Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4428 del 21/02/2017


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Cassazione civile, sez. II, 21/02/2017, (ud. 18/01/2017, dep.21/02/2017),  n. 4428

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15429-2012 proposto da:

S.F., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

LAURA MANTEGAZZA 24, presso lo studio MARCO GARDIN, rappresentato e

difeso dall’avvocato RICCARDO LOPARDI;

– ricorrente –

P.G., C.P., T.F., TO.PA.,

APE SRL, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA A. TRAVERSARI 55,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MARZANO, rappresentati e

difesi dall’avvocato BERARDINO CIUCCI;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

S.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

LAURA MANTEGAZZA 24, presso lo studio dell’avvocato MARCO GARDIN,

rappresentato e difeso dall’avvocato RICCARDO LOPARDI;

– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 103/2012 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 16/02/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/01/2017 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO;

udito l’Avvocato MARCHETTI Alessandro con delega depositata in

udienza dell’Avvocato LOPARDI Riccardo, difensore del ricorrente che

si riporta agli atti depositati;

udito l’Avvocato DI BELLA Dario, con delega orale, difensore dei

resistenti che si riporta agli atti depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi in sub

l’accoglimento per quanto di ragione.

Fatto

ESPOSIZIONE DEL FATTO

Con citazione del 5.7.1992 F.S. convenne innanzi al Tribunale de l’Aquila la APE srl esponendo:

– di essere proprietario di un fondo su cui insistevano diverse costruzioni, attiguo ad altro terreno di proprietà di APE srl;

– le parti avevano concluso un accordo in virtù del quale lo S. concedeva ad APE, al fine di agevolarne l’attività di costruzione di un fabbricato, il premesso di accedere su una porzione del fondo di sua proprietà, mentre quest’ultima si impegnava a realizzare alcune opere, rese necessarie dalle attività di accesso;

– convenuta, la quale aveva esercitato l’accesso al fondo fino al 18.5.1992, aveva realizzato un fabbricato a distanza inferiore a quella legale ed aveva depositato materiale di risulta sul fondo dell’attore, cagionando danni per insorgenza di umidità e pregiudizio alla statica dell’edificio.

Tanto premesso, lo S. chiedeva la condanna della convenuta all’esecuzione dei lavori cui essa si era obbligata, nonchè all’arretramento del fabbricato sino alla distanza legale ed al risarcimento dei danni.

APE srl, costituitasi, negò di essersi impegnata ad eseguire i lavori indicati dall’attore e di aver violato la normativa sulle distanze, in quanto il manufatto dello S. che avrebbe imposto il rispetto delle distanze non poteva qualificarsi come “costruzione” ex art. 873 c.c.

La convenuta spiegò altresì domanda riconvenzionale nei confronti dell’attore, per la rimozione di un manufatto appoggiato al muro di confine e per il pagamento della somma di Lire 5.400.000, a titolo di corrispettivo dei lavori edili eseguiti.

Il Tribunale, assunta prova per testi ed espletata Ctu, accolse parzialmente la domanda dell’attore, di esecuzione da parte della convenuta dei lavori pattuiti e quella diretta ad ottenere l’arretramento del fabbricato da questa edificato, fino ad una distanza di 10 mt dal fabbricato dello S. indicato nell’espletata Ctu con il n. (OMISSIS) ed a 5 mt dal confine.

Il giudice di prime cure accolse inoltre la domanda riconvenzionale proposta da APE srl, di demolizione della tettoia realizzata dall’attore in aderenza al muro di confine;

dichiarò la nullità dell’atto di citazione proposto da APE in separato giudizio (R.G. n. 1630/94), successivamente riunito;

dichiarò la cessazione della materia del contendere in ordine alla domanda di rimozione dei materiali proposta dall’attore.

Rigettò infine le altre domande proposte dall’attore e quelle, riconvenzionali, della società per il pagamento del corrispettivo delle opere, compensando le spese di lite.

