Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4421 del 18/02/2021

Cassazione civile sez. III, 18/02/2021, (ud. 13/07/2020, dep. 18/02/2021), n.4421

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36711-2018 proposto da:

CEREAL ME. SRL; rappresentata e difesa dall’avvocato LUIGI

FRANCESCO CUSCUNA’;

– ricorrenti –

contro

CGS SEMENTI SPA, rappresentata e difesa dall’avvocato SALVATORE

CIULLA;

– controricorrenti –

nonchè contro

M.A.;

avverso la sentenza n. 2036/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 28/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/07/2020 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione del 24 aprile 2008, la Cereal Me. S.r.l. evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Catania, Sezione distaccata di Paternò, la CGS Sementi S.p.A. per sentir accertare l’inadempimento contrattuale della convenuta con condanna al risarcimento dei danni materiali, da danno emergente e lucro cessante, oltre a quelli all’immagine. Si costituiva la CGS Sementi S.p.A. contestando la pretesa e ritenendo inefficace l’ordine di commissione del 25 luglio 2007 perchè non controfirmato. In ogni caso, chiedeva di chiamare in causa l’agente M.A., per sentir dichiarare la responsabilità di quest’ultimo in ordine alla mancata consegna della merce oggetto del predetto ordine;

il Tribunale, con sentenza del 19 aprile 2017, accoglieva la domanda condannando la CGS Sementi S.p.A. al pagamento della somma di Euro 25.856 e condannava M.A. a corrispondere alla convenuta le somme che la stessa avrebbe dovuto versare in esecuzione della sentenza;

con atto di citazione del 4 luglio 2017, la CGS Sementi S.p.A. proponeva appello davanti alla Corte territoriale di Catania, insistendo per il rigetto delle domande attoree. Si costituiva Cereal Merendino s.r.l. contrastando il gravame. Restava contumace M.A.;

la Corte d’Appello di Catania, con sentenza del 28 settembre 2018 accoglieva il gravame, rigettando le domande attore e condannando Cereal Me. s.r.l. al pagamento delle spese relative al doppio grado di giudizio;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione Cereal Me. S.r.l. affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso CGS Sementi S.p.A. Entrambe le parti depositano memorie e parte ricorrente produce un “atto integrativo della procura”.

La trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c. per il giorno 6 aprile 2020 e rinviata d’ufficio per effetto della legislazione emergenziale relativa alla pandemia da coronavirus, per essere nuovamente fissata per l’odierna adunanza.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4, avendo la decisione impugnata errato per ultrapetizione. CGS Sementi S.p.A. avrebbe originariamente chiesto di condannare in solido Cereal Me. S.r.l. e M.A. alle spese del doppio grado di giudizio, mentre la Corte territoriale ha condannato soltanto Cereal Me, al pagamento delle spese in favore di CGS Sementi S.p.A. Tale pronunzia avrebbe danneggiato la ricorrente perchè, nel caso di condanna in solido, la ricorrente avrebbe potuto richiedere la metà delle spese alla coobbligata solidale;

con il secondo motivo si lamenta la violazione degli artt. 1388,1393,1398 e 1704 c.c., nonchè dell’art. 112 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, oltre alla motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria riguardo a un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. La Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto non meritevole di tutela l’affidamento del terzo contraente. In particolare, nell’ipotesi di rappresentanza diretta, il contratto concluso dal rappresentante, in nome e nell’interesse del rappresentato, produce effetti diretti nei confronti del rappresentato, perchè la volontà che perfeziona il contratto è quella del rappresentante. E’ sufficiente, in tal caso, la consapevolezza da parte del terzo che il soggetto contraente agisca nella qualità di rappresentante, mentre non è necessaria la splendida del nome, che può anche evincersi dalla natura dell’affare. Per il principio di apparenza del diritto, riconducibile alla categoria generale della tutela dell’affidamento incolpevole del terzo in buona fede, è necessario che vi sia un comportamento colposo del rappresentato che, per il principio di autoresponsabilità, risponderà direttamente degli effetti negoziali. Nel caso di specie l’elemento colposo riferibile alla posizione del rappresentato CGS Sementi era stato individuato dal Tribunale nel fatto che l’agente utilizzava carta intestata priva di clausole di limitazione del potere rappresentativo dell’agente. Al contrario, la Corte territoriale ha individuato nella presenza di un modulo con la indicazione di tre sottoscrizioni, il fattore che escludeva la colpa in capo a CGS Sementi, perchè tale previsione “rendeva evidente la natura senza rappresentanza del mandato conferito a M.”. Tale ricostruzione della Corte territoriale sarebbe errata, perchè nel periodo dal 2004 al 2007 l’agente M. avrebbe sempre usato carta intestata della CGS Sementi, senza che emergesse la necessità di un’approvazione del mandante. Ricorrerebbe pertanto l’ipotesi di “rappresentanza tollerata”, nella quale il rappresentato non interviene per fare cessare l’ingerenza del mandatario. Tale prolungata tolleranza costituirebbe il comportamento colposo di CGS Sementi. Quanto all’omessa considerazione di un fatto decisivo, questo risiederebbe nella circostanza che, nell’ordine di acquisto, CGS Sementi garantiva la consegna ad una certa data, mentre la necessità della doppia firma (“salvo approvazione della ditta mandante”) non era presente nell’ordine di vendita;

