Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4422 del 18/02/2021

Cassazione civile sez. III, 18/02/2021, (ud. 15/07/2020, dep. 18/02/2021), n.4422

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 418-2017 proposto da:

S.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PILO

ALBERTELLI 1 (FAX 0698933754-TEL 0644233842), presso lo studio

dell’avvocato LUCIA CAMPOREALE, rappresentato e difeso dall’avvocato

S.S.;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCAGTURA GENERALE DELLOP

STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

nonchè contro

EQUITALIA CENTRO SPA, ORA EQUITALIA SERVIZI DI RISCOSSIONE SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1919/2016 del TRIBUNALE di CAGLIARI depositata

il 21/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/07/2020 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 21/6/2016 il Tribunale di Cagliari ha rigettato l’opposizione spiegata dal sig. S.S. nei confronti del Ministero della giustizia e della società Equitalia Centro s.p.a. in relazione alla cartella esattoriale n. (OMISSIS) notificatagli il 10/5/2012.

Avverso la suindicata pronunzia lo S. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 6 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso il Ministero della giustizia.

L’altro intimato non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo il ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione” dell’art. 617 c.p.c., L. n. 241 del 1990, art. 3 L. n. 212 del 2000, art. 7, artt. 24 e 111 Cost., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che il giudice abbia preso in considerazione “l’estratto, dichiarato conforme all’originale, della sentenza pronunciata il 17 maggio 2005, con la quale la quarta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione aveva dichiarato inammissibile il ricorso presentato da S.S. avverso il decreto pronunciato dal GIP Tribunale di Palermo il 14 giugno 2004”, laddove la “produzione di detto estratto era/è assolutamente illegittima, per il noto principio per il quale non è consentito integrare in corso di giudizio la motivazione di un atto amministrativo quale è anche la cartella esattoriale”.

Con il 2 motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” degli artt. 617,666-670 c.p.c., artt. 611-127, 615,625,626, c.p.p., artt. 15 e 28 “Regolamento CPP”, art. 208TUn. 115 del 2002, “delle disposizioni e principi della Convenzione 23/9/2010 Min. Giu/Equitalia Giustizia”, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole non essersi tenuto conto che la questione se la “competenza a pronunciarsi sulle questioni relative alla sussistenza e validità delle pronunce penali appartenga al Giudice autore di esse, ex art. 666 e 670 c.p.p., non rileva per quanto qui occupa”.

Lamenta non essere “dato capire in base a quale titolo esecutivo giudiziale si sia inteso agire in esecutivis, perchè oltre che non essere stato notificato, per determinarne la conoscenza, non è stato neppure indicato col numero di pubblicazione per individuarlo”, sicchè si è “in presenza di un triplo vizio: -quello di mancata notifica del titolo; – quello di vizio formale del ruolo che non indica, con dati idonei a identificarlo, il preteso titolo azionato; quello di carenza-mancanza materiale del titolo (anche per valutarne la regolarità formale)”.

Si duole non essersi considerato che “ai fini del recupero delle spese o delle sanzioni pecuniarie… la notificazione non è correlata alla proposizione di una impugnazione, ove prevista, ma alla riscossione che presuppone la legale conoscenza dell’atto da parte dell’interessato passivo alla riscossione”.

Con il 3 motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” degli artt. 617,221,222 c.p.c., artt. 1365,1366,1367 c.c., artt. 615,610-127 c.p.p., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole non essersi considerato che “la lettura del dispositivo in udienza, integrante pubblicazione, si ha solo nel caso di udienza pubblica, e che ai fini della azione in riscossione, non basta, la conoscenza del dispositivo letto in udienza, ma serve la legale conoscenza, attraverso specifica notifica, del testo integrale della pronuncia”, in assenza della quale “non si può ricavare la “regolarità formale del titolo esecutivo””, sicchè “il dispositivo, anche se letto-pubblicato in udienza, non consente assolutamente l’azione esecutiva di riscossione”.

Lamenta non essersi considerato che “di una pronuncia non pubblicata non è dato formare un estratto conforme ad un originale giuridicamente e/o anche materialmente inesistente”.

Con il 4 motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” dell’art. 617 c.p.c., artt. 616,666,670 c.p.p., artt. 2946,2948 c.c., L. n. 689 del 2001, art. 28; TU n. 115 del 2002, art. 200 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole non essersi considerato che “gli effetti modificativi o estintivi delle obbligazioni non penali, quali, ad esempio, l’avvenuto pagamento, totale o parziale, o, appunto, la maturazione della prescrizione al momento e in occasione della riscossione, in sede civilistica, è di esclusiva competenza del giudice civile”.