La Corte d’Appello de l’Aquila, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarò valida ed accolse nel merito la domanda di APE e per l’effetto condannò lo S. ad arretrare fino alla distanza di 5 mt. dal confine e di 10 mt dal fabbricato frontista i manufatti come identificati nella Ctu al n. (OMISSIS)a e (OMISSIS)b.

Confermò nel resto la sentenza impugnata, disponendo l’integrale compensazione tra tutte le parti delle spese di lite.

La Corte, in particolare, confermò che l’arretramento di 10 mt. del fabbricato APE andava computato con riferimento al solo immobile di proprietà S. identificato dal Ctu con il n. (OMISSIS), dovendo ritenersi irrilevanti gli altri manufatti costruiti a ridosso del muro di confine, in quanto il rispetto della distanza con riferimento a detti manufatti non era stato oggetto della domanda originaria.

Il giudice di appello rigettò la censura relativa al criterio di misurazione delle distanze con riferimento al fabbricato eretto da APE, ritenendola generica e formulata in modo poco chiaro.

Confermò l’accoglimento della domanda di APE, di rimozione o arretramento della tettoia dello S., in quanto eretta successivamente all’edificazione del fabbricato APE, non potendo ritenersi che la stessa integrasse una mera ristrutturazione di un corpo di fabbrica preesistente. Confermò, inoltre, il rigetto della domanda di risarcimento dei danni avanzata dallo S., in quanto non provata.

Sulla domanda proposta da APE nel giudizio R.G. n. 1630/94, successivamente riunito, escluse la nullità dell’atto di citazione, poichè lo stesso risultava sufficientemente determinato, non solo in forza del contenuto dell’atto introduttivo, ma anche sulla base dei dati della successiva memoria tecnica, contenente la specifica indicazione delle opere asseritamente illecite.

Ritenne altresì che la domanda era, nel merito, fondata, alla luce della pacifica circostanza che i manufatti suddetti si trovavano addossati al muro di confine, con conseguente obbligo di arretramento dei medesimi alla distanza di legge.

Rilevò, infine, la carenza di legittimazione dei successori a titolo particolare di APE, T., P., C. e To., evocati nel giudizio di appello dallo S. in qualità di acquirenti, a titolo particolare, di alcune porzioni del fabbricato di proprietà della odierna resistente.

Per la cassazione di detta sentenza, ha proposto ricorso per cassazione, con dieci motivi, lo S..

Ape srl, nonchè i signori T., P., C. e To. hanno resistito con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale, cui lo S. ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo il ricorrente, denunziando la violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè il difetto di motivazione nell’interpretazione del “petitum”, censura la statuizione della sentenza impugnata secondo cui la sua domanda originaria era limitata all’arretramento del fabbricato APE (di 10 mt) dall’immobile principale di sua proprietà, indicato dal ctu con il n. (OMISSIS) e non poteva darsi rilievo al successivo ampliamento della domanda.

Con il secondo motivo il ricorrente censura il medesimo capo della sentenza impugnata sotto un diverso profilo, denunziando l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte d’Appello omesso di considerare che, trattandosi di causa instaurata con il c.d. vecchio rito, anteriore alla Riforma del 1990, l’eventuale ampliamento della domanda doveva ritenersi ammissibile.

I motivi che, in virtù dell’intima connessione, vanno unitariamente esaminati, sono destituiti di fondamento.

Premesso che l’interpretazione della domanda è devoluta al giudice del merito e non è sindacabile nel presente giudizio se adeguatamente motivata (Cass. 22893/2008; 16056/2016), nel caso di specie la Corte d’Appello (come già il giudice di prime cure), con argomentazione logica e coerente ha ritenuto che la domanda dell’attore era limitata alla sola violazione della distanza dal fabbricato identificato in Ctu con il n. (OMISSIS), con ciò procedendo all’accertamento in concreto della volontà della parte. Del pari infondata la deduzione del ricorrente, secondo cui, trattandosi di causa introdotta nel 1992, il giudice aveva errato nell’omettere di dare rilievo al successivo ampliamento della domanda, a fronte della omessa opposizione della controparte.

Si osserva, in contrario, che nel regime normativo antecedente alla novella del codice di rito del 1990, la novità della domanda in primo grado non è eccezione riservata alla parte, ma rilevabile anche su iniziativa del giudice.

