Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4424 del 20/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 20/02/2020, (ud. 24/10/2019, dep. 20/02/2020), n.4424

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 5135/2017 R.G. proposto da:

G.G., rappresentata e difesa dagli Avv. Glendi Gabriella

e Manzi Luigi, con domicilio eletto in Roma, via Federico

Confalonieri, n. 5, presso lo studio di quest’ultimo;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.

12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Liguria n. 78/2016 depositata il 18 gennaio 2016.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 ottobre

2019 dal Consigliere Nicastro Giuseppe.

Fatto

RILEVATO

Che:

G.G., esercente l’attività avvocato, impugnò davanti alla Commissione tributaria provinciale di Genova (hinc anche: “CTP”) il rifiuto espresso della restituzione dell’IRAP versata per i periodi d’imposta 1998, 1999 e 2000, deducendo l’insussistenza del presupposto di tale imposta per la mancanza del requisito – previsto dal D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2 – dell’autonoma organizzazione dell’attività;

la CTP accoglieva il ricorso della contribuente, con la motivazione che “dall’esame della documentazione esibita, l’istante non ha svolto negli anni di cui trattasi attività professionale con requisiti di “autonoma organizzazione” e cioè con l’impiego di mezzi propri”;

avverso tale sentenza della CTP, l’Agenzia delle entrate propose appello alla Commissione tributaria regionale della Liguria (hinc anche: “CTR”) che, dopo avere rigettato l’eccezione di improcedibilità del ricorso introduttivo sollevata dalla stessa Agenza delle entrate per avere la contribuente medio tempore effettuato la definizione automatica di cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 7, accoglieva, nel merito, l’impugnazione;

avverso tale sentenza della CTR, la contribuente propose ricorso per cassazione per un motivo, con il quale “denuncia(va) violazione della normativa istitutiva dell’IRAP sotto il profilo del presupposto impositivo costituito dalla sussistenza di autonoma organizzazione”;

con l’ordinanza 18/10/2009, n. 22138, questa Corte accolse il ricorso della contribuente con la seguente motivazione: “(I)a ratio decidendi della sentenza impugnata – secondo la quale “svolge attività autonomamente organizzata colui che opera in proprio, senza condizionamento nè di volontà nè di organizzazione altrui, indipendentemente dalla consistenza dell’organizzazione”, in quanto ciò che conta ai fini dell’imposizione “non è la consistenza dell’organizzazione, la quale… può essere anche formata dal solo professionista con dotazione di pochi mezzi ovvero da un’associazione… di professionisti dotate di grandi mezzi e di relativo personale, bensì l’autonomia dell’organizzazione, intesa come propria organizzazione in cui si sviluppi un’attività indipendente, autosufficiente nonchè autodeterminata dal professionista” – non è conforme al consolidato principio affermato da questa Corte in materia, secondo cui, a norma del combinato disposto del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, comma 1, primo periodo, e art. 3, comma 1, lett. c), l’esercizio delle attività di lavoro autonomo di cui al D.P.R. n. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 49, comma 1, è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata: il requisito della “autonoma organizzazione”, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente:

a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;

b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui; costituisce poi onere del contribuente che richieda il rimborso fornire la prova dell’assenza delle condizioni anzidette”;

questa Corte cassò pertanto la sentenza impugnata, rinviando la causa a un’altra sezione della Commissione tributaria regionale della Liguria;

