Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4420 del 23/02/2011

Cassazione civile sez. VI, 23/02/2011, (ud. 28/10/2010, dep. 23/02/2011), n.4420

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 25407/2009 proposto da:

Z.S.P. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati NAPODANO Deborah, D’AGOSTINI FABRIZIO, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.O. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA ALBERICO II n. 33, presso lo studio dell’avvocato LUDINI Elio,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIAIMO FEDERICO,

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1170/2009 della CORTE D’APPELLO di TORINO del

24.4.09, depositata il 20/08/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/10/2010 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIO MAZZIOTTI DI CELSO.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. RENATO

FINOCCHI GHERSI.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

che è stata depositata in cancelleria la seguente relazione regolarmente comunicata al P.G. ed ai difensori delle parti costituite:

“Il relatore esaminati gli atti osserva:

1) Z.S.P. conveniva in giudizio G.O. chiedendo la pronuncia di risoluzione del contratto preliminare di compravendita di un immobile in (OMISSIS) con condanna della convenuta alla restituzione della somma di Euro 77.468,53 alla stessa versata. L’attore deduceva che oggetto del contratto era un appartamento nonchè una porzione di prato di circa 500 mq risultata non di proprietà della promittente alienante. La G., costituitasi, chiedeva il rigetto della domanda e la declaratoria di risoluzione del contratto ex art. 1454 c.c. o per inadempimento dell’attore con accertamento del diritto di essa convenuta di trattenere la somma ricevuta a titolo di caparra. In particolare la G. sosteneva che la porzione di prato cui aveva fatto riferimento l’attore non aveva formato oggetto della promessa di vendita.

2) Con sentenza 2934/07 l’adito tribunale di Torino, in accoglimento della domanda dell’attore, dichiarava risolto il contratto preliminare stipulato dalle parti e condannava la convenuta a restituire l’importo ricevuto a titolo di acconto e non di caparra.

Avverso la detta sentenza la G. proponeva appello al quale resisteva lo Z.. Con sentenza 20/8/2009 la corte di appello di Torino, in accoglimento del gravame, rigettava la domanda proposta dallo Z. e dichiarava risolto il contratto preliminare in questione con conseguente diritto della G. di ritenzione della caparra confirmatoria ricevuta. La corte demerito osservava: che, come emergeva dalla dizione del contratto e dalla situazione dei luoghi, oggetto del contratto preliminare stipulato dalle parti era l’alloggio e una limitata porzione di terreno pertinenziale a detto alloggio; che non sussisteva nessun elemento documentale o di fatto tale da consentire di confermare la tesi dello Z. sull’estensione della porzione di prato per ben 500 mq; che quindi non vi era stato alcun inadempimento della G. mentre lo Z. non si era attivato per adempiere l’obbligo di contrarre il definitivo nemmeno dopo la ricezione della lettera inviata dalla appellante ai sensi dell’art. 1454 c.c.; che la somma di L. 150 milioni era stata versata dall’appellato a titolo di caparra confirmatoria come precisato nel contratto preliminare; che la G., con lettera 5/7/1997, aveva confermato la sua volontà di intendere risolto il contratto e di trattenere la caparra per il mancato adempimento entro il 4/7/1997 a quanto richiesto con la precedente lettera del 9/6/1997 ricevuta dallo Z. il 19/6/1997;

che la G. aveva fin dall’inizio chiesto di trattenere la caparra confirmatoria ricevuta pur non avendo esplicitato la richiesta nelle conclusioni formulate in primo grado; che la G., con il richiamo all’art. 1385 c.c., aveva inteso far prevalere sulla risoluzione di diritto ex art. 1454 c.c., l’identico effetto conseguente al recesso del contraente adempiente; che quindi il contratto preliminare si era risolto il 4/7/1997 con prevalenza del recesso ex articolo 1385 c.c. sulla risoluzione di diritto ex art. 1454 c.c. alla stessa data; che nella specie sussistevano i profili di gravità di cui all’art. 1455 c.c., in considerazione della risalenza nel tempo del termine pattuito per il definitivo e della manifestazione espressa dallo Z. di non voler adempiere;

che l’eccezione formulata dalla G. di inadempimento dello Z.. con la correlata pronuncia di risoluzione del contratto di diritto o ex art. 1453 c.c., era sufficiente al fine di ottenere la declaratoria di legittimità della ritenzione della caparra senza necessità di domanda espressa in tal senso o di domanda per ottenere il risarcimento del danno.

3) Avverso la sentenza della corte di appello di Torino Z. S.P. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. G.O. ha resistito con controricorso.

