Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4424 del 07/03/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 4424 Anno 2016
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: BRONZINI GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso 10099-2013 proposto da:
CUTRONE

TULLIO

CTRTLU61A27Z114Q,

MRAIHY

BRAHIM

MRHBHM65E27Z330K, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato
l\PRIA GRAZIA BIANCO, che li rappresenta e difende
unitamente all’avvocato RENATO PIETRO GIOVANNI/ QUERIO
2015

15,..T.-Sre`Pr7Tgiusta delega in atti;
– ricorrenti –

4613

contro

FORESTO ARMANDO S.P.A. IN CONCORDATO PREVENTIVO P.I.
05976210012, in persona del legale rappresentante pro

Data pubblicazione: 07/03/2016

tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DURAZZO 9, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE
SCAPATO, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato CRISTIANO PALUMBO, giusta delega in
atti;

avverso la sentenza n. 1104/2012 della CORTE
D’APPELLO di TORINO, depositata il 16/10/2012 r.g.n.
249/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 01/12/2015 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
BRONZINI;
udito l’Avvocato BIANCO MARIA GRAZIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MAURIZIO VELARDI, che ha concluso per
l’accoglimento del nono motivo per quanto di
ragione , rigetto degli altri.

– controricorrente –

R.G. 10099/2019

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Foresto Armando spa proponeva opposizione al Tribunale di Torino avverso due decreti
ingiuntivi emessi su istanza di Cutrone Tullio e Mraihy Brahim per il pagamento delle
retribuzioni di aprile e maggio 2009 e per il TFR. L’opponente chiedeva in via riconvenzionale la
condanna dei detti lavoratori al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale
arrecato alla datrice di lavoro. I lavoratori a loro volta chiedevano il rigetto dell’opposizione e
proponevano domanda riconvenzionale diretta a far accertare la nullità dei licenziamenti loro
intimati dalla Foresto il 28.5.2009 con condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro e
condanna al risarcimento del danno e, per il solo Cutrone, al pagamento di un’ ulteriore
somma dovuta per superiore inquadramento e straordinario. Il Tribunale revocava i due
decreti ingiuntivi opposti e condannava i due lavoratori a pagare le somme indicate in
sentenza a titolo risarcitorio. La Corte di appello di Torino con sentenza del 16.20.2012
respingeva l’appello dei lavoratori. Circa le contestazioni di merito in ordine alla sussistenza
della giusta causa la Corte territoriale osservava che gli addebiti (sottrazione di ingenti
quantitativi di carburante dagli automezzi aziendali ed esposizione di ore di straordinario non
effettuato, nonché veniva contestato ai lavoratori di essersi dedicati ad attività personale
durante le ore di lavoro) risultavano provati dalla relazione della agenzia investigativa
confermate dal teste investigatore Campiglia ed anche dal teste Scorza le cui dichiarazioni
venivano riportate a pagg. 9 e 10 della sentenza, mentre inverosimili apparivano le
dichiarazioni del teste Brero, comunque non sufficienti ad inficiare il contenuto delle relazioni
e quanto riferito dal teste Campiglia. Nessuna oggettiva rilevanza avevano le dichiarazioni rese
dai due lavoratori posto che non eliminavano od attenuavano la gravità di quanto emerso. !
fatti contestati, anche di rilevanza penale, erano certamente sufficienti a rompere
definitivamente il vincolo fiduciario. La lettera di recesso era tempestiva posto che le lettere
erano state inviate per posta entro i sei gg. previsti dal CCNL contando a tal fine la data della
spedizione, come da giurisprudenza di legittimità. Non poteva dirsi che il licenziamento fosse
stato orale avendo il datore di lavoro già il 19.5.2009 anticipato la volontà di licenziarli, in
primo luogo perché la circostanza non era stata dimostrata ed anche perché la disposta
sospensione cautelare non costituisce un provvedimento disciplinare; ancora l il recesso era
stato comunicato per iscritto e ciò che rilevava era il momento dell’esternazione formale