Lamenta essersi dal giudice erroneamente affermato che “in materia opererebbe la prescrizione ordinaria decennale e non quinquennale”, in quanto le “condanne accessorie di pagamento alla Cassa delle Ammende… rientrano a pieno titolo fra le sanzioni amministrative pecuniarie” L. n. 689 del 2001 ex art. 28 e TU n. 115 del 2002, ex art. 200.

Con il 5 motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” degli artt. 617,479,480 c.p.c., D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 25, 49 D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 2, 25, 136 bis, TU n. 115 del 2002, artt. 212, 226 artt. 3,24,111 Cost., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole non essersi considerato come “il fatto che D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 49 il ruolo sia titolo esecutivo che viene notificato con la cartella non muta ed anzi conferma la esigenza della notifica del titolo giurisdizionale esecutivo o del provvedimento amministrativo definito titolo esecutivo, siccome esclusiva fonte legittimante del ruolo, perchè il destinatario ne abbia piena e legale conoscenza”.

Lamenta non essersi del pari considerato che “se il destinatario non ha conoscenza, legale, tramite la notifica, del titolo posto a fondamento del ruolo non si può compiere l’iscrizione a ruolo che, di per sè, non comporta la conoscenza dell’atto legittimante di riferimento e non consente, inoltre, di verificarne anche la “regolarità formale” in difetto della quale è ancora dato il rimedio di cui all’art. 617 c.p.c.”.

Con il 6 motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” dell’art. 617 c.p.c., L. n. 241 del 1990, art. 3, D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 12, 25 3,24,97,111 Cost., artt. 1365,1366,1367 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole non essere “dato comprendere sulla base di quale criterio interpretativo e razionale il Tribunale abbia potuto asserire che i titoli azionati sarebbero qui individuabili. E infatti non lo ha spiegato, lo ha solo meramente asserito utilizzando dati non conferenti e irrilevanti, insufficienti e, in definitiva, inidonei”.

Il ricorso è sotto plurimi profili inammissibile.

Va anzitutto osservato che esso risulta formulato in violazione del requisito a pena di inammissibilità richiesto all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nel caso non osservato laddove viene dal ricorrente operato il riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (in particolare, all'”atto di citazione notificato in data 30-31 maggio 2012 (atto 1 del fascicolo di parte di primo grado, qui prodotto)”, alla comparsa di costituzione e risposta della società del giudizio di 1 grado della società Equitalia, alla comparsa di costituzione e risposta della società del giudizio di 1 grado del Ministero della Giustizia, alle “note d’udienza 05/02/2013… (atto 2 del fascicolo di parte di primo grado, qui prodotto)”, alla proposta “querela di falso ex artt. 221 c.p.c. e segg.”, all'”estratto conforme all’originale “prodotto dalla Difesa erariale”, alle “attestazioni di varie Cancellerie, anche della Corte di Cassazione, sulla impossibilità di formare “estratto conforme all’originale” (atto 3 del fascicolo di parte di primo grado, qui prodotto)”, alla “comparsa conclusionale 7-9/1/16”, alla “memoria di replica 7-8/2/16”, alla “Convenzione col Ministero Giustizia 23/9/10”) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza riportarli per l’intera parte d’interesse in questa sede, la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34469; Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione.

E’ al riguardo appena il caso di osservare che i requisiti di formazione del ricorso per cassazione ex art. 366 c.p.c. vanno indefettibilmente osservati, a pena di inammissibilità del medesimo.

Essi rilevano ai fini della giuridica esistenza e conseguente ammissibilità del ricorso, assumendo pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza nel merito, che in loro difetto rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso (cfr. Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135; Cass., 18/10/2014, n. 21519; Cass., 30/9/2014, n. 20594; Cass., 5 19/6/2014, n. 13984; Cass., 20/1/2014, n. 987; Cass., 28/5/2013, n. 13190; Cass., 20/3/2013, n. 6990; Cass., 20/7/2012, n. 12664; Cass., 23/7/2009, n. 17253; Cass., 19/4/2006, n. 9076; Cass., 23/1/2006, n. 1221).

A tale stregua, l’accertamento in fatto e la decisione dalla corte di merito adottata e nell’impugnata decisione rimangono invero dall’odierna ricorrente non idoneamente censurati.

L’inammissibilità del ricorso preclude invero la relativa disamina nel merito (come invero non si dubita in caso d’inammissibilità del ricorso per tardività, irrilevante essendo che lo stesso possa essere eventualmente fondato, tale non potendo in realtà esso propriamente mai dirsi, atteso che come sopra esposto- il relativo accertamento rimane in ogni caso in limine precluso).