4) Il relatore ritiene che il ricorso possa essere deciso in Camera di consiglio per la manifesta fondatezza del primo motivo e la manifesta infondatezza del secondo motivo.

5) Innanzitutto va rilevato che, al contrario di quanto eccepito in via preliminare dalla resistente, il ricorso è ammissibile essendo stato redatto nel pieno rispetto di quanto al riguardo imposto dall’art. 366 c.p.c., e, in particolare, dal n. 6 di tale articolo:

il ricorrente ha infatti specificamente “indicato” (riportandone il contenuto essenziale) gli atti processuali, i documenti ed il contratto sui quali ha fondato il ricorso.

6) Con il secondo motivo di ricorso (che sul piano logico va esaminato anticipatamente rispetto al primo per il suo carattere eventualmente assorbente) lo Z. denuncia violazione dell’art. 2697 c.c. e art. 116 c.p.c., nonchè vizi di motivazione, sostenendo che l’inadempimento contrattuale della G. è molto più grave di quello eventualmente da addebitare ad esso ricorrente. Infatti – come risulta dagli atti processuali e dalla prove documentali e testimoniali acquisite – la porzione di prato offerta ad esso Z. aveva infatti una superficie di 500 mq. e non quella ridotta posta nella parte antistante dall’uscita del soggiorno. Tutte le argomentazioni sono in proposito sviluppate nella sentenza impugnata infondate e si pongono in contrasto con quanto emerge dalle risultanze processuali.

7) Il riportato motivo di ricorso è manifestamente infondato risolvendosi essenzialmente – pur se titolato come violazione di legge e come vizi di motivazione – nella prospettazione di una diversa analisi del merito della causa ed in una critica dell’apprezzamento delle risultanze istruttorie operato dal giudice del merito incensurabile in questa sede di legittimità perchè sorretto da adeguata motivazione immune da vizi logici e giuridici.

Inammissibilmente il ricorrente prospetta una diversa lettura del quadro probatorio dimenticando che l’interpretazione e la valutazione delle risultanze probatorie sono affidate al giudice del merito e costituiscono insindacabile accertamento di fatto: la sentenza impugnata non è suscettibile di cassazione per il solo fatto che gli elementi considerati dal giudice del merito siano, secondo l’opinione di parte ricorrente, tali da consentire una diversa valutazione conforme alla tesi da essa sostenuta. Del pari le censure in esame mirano in parte a contrastare il risultato dell’attività svolta dal giudice del merito in relazione all’interpretazione del contenuto del contratto preliminare stipulato dalle parti con particolare riferimento all’individuazione del preciso oggetto di tale contratto.

Al riguardo è sufficiente il richiamo al principio pacifico nella giurisprudenza di legittimità secondo cui l’interpretazione degli atti di autonomia privata si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice del merito: tale accertamento è incensurabile in cassazione se sorretto da motivazione sufficiente ed immune da vizi logici o da errori di diritto e sia il risultato di un’interpretazione condotta nel rispetto delle norme di ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 c.c., e segg..

Va aggiunto che, come più volte affermato da questa Corte, nel caso di contrapposte domande di risoluzione di un contratto per inadempimento, il giudice del merito deve procedere ad una valutazione comparativa ed unitaria degli inadempimenti che le parti si sono addebitati, al fine di stabilire se sussista l’inadempimento che legittima la risoluzione; il relativo accertamento è insindacabile in Cassazione, se (come appunto nella specie) la motivazione risulta immune da vizi logici o giuridici.

Sono quindi insussistenti gli asseriti vizi di motivazione e le denunciate violazioni di legge che presuppongono una ricostruzione dei fatti diversa da quella ineccepibilmente effettuata dal giudice del merito.

8) Con il primo motivo di ricorso lo Z. denuncia violazione degli artt. 183 e 345 c.p.c., artt. 1385, 1453 e 1454 c.c., deducendo che la corte di appello – nel dichiarare risolto il contratto e legittima la ritenzione della caparra confirmatoria da parte della G. pur non avendo quest’ultima esplicitato la richiesta nell’ambito del giudizio di prime cure nelle conclusioni formulate e pur avendo la stessa chiesto in primo grado la risoluzione del contratto ex art. 1454 c.c., o per inadempimento dell’attore – ha violato le citate norme ponendosi anche in contrasto con il principio giurisprudenziale secondo cui proposta la domanda di risoluzione non è consentita la trasformazione di detta domanda in quella di recesso con ritenzione della caparra. Peraltro la domanda di risoluzione – proposta dalla G., senza la domanda risarcitoria, non può essere integrata con successive domande di risarcimento o di ritenzione della caparra trattandosi di domande nuove. La caparra va quindi, secondo il ricorrente, restituita di diritto ad esso Z..