G.G. riassunse la causa davanti a tale Commissione che, pronunciandosi sul giudizio di rinvio, ritenne la sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione dell’attività di avvocato dalla stessa esercitata, rappresentando, al riguardo, che: a) tale attività era stata svolta non soltanto nel proprio studio, ubicato nella casa di abitazione, “utilizzando beni strumentali adeguati”, ma, per ammissione della stessa contribuente, “con l’ausilio” dello studio paterno in Genova, sicchè, ancorchè la stessa avesse dimostrato, tramite i quadri RE delle dichiarazioni relative ai periodi de quibus, di non avere usufruito nè “di personale, nè dell’ausilio di colleghi – per le spese relative agli ammortamenti si fa riferimento a quanto sopra esposto -“, tuttavia, per lo svolgimento della propria attività, “si appoggiava all’organizzazione altrui, senza vincolo di dipendenza”; b) l’utilizzo “non occasionale” delle strutture dello studio del padre “integra il requisito della autonoma organizzazione anche ove il soggetto non faccia parte di tale studio, essendo l’ipotesi del tutto equivalente all’utilizzo del lavoro altrui”, poichè “si sviluppa una capacità produttiva aggiuntiva che deriva dall’organizzazione del lavoro di cui si avvale il professionista”; c) Cass. 28/04/2010, n. 10151 “fa ritenere la rilevanza dello “studio” come elemento di organizzazione, che può essere condiviso solo nella accezione di complesso di beni e/o persone organizzato e finalizzato al supporto dell’attività del professionista, che pare confacente al caso di specie, non rilevandosi la sola accezione di stanza in cui egli esercita la professione, usando gli strumenti indispensabili nell’era attuale, quali personal computer, fotoriproduttore e fax”;

avverso tale sentenza della CTR, depositata il 18 gennaio 2016 e non notificata, ricorre per cassazione G.G., che affida il proprio ricorso, notificato il 20 febbraio 2017, a tre motivi;

l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso, notificato il 3-5 aprile 2017;

G.G. ha depositato una memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 63 e dell’art. 394 c.p.c., in quanto, premesso che, ai sensi di tali disposizioni, la sentenza rescindente vincola il giudice di rinvio sia in ordine ai principi di diritto affermati, sia in relazione ai necessari presupposti di fatto, da ritenersi accertati in via definitiva, nella fase di merito, quali premesse logico-giuridiche della pronunzia di annullamento, la CTR, in sede di rinvio, in contrasto con tali vincoli, ha valutato nel merito la sussistenza dell’autonoma organizzazione, nonostante questa fosse già stata in concreto esclusa dalla sentenza di primo grado della CTP, il cui accertamento sul punto non era stato impugnato dall’Agenzia delle entrate (la quale, nel ricorso in appello, si era limitata a invocare la tesi secondo cui il professionista lavoratore autonomo è soggetto all’IRAP per il solo fatto di operare in proprio, indipendentemente dalla consistenza in concreto della sua organizzazione);

il motivo non è fondato;

questa Corte ha ripetutamente affermato che, “(i)n ipotesi di annullamento con rinvio per violazione di norme di diritto, la pronuncia della Corte di cassazione vincola al principio affermato e ai relativi presupposti di fatto, onde il giudice del rinvio deve uniformarsi non solo alla “regola” giuridica enunciata, ma anche alle premesse logico-giuridiche della decisione, attenendosi agli accertamenti già compresi nell’ambito di tale enunciazione, senza poter estendere la propria indagine a questioni che, pur se non esaminate nel giudizio di legittimità, costituiscono il presupposto stesso della pronuncia, formando oggetto di giudicato implicito interno, atteso che il riesame delle suddette questioni verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza, in contrasto col principio di intangibilità” (Cass., 23/07/2010, n. 17353, 16/10/2015, n. 20981, 22/08/2018, n. 20887);

ciò rammentato, va rilevato che la sentenza rescindente di questa Corte aveva affermato che la ratio della sentenza impugnata, secondo cui “svolge attività autonomamente organizzata colui che opera in proprio (…), indipendentemente dalla consistenza dell’organizzazione”, si poneva in contrasto con il principio che, con riguardo alle attività di lavoro autonomo, “il requisito della “autonoma organizzazione”, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente:

a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;

b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui”;

la sentenza impugnata non ha violato i vincoli che derivavano da tale principio;

quest’ultimo, infatti, col negare la correttezza della tesi secondo cui il professionista lavoratore autonomo è soggetto all’IRAP per il solo fatto di operare in proprio indipendentemente dalla consistenza in concreto della sua organizzazione e col ribadire che il requisito dell’autonoma organizzazione dell’attività professionale ricorre, invece, solo in presenza delle specificate condizioni di fatto, da accertare in concreto, rimetteva al giudice del rinvio proprio il compito di compiere tale accertamento;