Questo potere officioso, si esaurisce allorquando la parte, che potrebbe avere interesse ad impedire l’ingresso della domanda, abbia dichiarato di accettare il contraddittorio o tenuto un comportamento implicante accettazione. Tale comportamento non può peraltro essere ravvisato nel mero silenzio o nel difetto di reazione, anche prolungato nel tempo, alla domanda nuova, dovendo estrinsecarsi in un atteggiamento difensivo inequivoco (Cass. 20949/2015) e consistente nell’accettazione esplicita del contraddittorio o in un comportamento concludente che ne implichi l’accettazione, senza che assuma rilievo decisivo il semplice protrarsi del difetto di reazione alla domanda nuova, nè potendosi attribuire, qualora questa sia formulata all’udienza di precisazione delle conclusioni, valore concludente al mero silenzio della parte contro la quale la domanda è proposta, sia essa presente, o meno, a detta udienza (Cass. S.U. 4712/1996).

Orbene, nel caso di specie il ricorrente non ha allegato, ai fini dell’autosufficienza del ricorso, alcun atto o comportamento della controparte da cui possa desumersi la tacita accettazione in ordine all’ampliamento della domanda originaria del ricorrente.

Con il terzo motivo si denunzia l’omessa pronuncia, e la correlativa violazione dell’art. 112 c.p.c., da parte della Corte d’Appello, in relazione alla questione della erronee modalità di calcolo delle distanze da parte del primo giudice.

Il motivo è infondato.

La Corte di Appello ha infatti specificamente rigettato la relativa eccezione, sollevata dal ricorrente in sede di impugnazione, affermandone la irrilevanza ai fini della domanda di arretramento in relazione alla linea di confine ed al fabbricato distinto al n. (OMISSIS).

Non è dunque ravvisabile il vizio dedotto, che, a differenza dell’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, concerne direttamente la mancata statuizione su una domanda od un’eccezione ritualmente introdotta in causa.

Con il quarto motivo il ricorrente censura la statuizione con cui è stato condannato ad arretrare fino alla distanza di mt. 5 dal confine e di mt. 10 dal fabbricato frontista i manufatti definiti nella Ctu ai nn. (OMISSIS) a) e (OMISSIS) b), denunziando violazione dell’art. 102 c.p.c. per violazione del contraddittorio nei confronti di B.G., proprietaria pro indiviso unitamente al ricorrente, in ragione di 4/34 degli immobili di cui era stata disposto l’arretramento, come desumibile dall’atto di vendita, richiamato nell’espletata Ctu, per notar Ba. dell’11 dicembre 1987 con il quale i signori M.C., + ALTRI OMESSI

Il motivo è fondato.

Conviene premettere che, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, l’azione, di natura reale, volta alla demolizione di un immobile in comunione va proposta nei confronti di tutti i comproprietari, quali litisconsorti necessari dal lato passivo, giacchè, stante l’unitarietà del rapporto dedotto in giudizio, la sentenza pronunciata solo nei confronti di alcuni è inutiliter data. (Cass. 3925/2016).

Il vizio processuale derivante dall’omessa citazione di alcuni litisconsorti necessari, inoltre, può essere dedotto per la prima volta anche in sede di legittimità, alla duplice condizione che gli elementi che rivelano la necessità del contraddittorio emergano, con ogni evidenza, dagli atti già ritualmente acquisiti nel giudizio di merito (senza la necessità di svolgimento di ulteriori attività istruttorie) e che sulla questione non si sia formato il giudicato (Cass. 3024/2012; 27521/2011).

Quanto agli elementi da cui risulta la situazione di comproprietà, richiedente l’integrazione del contraddittorio, nella Ctu espletata nel giudizio di primo grado è specificamente indicato l’atto di acquisto, stipulato per notar Ba. l’11 dicembre 1987, della proprietà degli immobili, limitatamente alla quota del 4/34, in capo alla signora B..

