Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4427 del 18/02/2021

Cassazione civile sez. III, 18/02/2021, (ud. 02/12/2020, dep. 18/02/2021), n.4427

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28535-2019 proposto da:

M.H.S., rappresentato e difeso dall’avv.to DANILO

COLAVINCENZO, giusta procura speciale allegata al ricorso, con

studio in Pescara, via Ludovico Antinori no 6, elettivamente

domiciliato presso la cancelleria civile della Corte di Cassazione

in Roma, piazza Cavour;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– resistente –

Avverso la sentenza b, 525/2019 della CORTE D’APPELLO DI L’AQUILA,

depositata il 18/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del

02/12/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. M.S.H., proveniente dalla (OMISSIS), ricorre affidandosi a tre motivi per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di l’Aquila che aveva confermato la pronuncia con la quale il Tribunale aveva rigettato la domanda di protezione internazionale declinata in tutte le forme gradate, da lui avanzata in ragione del diniego opposto in sede amministrativa dalla competente Commissione territoriale.

1.1. Per ciò che qui interessa, il ricorrente aveva narrato di appartenere ad una famiglia indigente che la madre aveva abbandonato per trasferirsi in Senegal: egli, lavorando con il padre nei campi, aveva provocato un incendio che si era esteso anche nel terreno dei vicini. Temendo di essere arrestato, visto che, per analoga vicenda, ciò era accaduto in passato anche ad un suo amico, era fuggito dal proprio paese, transitando per la Libia dove era stato incarcerato ed aveva subito, per un tempo indefinito, torture e trattamenti disumani e degradanti.

2. Il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” non notificato al ricorrente, chiedendo di poter partecipare alla eventuale udienza di discussione della causa ex art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, artt. 5 e 14 nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 per omesso adempimento del dovere di cooperazione istruttoria.

1.1. Al riguardo, lamenta che la Corte territoriale aveva valutato la credibilità della vicenda narrata in modo non complessivo ma atomistico, non tenendo conto delle condizioni psicologiche in cui egli si trovava al momento dell’audizione dinanzi alla Commissione Territoriale. Si duole, inoltre, dell’omesso esame di fonti ufficiali attendibili ed aggiornate in quanto quelle richiamate nella sentenza erano risalenti nel tempo e non rispecchiavano la condizione del paese in cui sarebbe stato, in ipotesi, rimpatriato: contrappone alle COI utilizzate dalla Corte, il report di Amnesty International del 2017/2018 che giungeva a diverse conclusioni sul trattamento riservato dalle forze dell’ordine ai cittadini e sull’assenza di tutela da parte delle istituzioni statali rispetto alle aggressioni subite da privati, lamentandone il mancato esame.

2. Con il secondo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 3, comma 3, lett. a) e c) ed art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1bis in ordine ai presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 per omessa istruttoria ufficiosa sulle condizioni del paese di provenienza: contesta il mancato aggiornamento delle fonti ufficiali richiamate e ne contrappone altre più aggiornate e di diverso contenuto (cfr. pag. 15 del ricorso).

3. Con il terzo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, infine, il ricorrente deduce l’omesso e contraddittorio esame di un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione fra le parti e cioè il trattamento subito nel paese di provenienza e nel paese di transito in relazione alla sua vulnerabilità che doveva essere comparata con la condizione di integrazione raggiunta in Italia: rispetto a ciò si duole dell’omesso esame della documentazione prodotta a dimostrazione dell’attività lavorativa svolta come presupposto rilevante per il riconoscimento della protezione umanitaria in raffronto con gli altri elementi indicati.

4. Il primo motivo è inammissibile.

4.1. La valutazione della Corte territoriale sulla credibilità dei fatti narrati è stata espressa in modo coerente e logico: è stato affermato, infatti, che le ragioni della fuga – ricondotte dal ricorrente al mero timore di essere arrestato, timore non conseguente nè ad una denuncia nè ad altre forme di minacce da parte dei vicini – doveva ritenersi non attendibile: ciò anche perchè tale vicenda era stata narrata soltanto in sede di audizione, mentre la ragione della fuga che era stata indicata nella domanda di protezione era riferita soltanto a problemi di natura economica.

4.2. Trattasi di una complessiva valutazione di merito, che la Corte ha articolato con motivazione sintetica ma al di sopra della sufficienza costituzionale che, pertanto, risulta incensurabile in sede di legittimità: ciò ridonda, rispetto alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) anche sulla censura riguardante il non corretto espletamento del dovere di cooperazione istruttoria la quale, sulla base di tali premesse, risulta non decisiva per una diversa soluzione della controversia, visto che la valutazione di tali fattispecie – in relazione ai presupposti che devono ricorrere sono strettamente collegate e dipendenti dalla valutazione di credibilità del racconto, esclusa la quale non è necessario che il giudice acquisisca informazioni sulle condizioni del paese di origine.