lo stesso accertamento, dunque – contrariamente a quanto reputa la ricorrente – non era compreso nell’ambito delle enunciazioni della sentenza rescindente, la quale, perciò, non lo presupponeva;

pertanto, il giudice del rinvio non è andato oltre i compiti a lui assegnati dalla sentenza rescindente di questa Corte;

con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la nullità della sentenza impugnata o del procedimento per violazione dell’art. 115 c.p.c., “in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2″, per avere la CTR posto a fondamento dell’affermata sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione l'”utilizzo non occasionale delle strutture” dello studio paterno “in cui l’attività è stata svolta”, cioè fatti che “erano stati specificamente contestati (…) e (che) non trovano riscontro in alcun dato probatorio, essendovi in atti solo l’allegazione della parte (di svolgere la propria attività, “in larga parte di carattere procuratorio, in maniera strettamente personale, senza avvalersi di personale dipendente”, con “il proprio studio nella casa di abitazione, utilizzando saltuariamente lo studio del proprio padre (…) in quanto in prossimità del Palazzo di Giustizia” e con “beni strumentali (costituiti da cancelleria, libri e autovettura destinata ad uso promiscuo lavorativo e personale) assai esigui e ridotti all’indispensabile”) il cui contenuto risulta ben circoscritto e nient’affatto espressivo di quanto viceversa assunto dal giudice del rinvio a sostegno della propria decisione”;

il motivo non è fondato;

le affermazioni della sentenza impugnata circa l'”utilizzo non occasionale delle strutture” dello studio paterno “in cui l’attività è stata svolta” si basano sulla valutazione, compiuta dalla CTR in sede di rinvio, di quanto affermato dalla stessa ricorrente nel ricorso introduttivo;

l’eventuale erroneità della valutazione di tali affermazioni, acquisite al processo, non è censurabile come vizio di violazione delle norme processuali di cui agli artt. 115 o 116 c.p.c. sussumibile nell’ipotesi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), ma solo per vizio della motivazione, ai sensi del n. 5) di tale comma, entro i limiti consentiti dalla riformulazione questo numero operata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (Cass., 19/08/2019, n. 21460, 12/10/2017, n. 23940);

con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2 e 3, per avere la sentenza impugnata, in contrasto con tale disposizione, ai fini dell’affermazione della sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione dell’attività professionale di avvocato, attribuito rilievo:

all’utilizzazione, nello svolgimento di tale attività, delle “strutture” dello studio paterno; alla disponibilità di uno studio ubicato all’interno della propria abitazione; all’impiego di beni strumentali non eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività;

è necessario richiamare, sia pure sinteticamente, gli elementi costitutivi del presupposto dell’IRAP, come stabiliti dalle norme di legge, nell’interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e di questa Corte;

il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, comma 1, primo periodo, stabilisce che il presupposto dell’IRAP – che lo stesso D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 1, comma 2, definisce come un’imposta a “carattere reale” – “è l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi”;

il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 3, comma 1, lett. c), prevede poi che sono soggetti all’IRAP “le persone fisiche, le società semplici e quelle ad esse equiparate a norma dell’art. 5, comma 3, del predetto testo unico (T.U.I.R.) esercenti arti e professioni di cui all’art. 49, comma 1, del medesimo testo unico”;

con la sentenza 21/05/2001, n. 156, la Corte costituzionale, dopo avere ribadito che l’IRAP non è un’imposta sul reddito, bensì un’imposta di carattere reale che colpisce il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate, ha rilevato che mentre l’elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l’attività di lavoro autonomo, ancorchè svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un’attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o di lavoro altrui, con la conseguente inapplicabilità dell’imposta, per difetto del suo presupposto dell’esercizio abituale di una attività “autonomamente organizzata”, il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto;