Udienza del 1.12. 2015, causa n. 11

dell’atto. Circa la doglianza per cui il recesso non era stato sottoscritto dal legale rapp.te della
società la lettera era certamente ascrivibile al datore di lavoro; gli incolpati si erano poi difesi
nel merito senza sollevare sul punto obiezioni. La contestazione non era generica né
intempestiva posto che i fatti sui quali esistevano sospetti erano stati verificati attraverso le
indagini investigative ed erano stati specificati nella loro materialità con riferimento al periodo
in cui sarebbero stati commessi. Il periodo di sospensione non era stato superiore a quanto
previsto dal CCNL. In ordine ai danni riconosciuti la Corte territoriale osservava che
correttamente non erano state pagate le ore di straordinario che risultavano non effettuate e
corrisposto all’Agenzia investigativa ed era ammissibile anche la liquidazione di un danno non
patrimoniale certamente esistente perché i comportamenti commessi erano venuti a
conoscenza di terzi e ledevano la reputazione aziendale. Per le chieste differenze retributive II
Cutrone risultava assunto nel quinto livello del CCNL imprese di pulizia; si chiedeva il
riconoscimento nel terzo livello alla luce di un CCNL non applicabile; il nuovo CCNL applicato al
Cutrone ricomprendeva nella declaratoria di quinto livello certamente anche le mansioni di
“autista di automezzo canljer svolte dallo stesso sicché appariva superflua l’ammissione della
chiesta CTU. Appariva corretta la compensazione di un quinto delle spese del primo grado
posto che la società era risultata vincitrice di gran parte delle domande poste.
Per la cassazione di tale decisione propongono ricorso i due lavoratori con 11 motivi ( dal
motivo a) al motivo n), ma non è stato formulato il motivo n. i)); si è costituito con
controricorso la Foresta Armando spa in corcordato preventivo. Le parti hanno depositato
memoria ex art. 378 c.p.c.; in particolare con la memoria di parte resistente si è prodotta la
sentenza del Tribunale di Torino del 30.4.2015 con cui è stato dichiarato il fallimento della
società.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente in ordine all’awenuta dichiarazione di fallimento della parte resistente va
ricordato che secondo l’orientamento di questa Corte ” in tema di giudizio di cassazione,
l’intervenuta modifica del’art. 43 legge fallimentare per effetto dell’art. 41 d. Igs n. 5/2006,
nella parte in cui recita che “l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo”
non comporta una causa di interruzione del giudizio in corso in sede di legittimità posto che in
quest’ultimo, che è dominato dall’impulso di ufficio, non trovano applicazione le comuni cause
di interruzione del processo previste in via generale dalla legge” ( Cass. n. 21153/2010; Cass, n.
183900/2003; Cass. n. 17295/2003). Pertanto non ricorrono i presupposti per l’interruzione del
giudizio.
Con il motivo sub a) si allega la violazione o falsa applicazione dell’art. 7 legge n. 300/70,
nonché dell’art. 2119 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.; nonché la violazione o falsa
applicazione dell’art. 1363 c.c. Nella lettera di contestazione non erano stati contestati fatti
che risalivano a due mesi prima ma fatti ascrivibili all’inizio del rapporto: pertanto la
contestazione non era tempestiva.
Il motivo appare infondato: per la Corte di appello la lettera di contestazione del 19.5.2009 fa
espressamente riferimento a comportamenti dei lavoratori risalenti a due mesi precedenti;

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la prova del loro svolgimento gravava sui lavoratori; spettava a titolo di danno quanto