9) La censura in esame è manifestamente fondata risultando palese Terrore commesso dalla corte di appello sia nel dichiarare la risoluzione del contratto in questione “con prevalenza del recesso” ex art. 1385 c.c., sulla risoluzione di diritto ex art. 1454 c.c., sia nel ritenere sufficiente l’eccezione di inadempimento dell’altra parte contrattuale per ottenere la ritenzione della caparra senza necessità di apposita domanda.

In proposito va rilevato – sotto il primo aspetto – che la corte di appello si è posta in netto contrasto con il principio che queste Sezioni Unite (componendo un contrasto al riguardo sorto tra le sezioni semplici) hanno affermato secondo cui, in tema di contratti cui acceda la consegna di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, qualora il contraente non inadempiente abbia agito per la risoluzione (giudiziale o di diritto) ed il risarcimento del danno, costituisce domanda nuova, inammissibile in appello, quella volta ad ottenere fa declaratoria dell’intervenuto recesso con ritenzione della caparra (o pagamento del doppio), avuto riguardo – oltre che alla disomogeneità esistente tra la domanda di risoluzione giudiziale e quella di recesso ed all’irrinunciabilità dell’effetto conseguente alla risoluzione di diritto – all’incompatibilità strutturale e funzionale tra la ritenzione della caparra e la domanda di risarcimento: la funzione della caparra, consistendo in una liquidazione anticipata e convenzionale del danno volta ad evitare l’instaurazione di un giudizio contenzioso, risulterebbe infatti frustrata se alla parte che abbia preferito affrontare gli oneri connessi all’azione risarcitoria per ottenere un ristoro patrimoniale più cospicuo fosse consentito – in contrasto con il principio costituzionale del giusto processo, che vieta qualsiasi forma di abuso processuale – di modificare la propria strategia difensiva, quando i risultati non corrispondano alle sue aspettative (sentenza 14/1/2009 n. 553).

Sotto il sopra esposto secondo aspetto va evidenziato che – come riportato nella stessa sentenza impugnata – la G.: a) con l’atto di costituzione nel giudizio di primo grado chiese “la declaratoria di risoluzione del contratto ex art. 1454 c.c. o per inadempimento dell’attore, con accertamento del diritto della convenuta a trattenere la somma ricevuta a titolo di caparra” o, in subordine, la risoluzione del contratto “per inadempimento del promissario acquirente, con le stesse conseguenze”; b) con le conclusioni formulate nel giudizio di primo grado non esplicito la richiesta di “trattenere la caparra confirmatoria ricevuta”; C) con Patto di appello chiese la dichiarazione di risoluzione di diritto ex art. 1454 c.c. del contratto in questione e, in ogni caso, la dichiarazione di risoluzione del detto contratto per “esclusivo fatto e colpa del sig. Z.”. La G., quindi, per resistere alla domanda dello Z. di restituzione della caparra non si limitò ad eccepire l’inadempimento di quest’ultimo, ma propose in via riconvenzionale una specifica domanda di declaratoria di risoluzione o ex art. 1454 c.c. o per inadempimento del Z. con richiesta di ritenzione della caparra, richiesta però non formalizzata nelle conclusioni formulate in primo grado e, quindi, non riproponibile in secondo grado”.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

che il Collegio condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione;

che non possono essere condivise le critiche a detta relazione mosse dalla resistente con la memoria depositata in prossimità dell’udienza camerale;

che, in particolare, la resistente con la detta memoria: a) ha insistito per la declaratoria di inammissibilità del ricorso per mancato rispetto dei requisiti tassativi di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, non essendo stati specificati gli atti processuali ed i documenti citati a supporto del ricorso; b) ha ribadito l’eccezione di inammissibilità del primo motivo di ricorso per essere stata ivi prospettata una questione non compresa nel tema del decidere del giudizio di appello; c) ha di nuovo sostenuto l’infondatezza del primo motivo di ricorso;

che in relazione a quanto dedotto dalla resistente va rispettivamente osservato:

a) che, come rilevato nella relazione, nel ricorso risultano specificamente indicati gli atti processuali ed il contratto sui quali l’atto è fondato e che peraltro sono espressamente richiamati nella sentenza impugnata nella quale – con riferimento in particolare alle censure mosse dallo Z. con il primo motivo di ricorso – vengono precisate le richieste e le conclusioni formulate dalle parti nel giudizio di primo e di secondo grado;