Atteso, da un canto, che nel sistema processuale penale è la lettura del dispositivo in udienza (che risulta attestata dal provvedimento sottoscritto dal presidente del Collegio sul ruolo d’udienza) ad integrare (come anche in alcuni casi di quelle civili) la pubblicazione delle decisioni (art. 545 c.p.p.), sicchè ex art. 548 c.p.p., comma 2 è tale momento, e non già quello successivo del deposito della relativa motivazione, a determinarne l’efficacia; e, per altro verso, che – diversamente da quanto dall’odierno ricorrente sostenuto – tale principio vale non solo per le sentenza ma anche per i provvedimenti decisori emessi in forma di ordinanza (v. Cass. pen., Sez. 1, 11/12/2008, n. 45773 (ud. 2/12/2008)), con particolare riferimento al 1 e al 3 nonchè al 5 motivo va in ogni caso posto in rilievo che i giudici di merito hanno nella specie utilizzato “l’estratto” dichiarato conforme all’originale “della sentenza pronunciata il 17 maggio 2005, con la quale la quarta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione aveva dichiarato inammissibile il ricorso presentato da S.S. avverso il decreto pronunciato dal GIP Tribunale di Palermo il 14 giugno 2004” non già per “integrare” la motivazione della cartella bensì meramente per negare l’inesistenza del credito sotteso all’esecuzione (cfr. Cass., 5/7/2019, n. 18075; Cass., 31/1/2019, n. 2797), e cioè a conferma della coincidenza tra quanto ritenuto complessivamente evincibile dalla cartella e le risultanze attestanti l’emissione del provvedimento originante il credito azionato, a fortiori in considerazione della circostanza che l’iscrizione a ruolo avviene sulla base del provvedimento giurisdizionale definitivo e non già del relativo estratto (cfr. Cass., 30/1/2019, n. 2553).

Senza peraltro sottacersi che le questioni concernenti la querela di falso degli estratti dei provvedimenti del giudice penale (come detto, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nemmeno riportata nel ricorso) e la prova dell’esistenza del provvedimento giudiziale originante il credito è tema di opposizione all’esecuzione (v. Cass., 30/1/2019, n. 2553).

Va per altro verso osservato che, come questa Corte ha avuto già modo di affermare, in tema di procedimento di riscossione coattiva per il recupero delle spese di giustizia e delle somme dovute alla Cassa delle ammende D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 227-ter la formazione del ruolo e la notificazione della cartella di pagamento non devono essere precedute dalla notifica dei provvedimenti giurisdizionali da cui sorge il credito, essendo sufficiente la notificazione della detta cartella, nella quale siano riportati gli elementi minimi per consentire all’obbligato di individuare la pretesa impositiva e di difendersi nel merito (v. Cass., 30/1/2019, n. 2553, che ha enunziato il suindicato principio con riferimento a fattispecie in termini).

Si è al riguardo precisato che il recupero delle spese di giustizia e delle somme statuite in favore della Cassa delle ammende avviene ai sensi dell’art. 227 ter, comma 1 T.U. spese di giustizia (introdotto dal D.L. n. 112 del 2008, art. 52 conv. nella L. n. 133 del 2008), in base al quale “entro un mese dalla data del passaggio in giudicato della sentenza o dalla data in cui è divenuto definitivo il provvedimento da cui sorge l’obbligo… l’ufficio… procede all’iscrizione a ruolo” (v. Cass., 30/1/2019, n. 2553).

Emerge evidente, a tale stregua, come non sia previsto che in base al combinato disposto di cui all’art. 208, comma 1 lett. b) T.U. spese di giustizia, e 665 c.p.p. (trattandosi – come detto – di provvedimenti giurisdizionali penali definitivi all’esito della pronunzia della S.C.) l’ufficio recupero crediti (Urc) è competente a formare il ruolo sotteso dalla cartella esattoriale notificata senza che sia necessario che la formazione del ruolo e la notificazione della cartella risultino preceduti dalla notifica del provvedimento giurisdizionale originante l’azionato credito (v. Cass., 30/1/2019, n. 2553).

Soluzione di cui si è sottolineata la coerenza con la funzione in tal caso all’uopo svolta dalla notifica della cartella esattoriale.

Argomentando dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 49, comma 1, si è al riguardo osservato (cfr. Cass., 8/2/2018, n. 3021; Cass., 12/6/2018, n. 15345) che tale notificazione assume rilievo analogo al precetto riferito a titolo esecutivo rappresentato dal sotteso ruolo (v. Cass., 30/1/2019, n. 2553; Cass., 12/6/2018, n. 15345; Cass., 8/2/2018, n. 3021), in quanto la cartella esattoriale non è altro che la stampa del ruolo in unico originale notificata alla parte, e il titolo esecutivo è costituito da ruolo (cfr. Cass., Cass., 12/6/2018, n. 15345; Cass., 23/6/2015, n. 12888).

Il suindicato principio va pertanto anche nel caso ribadito, senza d’altro canto sottacersi che la questione relativa alla sussistenza del provvedimento giurisdizionale sotteso al ruolo in ogni caso non costituisce invero oggetto di opposizione ex art. 617 c.p.c. (v. Cass., 30/1/2019, n. 2553).