Non può al riguardo ritenersi che sia formato il “giudicato” su tale questione, in difetto di una specifica eccezione e di una pronuncia di rigetto sul punto nel giudizio di merito, nè sulla stessa risulta configurabile il giudicato implicito.

Risulta infatti che solo nella memoria di replica innanzi al giudice di prime cure APE srl si limitò a rilevare genericamente che dalla consulenza tecnica d’ufficio sembrava emergere come lo S. non fosse l’unico proprietario di terreni e fabbricati limitrofi alla proprietà APE.

La mancata pronuncia su tali deduzioni da parte del primo giudice non può peraltro qualificarsi come implicita reiezione di un’eccezione di difetto di integrità del contraddittorio, con la conseguenza che la mancata deduzione del suddetto vizio in sede di impugnazione e l’omessa censura della sentenza che non aveva al riguardo statuito, non può ritenersi idonea a determinate il giudicato interno su tale questione.

Va dunque affermata la nullità dell’intero giudizio, per difetto di integrità del contraddittorio, in relazione alla domanda di demolizione dei manufatti identificati nella consulenza tecnica dell’ing. D.S. con il n. (OMISSIS)a e (OMISSIS)b proposta da APE srl nei confronti del solo S..

Con il quinto motivo il ricorrente, denunziando omessa valutazione delle prove, violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., degli artt. 2697 e 2730 c.c. e difetto di motivazione, censura la statuizione con la quale la Corte d’Appello, pur riconoscendo la preesistenza di un fabbricato di proprietà dello S., ha affermato che non poteva configurarsi una “ristrutturazione”, poichè il manufatto aveva conformazione e posizionamento differente rispetto all’attuale.

Il motivo è inammissibile per genericità, in quanto il ricorrente si limita a dedurre il contrasto della statuizione con le risultanze della Ctu, che viene, nella parte in questione, integralmente riprodotta, e denunzia, in modo del tutto generico e non circostanziato, la mancanza di una puntuale motivazione.

Orbene, premesso che la violazione degli artt. 2697 e 2730 c.c. si riferisce alla errata applicazione dei principi in materia di ripartizione dell’onere della prova, avuto riguardo alla carenza motivazionale si osserva che secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, il vizio di omessa o insufficiente motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, ma non può consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove date dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge, in cui alla prova è assegnato un valore legale (Cass. n. 6064/2008).

Con il sesto motivo di ricorso si censura la statuizione che ha rigettato la domanda di risarcimento del danno derivante dall’edificazione del fabbricato APE a distanza inferiore a quella legale, ritenendo il danno non provato, denunziando la violazione degli artt. 872, 873 e 2043 c.c., nonchè il difetto di motivazione.

Il motivo è fondato.

Si osserva infatti che secondo il più recente e consolidato indirizzo di questa Corte, in tema di violazione delle distanze tra costruzioni, previste dal codice civile e dalle norme integrative dello stesso, quali i regolamenti edilizi comunali, al proprietario confinante che lamenti tale violazione compete sia la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell’illecito, sia quella risarcitoria, ed il danno che egli subisce (danno conseguenza e non danno evento), essendo l’effetto, certo ed indiscutibile, dell’abusiva imposizione di una servitù nel proprio fondo e, quindi, della limitazione del relativo godimento, che si traduce in una diminuzione temporanea del valore della proprietà medesima, deve ritenersi “in re ipsa”, senza necessità di una specifica attività probatoria (Cass. 25475/2010; 16916/2015).

Si osserva inoltre che non ha pregio l’eccezione della controricorrente di novità della domanda.

Ed invero, richiamato il già citato indirizzo secondo cui l’interpretazione della domanda è riservata al giudice di merito, non risulta provata l’allegazione della controricorrente, secondo cui la domanda di risarcimento dei danni dello S., come formulata nel giudizio di primo grado, si riferiva al solo accumulo di materiali e conseguenti infiltrazioni di umidità al suo immobile e non anche alla violazione della distanza tra fabbricati, come invece ritenuto dalla Corte d’Appello, che ha, peraltro, respinto nel merito la domanda risarcitoria anche con riferimento a tale tipologia di danni.

Anche tale capo della sentenza impugnata va dunque cassato.

