 22017 del 2016, che

emessa nell’ambito dello stesso giudizio, e con la quale si
decideva in ordine all’an dividendum sit ( per il quale del pari si
palesa la necessità dell’integrità del contraddittorio) non ha
rilevato l’assenza di eventuali litisconsorti, dovendosi quindi
ritenere che si sia formato un giudicato, quanto meno implicito
sul punto, che analogamente a quanto si ritiene accada nel
caso di cassazione con rinvio (cfr. tra le tante Cass. n.
7656/2011, a mente della quale il giudizio di rinvio deve
svolgersi entro i limiti segnati dalla sentenza di annullamento e
non si può estendere a questioni che, pur non esaminate
specificamente, in quanto non poste dalle parti o non rilevate
d’ufficio, costituiscono il presupposto logico – giuridico della
sentenza stessa, formando oggetto di giudicato implicito ed
interno, poiché il loro riesame verrebbe a porre nel nulla o a
limitare gli effetti della sentenza di cassazione, in contrasto col
principio della loro intangibilità, con la conseguenza che deve
escludersi la possibilità per il giudice del rinvio di sindacare la
improponibilità della domanda, dipendente da qualunque
causa, anche da inosservanza di modalità o di termini, pur
essendo la stessa rilevabile d’ufficio in qualunque stato e grado
del processo), impedisce che possa successivamente essere
nuovamente o per la prima volta posta in discussione
l’esistenza di eventuali litisconsorti pretermessi (Cass. n.
21096/2017; Cass. n. 1075/2011).
La censura si rivela tuttavia anche infondata nel merito.

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decidendo sul ricorso avverso la sentenza non definitiva

Ed, infatti, a quanto riferisce lo stesso ricorrente, l’atto di
alienazione compiuto dalla Varva aveva ad oggetto diritti pari
ad una quota di un sesto (e quindi in misura inferiore alla
quota che la stessa poteva vantare iure hereditario sui beni
relitti, il che esclude che all’atto stesso possa attribuirsi la

su singoli beni indivisi, dovendosi quindi a tal riguardo fare
richiamo alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui (cfr.
Cass. n. 9543/2002) la vendita di un bene, facente parte di
una comunione ereditaria, da parte di uno solo dei coeredi, ha
solo effetto obbligatorio, essendo la sua efficacia subordinata
all’assegnazione del bene al coerede – venditore attraverso la
divisione; pertanto, fino a tale assegnazione, il bene continua a
far parte della comunione e, finché essa perdura, il compratore
non può ottenerne la proprietà esclusiva. L’efficacia non
immediatamente traslativa di tale ipotesi di alienazione, con
una portata quindi meramente obbligatoria, trova poi conferma
anche nel recente arresto delle Sezioni Unite, che, ancorchè
con riferimento all’ipotesi di alienazione scaturente dalla
donazione hanno affermato ( cfr. Cass. S.U. n. 5068/2016) che
la donazione della quota di un bene indiviso compreso nella
massa ereditaria è nulla, atteso che, prima della divisione,
quello specifico bene non fa parte del patrimonio del coerede
donante, potendo al più valere come donazione obbligatoria,
qualora nell’atto di donazione sia affermato che il donante è
consapevole dell’altruità della cosa.
Trattasi di affermazione che quindi conferma che la vendita
della quota indivisa vantata su di un bene in comunione non
può che avere efficacia obbligatoria.
Quanto sostenuto nelle memorie di parte ricorrente secondo
cui la cessione in favore anche della moglie avrebbe riguardato

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valenza di una cessione dell’intera quota ereditaria), e peraltro

tutti i beni relitti, oltre a peccare come detto dell’originario
difetto di specificità del ricorso, implica evidentemente
un’indagine in fatto, posto che lo stesso ricorrente ritiene di
poter ricavare tale conclusione sulla base di una lettura della
relazione d’ufficio in combinazione anche con il compimento di

fatto l’identità tra le particelle indicate nell’atto di cessione con
quelle ricavate all’esito dei frazionamenti, attività questa
preclusa in sede di legittimità.
Quindi nel caso in esame deve escludersi che la moglie del
ricorrente sia divenuta una condividente, in quanto della
comunione continua a fare parte l’alienante (cfr. Cass. n.
8315/1990), potendo l’avente causa avvalersi solo dei diritti di
cui all’art. 1113 c.c., con l’ulteriore conseguenza che,
trattandosi di un’avente causa da uno dei partecipanti, pur
avendo diritto ad intervenire nella divisione, ai sensi dell’art.
1113, primo comma, cod. civ., non è parte necessaria nel
giudizio di divisione, al quale devono partecipare soltanto i
titolari del rapporto di comunione, potendo i creditori iscritti e
gli aventi causa intervenire in esso, al fine di vigilare sul
corretto svolgimento del procedimento divisionale, ovvero
proporre opposizione alla divisione non ancora eseguita a
seguito di giudizio cui non abbiano partecipato, senza avere
alcun potere dispositivo, in quanto non condividenti, con
l’ulteriore effetto che la mancata evocazione dei creditori iscritti
e degli aventi causa nel giudizio di scioglimento comporta
unicamente che la divisione non abbia effetto nei loro
confronti, ma non anche l’invalidità della sentenza pronunciata
in loro assenza (cfr. Cass. n. 19529/2012).
Il motivo nella seconda parte denuncia l’omesso rilievo
dell’improcedibilità della domanda di divisione per non avere le

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atti di frazionamento catastale, occorrendo quindi verificare in

parti prodotto i certificati storici catastali e la documentazione
concernente le iscrizioni e trascrizioni nell’ultimo ventennio,
documentazione che avrebbe permesso di riscontrare
l’eventuale esistenza di altri litisconsorti.
Orbene, rilevato che non è contestata l’avvenuta produzione

doglianza risulta evidentemente preclusa dal richiamato
giudicato interno ove si ritenga che la stessa miri a contestare
la violazione della regola del litisconsorzio necessario.
Inoltre risulta chiaramente inammissibile laddove omette di
indicare quali siano i litisconsorti che l’omessa produzione della
documentazione richiamata,, avrebbe impedito di identificare,
non potendo quindi avere seguito ( cfr. ex multis Cass. n.
25810/2013), in quanto volto a denunziare una del tutto
eventuale carenza del litisconsorzio.
Il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da
dispositivo.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30
gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare
atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre
2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013),
che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico
di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza
dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle
spese in favore delle controricorrenti che liquida in complessivi

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della denuncia di successione e delle volture catastali, la

C 4.200,00 di cui C 200,00 per esborsi, oltre spese generali
pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002,
inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza
dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del

dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio del 15 dicembre 2017
Il Presidente

(g,
E Funzionario Giudizì2rio

DEPOSITATO ibi CANCELLERIA
Roma,

2 3 FEB.2013

………

-Funzionarie Giudiziario

contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma

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