con il terzo motivo si lamenta la nullità della sentenza, la contraddittorietà della motivazione e la violazione dell’art. 112 c.p.c. e artt. 1703,1705,1706,1710 e 1711 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5. La Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto sussistente l’ipotesi del mandato senza rappresentanza nel quale il mandatario stipula il contratto in nome proprio. Al contrario, l’agente utilizzava un modello predisposto dalla società mandante, su carta intestata della stessa, qualificandosi quale agente. In secondo luogo, pur accedendo alla tesi del mandato senza rappresentanza, il contratto concluso con il terzo sarebbe c:omunque vincolante per il mandatario (agente) rispetto alla richiesta di risarcimento dei danni nei confronti del terzo contraente (odierno ricorrente). Tale domanda di danni sarebbe stata formulata dall’appellante (CGS Sementi), seppure in via subordinata, al fine di condannare M. a risarcire i danni in favore di Cereal Me. Rispetto a tale domanda sussisterebbe l’omessa pronunzia;

preliminarmente, va esaminata l’eccezione di nullità della procura alle liti di parte ricorrente formulata dalla controricorrente, CGS Sementi, in quanto la firma apposta dal legale rappresentante della società sarebbe illeggibile e da nessun altro elemento dell’atto sarebbe possibile evincere i dati riferibili alla posizione delle rappresentante legale della società. Si richiama, a riguardo, Cassazione n. 17740 del 7 settembre 2016 secondo cui, poichè il conferimento della procura dell’incarico difensivo costituisce manifestazione di volontà riferibile alla persona fisica, è possibile verificare la rispondenza del potere rappresentativo solo accertando la qualità del soggetto che agisca come rappresentante. In particolare, la procura speciale alle liti rilasciata per conto di una società, esattamente indicata nella sua denominazione, ma con sottoscrizione illeggibile è nulla quando il nome del conferente, di cui si alleghi la semplice qualità di rappresentante legale, non risulti dal testo della procura, nè dall’intestazione dell’atto a margine o in calce al quale sia apposta;

l’eccezione è fondata. La sottoscrizione relativa alla procura è illeggibile L’atto non reca la indicazione del nome del legale rappresentante e nemmeno esso è riportato nell’intestazione del ricorso. Pertanto, il ricorso è inammissibile. La produzione dell’atto integrativo non è giustificabile in sede di legittimità alla stregua dell’art. 182 nuovo testo c.p.c., che, peraltro, è inapplicabile ai processo, sorto nel 2008, quindi, prima della riforma n. 69 del 2009;

la giurisprudenza anteriore alla riforma riteneva che la mancanza della procura nell’atto processuale comportasse l’inesistenza giuridica dell’atto, la quale non avrebbe potuto ritenersi sanata dal rilascio della procura da parte dell’interessato in un momento successivo al deposito dell’atto stesso (Cass. 8 maggio 2006, n. 10497; Cass. 14 luglio 2001, n. 9596);

in considerazione del diverso regime processuale concernente i vizi della rappresentanza processuale e quello relativo ai vizi della rappresentanza tecnica, a quest’ultimi non era applicabile il disposto del precedente testo dell’art. 182 c.p.c. cpv., (Cass., 13 settembre 2002, n. 13434) e, quindi, il vizio che riguardava la procura alle liti non era sanabile o ratificabile con effetto retroattivo (Cass., 9 marzo 2005, n. 5175 in Corriere Giur., 2005, 1505; Cass. 18 aprile 2003, n. 6297; nello stesso senso, ma in tema di ricorso per Cassazione: Cass. 11 giugno 2012, n. 9464);