Quanto alla questione concernente la dedotta non debenza del pagamento richiesto e all’eccepita prescrizione del preteso credito, va ribadito che il contenuto della cartella deve essere tale da consentire come nella specie la identificabilità del titolo del credito.

Ai fini della tutela del diritto di difesa del destinatario in ordine alla verifica della procedura di riscossione promossa nei suoi confronti è infatti sufficiente l’indicazione non già degli estremi identificativi o della data di notifica dell’accertamento precedentemente emesso bensì di circostanze univoche che consentano l’individuazione di quell’atto (v. Cass., 11/10/2018, n. 25343; Cass., 30/1/2019, n. 2553, ove, in tema di pretese tributarie, viene fatto richiamo a Cass., 11/7/2018, n. 18224).

Orbene, alla stregua di un accertamento di fatto il giudice di merito ha ritenuto che nella specie “gli elementi di fatto contenuti nella cartella… consentano di identificare in maniera non equivoca il titolo della pretesa”, al riguardo precisando che “La cartella n. (OMISSIS), in vero, indica, alla pagina 2, l’ente che ha emesso il ruolo (Tribunale di Palermo Campione Penale), il numero di questo e la data in cui è stato reso esecutivo nonchè la natura del credito (spese processuali e cassa depositi e prestiti – cassa ammende), mentre, alla pagina 4, un numero che consente di individuare in maniera univoca il titolo posto a fondamento della pretesa”, e che la “cartella in questione, in particolare, reca il numero (OMISSIS), che corrisponde all’anno, al mese ed al giorno in cui è stato pronunciato il provvedimento impugnato da S.S. dinanzi alla Suprema Corte (decreto del Tribunale di Palermo in data 14 giugno 2004), seguito dal numero c.p. 166/05, che identifica la relativa partita di credito, e dal numero ES 17/05/05, che corrisponde evidentemente al giorno, mese ed anno della pronuncia della Suprema Corte (cui si riferisce l’estratto prodotto dalla difesa erariale) e da alcuni zeri”.

A fronte degli argomenti formulati dal giudice di merito nell’impugnata sentenza, invero consentanei con i suindicati principi già affermati nella giurisprudenza di legittimità in argomento, l’odierno ricorrente si limita invero a riproporre la propria non accolta tesi difensiva, senza invero prospettare argomenti nuovi o comunque tali da indurre il Collegio a rimeditare e mutare il già affermato orientamento più sopra riportato (cfr., da ultimo, Cass., 30/1/2019, n. 2553).

Avuto in particolare riguardo al 4 motivo (a parte il rilievo che l’applicabilità nella specie del termine di prescrizione decennale (e non già quinquennale, come dall’odierno ricorrente diversamente sostenuto) risponde invero a principio affermato nella giurisprudenza di legittimità (v. Cass. pen., Sez. 1, 5/5/2014, n. 18355 – ud. 19/3/2014), dovendo anche nel caso ribadirsi che in tema di spese di giustizia il credito maturato dallo Stato nei confronti dell’imputato condannato al pagamento delle spese processuali, di sanzioni pecuniarie e di indennità relative al processo penale è sottoposto al termine ordinario decennale di prescrizione ex art. 2946 c.c., decorrente dall’adozione del provvedimento di liquidazione delle spese da recuperare), va per altro verso posto in rilievo che la sollevata questione concernente la prescrizione in argomento attiene invero a questione da farsi valere con l’opposizione all’esecuzione, la relativa decisione emessa dal giudice di merito essendo impugnabile con l’appello e non già direttamente con ricorso per cassazione, che risulta pertanto inammissibilmente proposto (cfr. Cass., 30/1/2019, n. 2553), atteso che la modifica dell’art. 606 c.p.c. introdotta dalla L. n. 52 del 2006 (secondo cui “la causa è decisa con sentenza non impugnabile”, legittimante l’immediata ricorribilità per cassazione della sentenza ex art. 111 Cost., comma 7) è stata successivamente eliminata dalla L. n. 69 del 2009, art. 49, comma 2, (che ha soppresso il suindicato ultimo periodo dell’art. 616 c.p.c.), con conseguente reintroduzione dell’esperibilità dell’appello (cfr., da ultimo, Cass., 24/9/2019, n. 23623).

Emerge a tale stregua evidente che il ricorso è inammissibile (anche) ex art. 360 bis c.p.c.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore del Ministero della giustizia, seguono la soccombenza.

Non è viceversa a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione in favore dell’altro intimato, non avendo il medesimo svolto attività difensiva.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.400,00 oltre a spese prenotate a debito, in favore del controricorrente Ministero della giustizia.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2021

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