l’affermazione per cui “abbiamo ragione di credere che tali comportamenti siano ascrivibili a
partire dall’inizio del rapporto” proprio per la sua collocazione mostra come non si siano
contestati altri fatti commessi in precedenza. La motivazione appare congrua e logicamente
coerente ed incentrata su una lettura razionale, e coerente con il suo tenore letterale, della
contestazione in quanto risulta dalla parziale riproduzione al motivo delle lettera in parola che
la frase in ordine ai comportamenti commessi “a partire dall’inizio del rapporto di lavoro..” è
successiva all’enumerazione dei comportamenti specificamente contestati e quindi ci si muove
evidenziato come solo a seguito delle risultanze dell’indagine investigativa affidata alla ”
Investigazione ISA” conclusasi con le due relazioni del 5.3.2009 e dell’8.5.2009 la società abbia
avuto la piena consapevole degli illeciti commessi dai due dipendenti ( sui quali in precedenza
vi erano solo sospetti): a partire da quest’ultime date la contestazione certamente non appare
tardiva.
Con il motivo sub b) si allega ancora la violazione dell’art. 7 L. n. 300/70, nonché l’omesso
esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Il motivo appare infondato in quanto emerge dallo stesso stralcio della lettera di contestazione
che sono stati chiaramente addebitati fatti specifici ( come sono la sottrazione di gasolio dagli
automezzi aziendali, la richiesta di pagamento di ore di straordinario inesistenti e lo
svolgimento di attività personale e privata durante le ore di lavoro); la Corte ha correttamente
evidenziato come i due ricorrenti si siano ampiamente e difesi nel melito attraverso anche una
complessa prova testimoniale che la Corte territoriale- nel merito- non ha ritenuto comprovare
l’infondatezza degli addebiti mossi. Circa la seconda parte del motivo la stessa appare
inammissibile: applicandosi al caso in esame la novella dell’art. 360 n. 5 c.p.c. (essendo la
sentenza impugnata stata pubblicata dopo 1’11.9.2012) risulta ex actis che la questione della
specificità della contestazione è stata oggetto di esame da parte della Corte di appello. Va
ricordato sul punto la nota decisione di questa Corte ( a Sezioni Unite) secondo la quale ” l’art.
360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83,
conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico
denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o
secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia
costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se
esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel
rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n.
4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il
“dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto
sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando
che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un
fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in
considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze
probatorie” ( Cass. n. 8053/2014).
Con il motivo sub c) si allega la violazione dell’art. 1 comma secondo lettera a) d. 1gs n.
66/2003 e successive modifiche; nonché l’omesso esame su uno dei fatti di cui all’art. 360
c.p.c. con conseguente violazione o inesatta applicazione dell’art. 2119 c.p.c. Le contestazioni
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al di fuori della contestazione formale ex art. 7 L. n. 300/70. Inoltre la Corte di appello ha

in ordine ai pretesi periodi di inattività lavorativa riguardava in realtà “tempi morti
“dell’attività in cui i lavoratori dovevano rimanere a disposizione.
Il motivo appare infondato in quanto la Corte di appello ha accertato il mancato svolgimento di
attività lavorativa durante l’orario di lavoro da parte dei ricorrenti (che effettuavano
commissioni di varia natura come “andare dal parrucchiere o al mercato”) alla luce delle
precise dichiarazioni del teste e del teste Scorza, dichiarazioni che sono state ritenute più
attendibili di quelle rese dal teste Brero (proprio in ordine all’orario di lavoro svolto dai due
sono già state esaminate dalla Corte di appello che le ha ritenute irrilevanti o smentite da
precisi accertamenti ( cfr. pag. 15 della sentenza impugnata). Pertanto la sentenza appare
congruamente e logicamente motivata; mentre le censure appaiono di merito, come tali
inammissibili in questa sede e non evidenziano alcun fatto, ritualmente proposto dalle parti,
che sia stato non considerato dalla Corte di appello che ha, come detto, scrupolosamente
esaminato la tesi per cui le attività estranee a quella di lavoro siano state svolte in ” tempi
morti”.Pertanto il motivo non è coerente con la nuova formulazione di cui all’art. 360 n. 5
c.p.c.
Con il motivo sub d) si lamenta l’omesso esame circa la presenza, nel caso di specie, di cause di
esclusione dell’antigiuridicità della condotta consistita nel prelievo e nella dazione di gasolio in
relazione all’art. 360 n. 5, nonché la violazione dell’art. 2043 c.c. , degli artt. 49 e 50 c.p. Il
comportamento tenuto non era antigiuridico in quanto la dazione del gasolio era stata
richiesta dal Brero e quindi i lavoratori avevano motivo di ritenere che la società fosse a
conoscenza del fatto.
Il motivo appare inammissibile in quanto la Corte di appello ha già esaminato con congrua e
logica motivazione le tesi difensive dei ricorrenti secondo i quali il prelievo del gasolio era stato
richiesto dal Brero e che, quindi, tale dazione fosse stata ritenuta plausibilmente come
autorizzata, a pagg. 13,14, e 15 della sentenza impugnata. La Corte territoriale ha evidenziato
la scarsa credibilità del teste Brero smentito, anche in ordine al quantitativo di gasolio, dagli
accertamenti compiuti dall’Agenzia investigativa incaricata dal datore di lavoro. Il motivo,
pertanto, suggerisce un difetto motivazionale della sentenza impugnata che non sussiste e che
è stato denunciato in modo non coerente con la nuova formulazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c.
Con il motivo sub e) si allega la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per mancata
pronuncia su di un motivo di appello: violazione e falsa applicazione dell’art. 7 L. n. 300/70,
nonché dell’art. 2119 c.c. I ricorrenti avevano proposto due motivi con i quali chiedevano la
derubricazione della sanzione da espulsiva conservativa, non esaminati dai Giudici di appello. I
fatti accertati inoltre erano meno gravi di quelli contestati.
Il motivo appare infondato. A pag. 16 della sentenza impugnata la Corte di appello ha ritenuto
“i fatti ed i comportamenti .. posti in essere, aventi anche rilevanza penale, di una gravità tale,
anche in ragione di tale reiterazione, da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario e da non
consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto”. Appare evidente che tale
motivazione implicitamente costituisca anche una ragione giustificatrice del rigetto della
domanda di “derubricazione” della sanzione essendo apparsa correttamente inflitta quella di
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lavoratori); le dichiarazioni dei due lavoratori in ordine al loro “essere rimasti a disposizione”