questa Corte intende dare continuità al principio, da ultimo espresso da Cass. n. 8930 del 29/03/2019 e da Cass. n. 17740 del 2016, secondo cui è affetta da nullità la procura speciale alle liti rilasciata, per conto di una società esattamente indicata con la sua denominazione, con sottoscrizione affatto illeggibile, senza che il nome del conferente, di cui si alleghi genericamente la qualità di legale rappresentante, risulti dal testo della stessa, nè dall’intestazione dell’atto a margine od in calce al quale sia apposta, ed altresì priva, nell’uno o nell’altra, dell’indicazione di una specifica funzione o carica del soggetto medesimo che lo renda identificabile attraverso i documenti di causa o le risultanze del registro delle imprese. La controparte può tempestivamente opporre ex art. 157 c.p.c., comma 2, onerando, così, l’istante d’integrare con la prima replica la lacunosità dell’atto iniziale, mediante chiara e non più rettificabile notizia del nome dell’autore della suddetta sottoscrizione, difettando la quale, così come in ipotesi di inadeguatezza o tardività di tale integrazione, si verifica invalidità della procura ed inammissibilità dell’atto cui essa accede (Cass. S.U. n. 25036/13, S.U. nn. 4810 e 4814 del 2005, nonchè Cass. nn. 14190 del 2011 e 4199 del 2012);

nel caso di specie, la produzione non è pervenuta e si assume allegata alla memoria, peraltro, irritualmente inviata a mezzo posta. A riguardo va ribadito il principio secondo cui “le memorie ex art. 380 bis c.p.c., se depositate a mezzo posta, devono essere dichiarate inammissibili e il loro contenuto non può essere esaminato, non essendo applicabile per analogia il disposto dell’art. 134 disp. att. c.p.c., comma 5 che riguarda esclusivamente il ricorso e il controricorso” (Cass. n. 8216 del 27/04/2020);

oltre a ciò a norma dell’art. 372 c.p.c., comma 2, l’elenco della produzione avrebbe dovuto notificarsi alla controparte. Cosa che, dagli atti del giudizio, non risulta;

a prescindere da ciò, i motivi sono inammissibili. La prima e terza censura sono inammissibili per difetto di interesse. Quest’ultimo non potrebbe ravvisarsi nella condanna solidale, dato che essa avrebbe giovato solo alla controparte e non avrebbe accertato la percentuale di debenza fra le parti;

oltre a ciò, va aggiunto che la Corte territoriale, avendo accolto il motivo principale, ha ritenuto assorbita la domanda subordinata di condanna di M. e quella accessoria di spese;

nel terzo motivo la ricorrente lamenta l’omessa pronunzia rispetto ad una domanda che fa capo ad altro soggetto processuale, CGS Sementi e che indirettamente determinerebbe un danno per Cereal Me.;

in ogni caso, per quanto già espresso riguardo al primo motivo, come evidenziato dalla stessa ricorrente a pagina 19 del ricorso, la domanda di risarcimento danni, tesa alla condanna dell’agente M. per il pagamento in favore di Cereal Merendino delle somme richieste a titolo risarcitorio, era stata formulata da CGS Sementi in subordine e quindi correttamente non è stata presa in esame, in quanto assorbita, dalla Corte territoriale che ha accolto il motivo principale di quello;

l’articolato secondo motivo è inammissibile perchè dedotto in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 introducendo elementi fattuali dei quali la Corte d’Appello non si occupa. In primo luogo, si censura la correttezza della motivazione della Corte territoriale facendo riferimento alla esistenza di una prassi prolungata (periodo 2004-2007) caratterizzata da ordinativi che non avrebbero richiesto la previsa approvazione e che sarebbero stati privi di modulo recante la firma delle tre parti negoziali. Ma tali dati fattuali, di cui al Corte territoriale non si occupa, non sono allegati, non avendo parte ricorrente trascritto gli atti difensivi nei quali tale questione sarebbe stata trattata, gli elementi istruttori dai quali emergerebbe e la fase processuale nella quale tale questione sarebbe stata sottoposta ai giudici di merito. Pertanto, l’ipotesi della rappresentanza tollerata si fonderebbe su dati fattuali di cui la decisione impugnata non si fa carico;

analoga censura riguarda il profilo della omessa valutazione di un fatto storico ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, che la ricorrente riferisce ad un dato istruttorio (e documentale), ponendosi al di fuori del perimetro della norma invocata e introducendo siffatta questione in violazione del citato principio di autosufficienza, mancando di trascrivere il contenuto sia della lettera di incarico del 1 luglio 2004, che dell’ordine di commissione del 25 luglio 2007;

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315), evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge;

sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza della Corte Suprema di Cassazione, il 13 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2021

 

 

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