Con il settimo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e 324 c.p.c., nonchè degli artt. 2697 e 2730 c.c., in relazione al capo della sentenza impugnata che ha rigettato la domanda di condanna di APE al pagamento di 1.000,00 Euro, a titolo di rimborso per le spese sostenute per la realizzazione di un muro al confine tra le proprietà, la cui realizzazione era stata posta a carico di APE, lamentando che la mancata contestazione da parte di quest’ultima avrebbe esonerato il ricorrente dall’onere di fornire la prova dell’ esborso effettuato.

Si osserva in contrario che, fermo il consolidato indirizzo di questa Corte, secondo cui l’esame e la valutazione delle risultanze istruttorie involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito (Cass. 22893/2008; 16056/2016), nei giudizi instaurati con rito ordinario anteriormente all’entrata in vigore della L. 26 novembre 1990, n. 353, (che ha modificato l’art. 167 c.p.c., comma 1, imponendo al convenuto di prendere posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda), quale quello in esame, affinchè il fatto allegato da una parte possa considerarsi pacifico, sì da poter fondare la decisione ancorchè non provato, non è sufficiente la mancata contestazione, occorrendo che la controparte ammetta il fatto esplicitamente o che imposti il sistema difensivo su circostanze e argomentazioni logicamente incompatibili con la sua negazione (Cass. 20211/2012).

Il motivo va dunque respinto.

Con l’ottavo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 163 c.p.c., n. 3) e art. 189 c.p.c., lamentando che la Corte abbia erroneamente escluso la nullità dell’atto di citazione proposto da APE srl nel giudizio 1630/94 nonostante l’inidoneità dell’atto introduttivo ad identificare compiutamente i fabbricati oggetto della domanda di demolizione.

Pure tale motivo è infondato.

Secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, infatti, l’interpretazione della domanda giudiziale, che è riservata al giudice di merito, va compiuta anche avuto riguardo al sostanziale contenuto delle sue pretese onde ai fini della nullità della citazione per omessa determinazione dell’oggetto della domanda, è necessario che il “petitum” sia del tutto omesso o risulti assolutamente incerto, ipotesi che non ricorre quando il “petitum” sia individuabile o determinabile (Cass. 18783/2009).

La nullità della citazione ai sensi dell’art. 164 c.p.c. (nel testo, applicabile “ratione temporis”, anteriore alle modificazioni introdotte dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 9), presuppone infatti la totale omissione o l’assoluta incertezza dell’oggetto della domanda, sicchè non ricorre quando il “petitum” sia comunque individuabile (Cass. 20294/2014).

Orbene, nel caso di specie non è ravvisabile l’assoluta incertezza, in quanto l’oggetto della domanda era certamente determinabile, sulla base delle indicazioni contenute già in atto di citazione (individuandosi quale criterio di identificazione la data di ultimazione delle costruzioni), mentre nella successiva memoria di APE, contenente l’indicazione dettagliata delle opere dello S. asseritamente illecite, l’oggetto fu specificamente determinato.

Con il nono motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 184 c.p.c., avuto riguardo alla mancata ammissione della prova testimoniale, nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., denunziandosi la contraddittorietà della motivazione in relazione alla rilevanza indiziaria attribuita al comportamento processuale di APE, per aver attribuito rilevanza decisiva con riferimento alla data di realizzazione delle opere, al fatto che l’originaria domanda riconvenzionale da questa proposta aveva unicamente ad oggetto la rimozione della tettoia.

Le censure sono entrambe infondate.

La Corte d’Appello, con valutazione di merito che, in quanto coerente e logicamente argomentata, non è sindacabile nel presente giudizio, ha infatti ritenuto l’irrilevanza delle ulteriori prove testimoniali richieste ex art. 345 c.p.c. dal ricorrente, ritenendo la genericità del thema probandum, avuto riguardo, in particolare, alla mancanza di precisi riferimenti temporali.