Cass., Sez. U., 10/05/2016, n. 9451, in continuità con Cass., Sez. 5, 16/02/2007, n. 3676, ma fornendo “delle precisazioni concernenti il fattore lavoro”, ha chiarito i parametri alla cui stregua la menzionata questione di fatto deve essere valutata, enunciando il principio di diritto che, “con riguardo al presupposto dell’IRAP, il requisito dell’autonoma organizzazione – previsto dal D.Lgs. 15 settembre 1997, n. 446, art. 2 -, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive”;

quanto al riparto dell’onere della prova: nel caso di impugnazione del rifiuto (espresso o tacito) della restituzione dell’IRAP versata, è il contribuente che ha l’onere di provare l’assenza degli indicati elementi costitutivi del requisito dell’autonoma organizzazione (Cass., n. 3676 del 2007; più di recente, Cass., 11/04/2017, n. 9325, 15/02/2019, n. 4576); nel caso di impugnazione della cartella di pagamento e del ruolo relativo all’IRAP non versata, incombe invece sull’amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare il corretto esercizio del potere e, quindi, l’esistenza dei medesimi elementi (ex plurimis, Cass., 24/11/2016, n. 23999);

la giurisprudenza di questa Corte ha poi fornito ulteriori ragguagli relativamente sia ai beni strumentali sia al lavoro altrui impiegati nell’esercizio dell’attività professionale;

per quanto qui rileva, a proposito della disponibilità di uno studio, è stato chiarito che “(I)’uso di uno studio non è (…) di per sè indice dell’esistenza di autonoma organizzazione”, dovendo costituire oggetto dell’accertamento di fatto del giudice di merito “la verifica della “eccedenza” del bene strumentale rispetto al “minimo indispensabile per l’esercizio di attività in assenza di organizzazione”” (Cass., 28/06/2017, n. 16072);

si è in inoltre escluso che sia idoneo a configurare un’autonoma organizzazione l’impiego, nell’esercizio dell’attività professionale, di beni strumentali quali mobili di ufficio, telefono, autovettura, personal computer (Cass., 16/02/2007, n. 3672 e n. 3677) software e archivi (Cass., 28/12/2012, n. 24117);

a proposito dell’utilizzo della struttura organizzativa di un soggetto terzo, questa Corte ha precisato che “l’utilizzo non occasionale delle strutture (di uno studio associato, senza vincolo di dipendenza) integra il requisito della autonoma organizzazione anche ove il soggetto non faccia parte dello studio associato, essendo l’ipotesi del tutto equivalente all’utilizzo del lavoro altrui” (Cass., 15/11/2011, n. 23908);

tanto premesso, va rilevato che la sentenza impugnata ha affermato la sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione dell’attività e, quindi, la sua assoggettabilità all’IRAP, sulla base degli elementi che la contribuente: disponeva di uno studio ubicato all’interno della propria abitazione dove impiegava beni strumentali “adeguati”; operava “con l’ausilio” dello studio del padre, alla cui organizzazione “si appoggiava”, con il conseguente “utilizzo non occasionale delle strutture del medesimo”;

in tale modo, la CTR non ha fatto buon governo dei principi enunciati da questa Corte;

da un lato, infatti, come si visto, la disponibilità di uno studio e l’impiego, nello stesso, di beni strumentali “adeguati” – aggettivo che, in difetto di indicazioni di segno opposto, appare intendersi riferirsi a beni che corrispondono a quanto è comunque necessario per l’esercizio dell’attività – non rilevano, di per sè, ai fini della sussistenza dell’autonoma organizzazione dell’attività;

dall’altro lato, quanto alla struttura organizzativa dello studio del padre, la CTR, in contrasto con gli indicati principi, mostra di ritenere che un qualsiasi avvalimento di essa, quali che ne siano le modalità come si evince dall’utilizzo di generiche locuzioni quali “con l’ausilio” e “si appoggiava” – integri un’utilizzazione rilevante ai fini della sussistenza del presupposto dell’IRAP, laddove, come si è visto, l’utilizzazione delle strutture di uno studio di terzi, senza vincolo di dipendenza, assume rilievo, ai medesimi fini, solo in quanto non occasionale e idoneo a contribuire alla produttività del contribuente, incrementandone il reddito;

dall’accoglimento del terzo motivo di ricorso consegue la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, per il riesame, oltre che per provvedere alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

rigetta il primo e il secondo motivo di ricorso; accoglie il terzo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione a quest’ultimo motivo e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020

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