b) che la questione della mancata riproposizione, nelle conclusioni formulate dalla G. nel giudizio di primo grado, della domanda relativa alla ritenzione della caparra, è stata rilevata di ufficio dalla corte di appello la quale ha ritenuto di risolvere la detta questione – per i motivi indicati nella relazione sopra riportata ed oggetto delle critiche sviluppate dallo Z. nel primo motivo di ricorso – e di dichiarare legittima la ritenzione della caparra da parte della G.: va peraltro evidenziato che, come questa Corte ha avuto modo di precisare, il divieto di proporre domande nuove in appello, di cui all’art. 345 c.p.c., è di ordine pubblico per cui la sua violazione va rilevata anche di ufficio in sede di legittimità, senza che possa spiegare alcuna influenza l’accettazione del contraddittorio (tra le tante, sentenze 11/1/2007 n. 383; 21/12/2005 n. 28302 );

c) che la resistente nella memoria non ha contestato quanto esposto nella relazione in merito all’errore commesso dalla corte di appello nel ritenere risolto il contratto in questione “con prevalenza del recesso esercitato ex art. 1385 c.c., sulla risoluzione di diritto ex art. 1454 c.c.”: dal rilevato errore (per contrasto con il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella pronuncia 553/2009 citata nella relazione) deriva logicamente l’erroneità della connessa e conseguente dichiarazione della liceità della ritenzione della caparra. Si tratta peraltro di una pronuncia di accoglimento di una domanda che, non compresa tra quelle formulate nelle conclusioni rassegnate in primo grado, non poteva essere riproposta nel giudizio di appello. Pertanto, rimanendo ferma la pronuncia di risoluzione del contratto stipulato dalle parti e non avendo la G. proposto ritualmente la domanda di risarcimento danni, devono essere applicati i noti principi in tema di effetti restitutori della declaratoria di risoluzione del contratto per il suo effetto retroattivo espressamente sancito dall’art. 1458 c.c., con emissione degli effetti restitutori chiesti sin dal primo grado dallo Z. con domanda accolta dal tribunale, rigettata dalla corte di appello e riproposta con il primo motivo di ricorso.

In definitiva, da quanto precede, deriva che deve essere rigettato il secondo motivo di ricorso ed accolto il primo. La sentenza impugnata deve quindi essere cassata in relazione al motivo accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, va emessa pronuncia nel merito dell’appello proposto da G.O. avverso la sentenza del tribunale di Torino 3/5/2007 con il parziale accoglimento di detto appello. In riforma della sentenza di primo grado: va rigettata la domanda proposta da Z.S.P. ad eccezione di quella relativa alla restituzione della somma versata a titolo di caparra; in accoglimento della domanda proposta dalla G. va dichiarato risolto il contratto stipulato dalle parti;

va condanna la G. alla restituzione in favore dello Z. della somma ricevuta a titolo di caparra con gli interessi a decorrere dal 15/5/1996 (data indicata dal giudice di primo grado).

In considerazione dell’esito complessivo della lite e delle posizioni assunte dalle parti nella fase di merito e in questa fase di legittimità, le spese dell’intero giudizio vanno compensate tra le parti nella misura di due terzi. Il residuo terzo va posto a carico dello Z. – risultato maggiormente soccombente – e liquidato nella misura indicata in dispositivo con riferimento a ciascun grado del giudizio.

P.Q.M.

la Corte: rigetta il secondo motivo di ricorso; accoglie il primo;

cassa senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, pronunciando nel merito ex art. 384 c.p.c., in parziale accoglimento dell’appello proposto da G.O. avverso la sentenza del tribunale di Torino 3/5/2007, rigetta la domanda proposta da Z.S.P. ad eccezione di quella relativa alla condanna della G. alla restituzione della somma versata a titolo di caparra; in accoglimento della domanda proposta dalla G. dichiara risolto il contratto stipulato dalle parti;

condanna la G. al restituire allo Z. la somma ricevuta a titolo di caparra con gli interessi a decorrere dalla data del 15/5/1996; compensa tra le parti i due terzi delle spese dell’intero giudizio e condanna lo Z. al pagamento del residuo terzo che liquida:

– per il giudizio di primo grado in complessivi Euro 3.300,00 di cui Euro 600,00 per diritti ed Euro 2.150,00 per onorari ed il resto per spese;

– per il giudizio di secondo grado in complessivi Euro 1.800,00 di cui Euro 200.00 per diritti ed Euro 1.300,00 per onorari ed il resto per spese;

– per il giudizio di cassazione in e Euro 70,00 per diritti ed Euro 1.500,00 a titolo di onorari.

Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2011

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