Deve al riguardo ribadirsi che il mancato esercizio, da parte del giudice di appello, del potere discrezionale di invitare le parti a produrre la documentazione mancante o di ammettere una prova testimoniale non può essere sindacato in sede di legittimità, al pari di tutti i provvedimenti istruttori assunti dal giudice ai sensi dell’art. 356 c.p.c., salvo che le ragioni di tale mancato esercizio siano giustificate in modo palesemente incongruo o contraddittorio (Cass. 1754/2012).

Del pari non sindacabilè nel presente giudizio, in quanto sorretta da motivazione logica e coerente, l’idoneità dell’elemento presuntivo considerato (contenuto della originaria domanda riconvenzionale di Ape) a fondare le conclusioni in ordine alla data di edificazione delle opere fatte discendere dalla Corte territoriale, essendo il relativo apprezzamento sottratto al controllo in sede di legittimità se sorretto da motivazione immune da difetti logici o giuridici (Cass.656/2014).

Spetta infatti al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio (Cass. 8023/2009).

Con il decimo motivo il ricorrente censura la statuizione della Corte d’Appello con la quale il giudice del gravame ha escluso la legittimazione passiva dei signori T., P., C. e To., citati nel giudizio di appello dal ricorrente, in qualità di terzi acquirenti di alcune porzioni degli immobili per cui è causa, denunziando la violazione e falsa applicazione dell’art. 2653 c.c., nonchè degli artt. 100 e 111 c.p.c., deducendo l’opponibilità ai terzi acquirenti della statuizione che abbia accertato la violazione in materia di distanze.

Il motivo è fondato.

La sentenza impugnata muove dal principio enunciato delle Ss.Uu. di questa Corte con la sentenza 12 giugno 2006 n. 13523, in forza del quale la domanda diretta a denunziare la violazione della distanza legale da parte del proprietario del fondo vicino e ad ottenere l’arretramento della sua costruzione, tendendo a salvaguardare il diritto di proprietà dell’attore dalla costituzione di una servitù di contenuto contrario al limite violato e ad impedirne tanto l’esercizio attuale, quanto il suo acquisto per usucapione, ha natura di “actio negatoria servitutis” ed è pertanto soggetta a trascrizione ai sensi sia dell’art. 2653 c.c., n. 1, che, essendo suscettibile di interpretazione estensiva è applicabile alle domande dirette all’accertamento negativo dell’esistenza di diritti reali di godimento. (in tal senso ancora di recente Cass. 10005/2015).

E’ del pari esatto che la domanda giudiziale diretta al rispetto delle distanze legali è stata trascritta dopo che APE srl aveva alienato le unità immobiliari ai signori P., C., T. e To., provvedendo alla trascrizione del titolo.

Il punto è però che gli acquirenti sono stati ritualmente citati, ai sensi dell’art. 111 c.p.c., comma 3, nel giudizio di appello, ed hanno pertanto acquistato la posizione di parte del processo.

Ed invero, il successore a titolo particolare nel diritto controverso, non avendo una posizione processuale e sostanziale distinta da quello del suo dante causa, può in ogni caso intervenire od essere chiamato in causa, senza che in appello operino i limiti risultanti dall’art. 344 c.p.c. (intervento del terzo) e non ostando alla ammissibilità della sua chiamata in causa – che non soggiace neppure ai termini ed alle forme prescritti dall’art. 269 dello stesso codice – la mancata trascrizione della domanda giudiziale (Cass. 2108/1991; 5468/2006).

Da ciò discende che gli acquirenti, a seguito della citazione nel giudizio di appello, soggiacciono agli effetti della sentenza indipendentemente dalla trascrizione della domanda giudiziale (Cass. 10005/2015; 10499/2015), a nulla rilevando la loro mancata costituzione, posto che l’acquisto della qualità di parte deriva dalla instaurazione del rapporto processuale, mediante notifica dell’impugnazione e proposizione della domanda, nei loro confronti.

Non si pone dunque, nel caso in esame, un problema di opponibilità della sentenza nei confronti della parte che non abbia preso parte al giudizio, situazione cui si riferisce la disposizione di cui all’art. 111, comma 4, che fa espressamente salve le disposizioni sull’acquisto in buona fede dei beni mobili e della trascrizione.