4.3. Al riguardo, questa Corte ha affermato il principio, condiviso da questo Collegio, secondo cui “in tema di protezione internazionale, quando le dichiarazioni dello straniero sono inattendibili non è necessario un approfondimento istruttorio officioso, se è applicabile ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello “status” di rifugiato o di quelli per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Non può invece essere invocato nell’ipotesi di cui all’art. 14, lett. c) medesimo decreto, poichè in quest’ultimo caso il dovere del giudice di cooperazione istruttoria sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione non credibile dei fatti attinenti alla vicenda personale del richiedente, purchè egli abbia assolto il proprio dovere di allegazione.” (cfr. Cass. 10286/2020; ed, in termini, Cass. 8819/020; Cass. 16122/020; Cass. 19725/020).

5. Proprio sulla base di tale principio il secondo ed il terzo motivo sono fondati, per quanto di ragione.

5.1. Le due censure devono essere congiuntamente esaminate in quanto sono, in parte, sovrapponibili.

5.2. La Corte territoriale, infatti, ha richiamato, in relazione alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) fonti ufficiali non aggiornate ma risalenti nel tempo e non ufficiali (cfr. pag. 4 e 5 della sentenza impugnata, dove vengono menzionati i report dell’Osac del 2012, il settimanale tedesco “(OMISSIS), il sito (OMISSIS) del 2016), nonostante che il ricorrente ne avesse indicate altre più aggiornate e, soprattutto, più attendibili rispetto alle indicazioni del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 riportanti informazioni diverse ed, in ipotesi, utili per una differente soluzione della controversia (cfr. pag. 15 del ricorso dove viene richiamato il report del sito Amnesty International 2017/2018 che descriveva una condizione di insicurezza generalizzata della (OMISSIS)).

5.3. Tanto premesso, le argomentazioni articolate dalla Corte territoriale sul rispetto dei diritti umani nel paese di origine (e sulle condizioni di violenza indiscriminata tali da costituire una minaccia grave alla vita o alla persona in condizioni di conflitto interno) non sono basate su un corretto adempimento del dovere di cooperazione istruttoria ed hanno condotto la Corte territoriale, da una parte, ad un immotivato rigetto della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) e, dall’altra, ad una apodittica valutazione della vulnerabilità del ricorrente in relazione alla protezione umanitaria.

5.4. Con riferimento a tale ultima fattispecie, si osserva che nonostante che la censura sull’omesso esame del trattamento ricevuto nel paese di transito non possa trovare ingresso in questa sede per mancanza di specificità – in quanto il ricorrente non ha riportato nel corpo del ricorso la corrispondente censura spiegata in appello, nè ha indicato la sede processuale nella quale essa possa essere rinvenuta) – risulta erroneamente impostato il giudizio di comparazione che, da una parte, ha svalutato la forma di integrazione dedotta e cioè, l’assunzione nel 2018 in un ristorante (dimostrata attraverso la produzione del contratto di lavoro: cfr. doc 11 e doc 12 richiamati a pag. 33 del ricorso) considerata apoditticamente non sufficiente a costituire “di per se sola elemento idoneo a premiare individuo privo del benchè minimo requisito per ottenere le misure richieste” (cfr. pag. 6 terzo copoverso); e, dall’altra, ha considerato la complessiva vulnerabilità del ricorrente basandosi su un erroneo adempimento del dovere di cooperazione istruttoria.

6. La sentenza, pertanto, deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di L’Aquila in diversa composizione per il riesame della controversia sulla base dei seguenti principi di diritto:

a. “in tema protezione internazionale, il dovere di cooperazione istruttoria del giudice, che è disancorato dal principio dispositivo e libero da preclusioni e impedimenti processuali, presuppone l’assolvimento da parte del richiedente dell’onere di allegazione dei fatti costitutivi della sua personale esposizione a rischio, a seguito del quale opera il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese di origine del richiedente, si verifichino fenomeni tali da giustificare l’applicazione della misura, mediante l’assunzione di informazioni specifiche, attendibili e aggiornate, non risalenti rispetto al tempo della decisione, che il giudice deve riportare nel contesto della motivazione, non potendosi considerare fatti di comune e corrente conoscenza quelli che vengono via via ad accadere nei Paesi estranei alla Comunità Europea”;

b. “Nei giudizi aventi ad oggetto domande di protezione internazionale e di accertamento del diritto al permesso per motivi umanitari, la verifica delle condizioni socio politiche del paese di origine non può fondarsi su informazioni risalenti ma deve essere svolta, anche mediante integrazione istruttoria ufficiosa, all’attualità della decisione di merito”;

c. “secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza che, tuttavia, non deve essere isolatamente ed astrattamente considerato; peraltro, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione che il giudice di merito deve acquisire”.

7.La Corte di rinvio dovrà altresì decidere in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte,

accoglie il secondo motivo di ricorso ed il terzo per quanto di ragione; dichiara inammissibile il primo. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di L’Aquila in diversa composizione per il riesame della controversia in relazione ai motivi accolti ed anche per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2021

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