carattere espulsivo. Circa l’ultima parte del motivo non emerge dalla sentenza impugnata che i
fatti accertati siano configurabili come meno gravi di quelli contestati.
Con il motivo sub f) si allega la violazione o falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., dell’art. 5 L. n.
604/66, nonché dell’art. 47 CCNL, nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio.
Il licenziamento ha avuto efficacia dal 29.5.2009 come stabilito nella relativa lettera e quindi in
data successiva al termine di sei giorni voluto dal CCNL.

come accertato dalla sentenza impugnata risultando irrilevanti sia quando il prowedimento sia
stato comunicato sia la decorrenza del recesso indicata nella lettera posto che chiara ratio
della normativa contrattuale è che la decisione in ordine alla sanzione avvenga
immediatamente dopo le giustificazioni offerte dai dipendenti.
Con il motivo sub g) si allega la violazione o falsa applicazione dell’art. 50 del CCNL, nonché
l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio. Il termine di sospensione cautelare era
decorso per avere il datore di lavoro superato il termine di sei giorni dalle giustificazioni
avendo avuto il recesso come data di efficacia il 29.5.2009.
Il motivo è infondato per le ragioni prima esposte ( sul motivo che precede): la sanzione è stata
irrogata entro i sei giorni previsti contrattualmente risultando irrilevanti sia quando il
provvedimento sia stato comunicato sia la decorrenza del recesso indicata posto che chiara
ratio della normativa contrattuale è che la decisione in ordine alla sanzione avvenga

immediatamente dopo le giustificazioni offerte dai dipendenti.
Con il motivo sub H) si allega la violazione o falsa applicazione dell’art. 2099, dell’art. 2103 c.c.,
dell’art. 36 Cost.; nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 20 e 21 del CCNL per le
imprese di pulizie e relative tabelle retributive; violazione o falsa applicazione dell’art. 112
c.p.c. per errata qualificazione della domanda, omesso esame circa un fatto decisivo Il Cutrone
non aveva solo richiesto quanto dovuto a titolo di inquadramento superiore ma aveva anche
dedotto per il livello di inquadramento dovuto il mancato pagamento del dovuto, con
conseguente ammissibilità sul punto della richiesta CTU.
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in quanto non si riproduce lo specifico motivo di appello con cui si
Il motivo appare
sarebbe chiesto il riconoscimento di differenze retributive in relazione alle mansioni
concretamente espletate e pertanto il motivo è generico in ordine alla dimostrazione che si
fossero chieste differenze retributive indipendentemente da un diverso inquadramento, non
essendo a tal fine sufficiente indicare solo le conclusioni dell’atto di appello se non corredate
da un chiaro e univoco motivo di impugnazione in appello: la Corte territoriale ha peraltro
ritenuto provato che il Cutrone era legittimamente inquadrato nel quinto livello del CCNL e che
dalle buste paga per tale inquadramento era stato pagato quanto spettante senza una chiara
contestazione sul punto. Anche in questa sede le censure sono generiche (oltre ad investire il
merito) non offrendo una ricostruzione contabile in ordine alle pretese differenze retributive (
senza riconoscimento di una mansione superiore) che la Corte di appello ha ritenuto di per sé
mai chieste.