In conseguenza della loro partecipazione al processo, attuata ai sensi dell’art. 111, comma 3 codice di rito, infatti, gli acquirenti soggiacciono in via diretta agli effetti della sentenza pronunciata anche nei loro confronti, oltre che del loro dante causa, a nulla rilevando l’anteriorità della trascrizione del loro titolo rispetto alla domanda giudiziale.

Passando al ricorso incidentale, con il primo motivo si censura la statuizione con la quale la Corte d’Appello ha disposto l’arretramento del fabbricato APE fino a rispettare la distanza di 10 mt dal fabbricato S. e 5 mt dal confine di proprietà, denunziando la violazione e falsa applicazione degli artt. 872, 873 e 875 c.c., del D.M. 1968, art. 9 e dell’art. 9 Norme tecniche di attuazione del PRG de l’Aquila.

I ricorrenti incidentali deducono infatti che il fabbricato dello S. sarebbe stato edificato a distanza inferiore dal confine rispetto a quella prevista dalle Norme tecniche di attuazione del PRG de l’Aquila e quindi inferiore a quella legale, con la conseguenza che la Corte d’Appello avrebbe errato nel confermare la statuizione del primo giudice, che aveva disposto l’arretramento di 10 mt. dal fabbricato dello S..

Il motivo è infondato.

La Corte di appello, sulla base del complessivo esame delle risultanze processuali, ha confermato, con valutazione di merito che si sottrae al sindacato di legittimità in quanto adeguatamente motivata, l’accertamento del primo giudice, secondo cui il fabbricato APE era stato edificato a distanza inferiore a quella legale rispetto al fabbricato dello S., dovendo a tal fine considerarsi pure gli sporti costituiti da balconi formati da solette aggettanti, con conseguente obbligo di arretramento dell’immobile APE fino a 10 mt.

Con il secondo motivo i ricorrenti incidentali denunziano la violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè dell’art. 345 c.p.c. lamentando l’omesso esame dell’eccezione con cui avevano dedotto l’inammissibilità della chiamata in causa dei successori a titolo particolare di APE.

Il motivo è infondato.

Come si è già evidenziato in relazione all’esame del decimo motivo del ricorso principale, va infatti affermata l’opponibilità della sentenza nei confronti dei terzi acquirenti, in virtù della loro citazione in giudizio, ex art. 111 c.p.c., comma 3, a nulla rilevando l’anteriorità della trascrizione dell’atto di vendita rispetto a quella della domanda giudiziale e la loro mancata costituzione in giudizio.

Con il terzo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5), avuto riguardo alla statuizione di compensazione delle spese di lite, disposta anche nei confronti dei terzi acquirenti di porzioni dell’immobile di proprietà APE, ai quali non era peraltro opponibile la sentenza di condanna.

L’esame del motivo è travolto dall’accoglimento del ricorso principale con conseguente cassazione della sentenza impugnata, anche in relazione alla regolazione delle spese di lite da essa disposta.

In conclusione, respinto il primo, secondo, terzo, quinto, settimo, ottavo, nono motivo del ricorso principale, vanno accolti il quarto, il sesto ed il decimo motivo.

L’accoglimento del quarto motivo, relativo al capo della sentenza impugnata che ha accolto la domanda di arretramento del fabbricato dello S. proposta da APE srl nel giudizio 1630/94, per violazione dell’art. 102 c.p.c., comporta la nullità dell’intero giudizio avuto riguardo a tale domanda, con conseguente rimessione del procedimento relativo a tale domanda, previa separazione, innanzi al Tribunale de l’Aquila.

La causa va invece rimessa alla Corte d’Appello de l’Aquila in diversa composizione, che provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio in relazione agli altri motivi accolti.

PQM

La Corte accoglie il quarto, sesto e decimo motivo del ricorso principale, respinti gli altri.

Respinge il ricorso incidentale.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia, quanto al quarto motivo al Tribunale de L’Aquila e quanto al sesto e decimo motivo innanzi alla Corte d’Appello de l’Aquila in diversa composizione che provvederà alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2017

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