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Il motivo è infondato: l’art. 47 del CCNL richiede solo che il prowedimento disciplinare venga
adottato entro sei giorni dalle giustificazioni del lavoratore e tale termine risulta rispettato

Il motivo n. i) non risulta formulato
Con il motivo sub L) si allega la violazione o falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c. per
violazione del principio del ne bis in idem, violazione o falsa applicazione dell’art. 2059 c.c.,
violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per errata qualificazione della domanda con
conseguente omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio. La Corte di appello ha
riconosciuto un danno non patrimoniale nella misura già liquidata dal Giudice di prime cure
danno era stata escluso dal Giudice di primo grado che aveva ritenuto non provato questo
aspetto.
Il motivo appare infondato posto che il danno non patrimoniale ha una struttura unitaria che
ricomprende, salvo eccezioni, i molteplici aspetti in cui si configura concretamente che, in
genere, convergono nel determinare conseguenze pregiudizievoli a carico del soggetto leso,
nel caso di specie la persona giuridica ( Cass. n. 13530/2009; Cass. n. 16972/2008). Pertanto la
Corte di appello ha accertato che globalmente fosse stato provocato un danno morale alla
società nella misura già liquidata e tale valutazione appare non censurabile in questa sede non
apparendo corretto moltiplicare i vari aspetti di danno morale determinati da un unico evento
senza specifiche e determinanti ragioni alla luce dell’orientamento di questa Corte già
richiamato.
Con il motivo sub m) si allega la violazione o falsa applicazione del combinato disposto degli
artt. 2056 e 1227 c.c. in relazione all’art. 360 n. 1 e 3 c.p.c., nonché l’omesso esame circa la
congruità del corrispettivo dato dalla parte intimata alla !sa Investigazioni per i servizi
investigativi sui ricorrenti rispetto al valore delle prestazioni professionali di tale società
investigativa da valutarsi secondo prezziari di mercato o comunque criteri oggettivamente
riscontrabili.
Il motivo appare infondato. La Corte di appello ha liquidato come danno a carico dei ricorrenti
la somma risultante dalle fatture corrisposte alla società investigativa; inoltre si è accertato (
pag. 28 della sentenza impugnata) che sono state necessarie svariate giornate di
appostamento per cui doveva escludersi che si trattasse di un abnorme compenso. La
motivazione appare congrua e logicamente coerente mentre le censure sono generiche e di
mero fatto come tali inammissibili in questa sede. Nessun fatto allegato dalle parti e
determinante per la decisione risulta omesso.
Con il motivo sub n) si allega la violazione o falsa applicazione degli artt. 1241 ss. Si chiede alla
Corte di provvedere in ordine ai rapporti dare- avere tra le parti in conseguenza
dell’accoglimento delle censure sub ), sub m) e sub L).
Il motivo appare assorbito dal rigetto dei motivi prima indicati.
Si deve quindi rigettare il proposto ricorso. Le spese di lite del giudizio di legittimità- liquidate
come al dispositivo, seguono la soccombenza.
La Corte ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, dell’ulteriore

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riconoscendo un danno alla reputazione ed affidabilità della datrice di lavoro, ma tale profilo di

importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma
del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

La Corte:
rigetta il ricorso. Condanna le parti ricorrenti al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità che si liquidano in complessive euro 100,00 per esborsi,
nonché in euro 5.000,00 per compensi oltre accessori come per legge. Ai sensi
dell’art. 13 comma 1 qu_ater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza
dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 1.12.2015

P.Q.M.

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