Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 442 del 11/01/2018

Cassazione civile, sez. trib., 11/01/2018, (ud. 20/04/2017, dep.11/01/2018),  n. 442

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La CRAI Società Cooperativa per azioni ha proposto ricorso ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., contro la sentenza n. 5510 del 6 marzo 2013, con la quale la Corte di cassazione ha accolto, nei limiti di cui in motivazione, il ricorso ordinario per cassazione iscritto al n.r.g. 4869 del 2009, preposto dall’Agenzia delle Dogane nei confronti di essa ricorrente per revocazione, avverso la sentenza della CTR Lombardia n. 13-2008 (depositata il 10.3.2008), che aveva rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Dogane avverso la decisione di primo grado, con la quale era stato accolto il ricorso proposto dalla CRAI avverso un avviso di revisione dell’accertamento in materia di prelievi agricoli, in relazione ad importazioni di formaggio provenienti dalla Confederazione Elvetica, effettuate negli anni dal 1988 al 1996.

Nella decisione allora impugnata la CTR – confermando la decisione di prime cure – riteneva, invero, non applicabile, nel caso concreto, la proroga dei termini di prescrizione dell’azione di recupero dei maggiori dazi all’importazione, prevista dal D.P.R. n. 43 del 1973, art. 84, per il fatto che il mancato parziale pagamento di tali diritti doganali aveva causa in un illecito penalmente rilevante.

Nel merito, poi, il giudice di appello considerava determinante, ai fini dell’esclusione della contestata evasione dei dazi doganali, la decisione penale che – a suo parere – aveva negato la sussistenza di azioni di falsificazione poste in essere dalla CRAI Società Cooperativa per azioni, al fine di lucrare i benefici fiscali in questione.

1.1. La Corte di cassazione nella sentenza qui impugnata ha disposto la cassazione con rinvio alla CTR della Lombardia, disponendo che essa si conformasse ai seguenti principi di diritto: “la comunicazione al debitore dell’importo dovuto a titolo di diritti doganali può avvenire anche dopo la scadenza del termine triennale di cui al D.P.R. n. 43 del 1973, art. 84, comma 2 – che è, pertanto, in tal caso prorogato nell’ipotesi in cui la mancata determinazione del dazio sia avvenuta a causa di un atto perseguibile penalmente, senza che tale proroga possa ritenersi esclusa nè dalla mancata emersione nel corso delle indagini penali di notizie che l’Amministrazione non avrebbe potuto ottenere avvalendosi dei propri poteri istruttori, nè in ragione dell’esito del procedimento penale; la proroga del termine di prescrizione che viene, in tale ipotesi, a decorrere dalla data del provvedimento penale definitivo, richiede, tuttavia, che, nel corso del termine medesimo e non dopo la sua scadenza, sia trasmessa all’autorità giudiziaria la “notitia criminis”, primo atto esterno prefigurante il nodo di commistione tra fatto reato e presupposto di imposta, destinato ad essere sciolto all’esito del giudizio penale”; “la mancanza dei requisiti formali e di natura oggettiva, previsti dalla normativa comunitaria cogente (Regolamenti nn. 1767/82 e 22/88, applicabili ratione temporis) determina di per sè la perdita del trattamento doganale preferenziale, pure a prescindere dalla preordinata e dolosa predisposizione della frode da parte dell’operatore, rilevante ai fini penali”.

La sentenza di questa Corte ha disposto, altresì, che “il giudice di rinvio dovrà pronunciarsi, inoltre, sulle questioni di merito, ritenute assorbite dalla questione preliminare di prescrizione, e riproposte dalla CRAI (…) nel presente giudizio di legittimità, nel quale peraltro tali questioni – riproponibili davanti al giudice del rinvio – non possono essere prese in esame (Cass. 3796/2008; Cass. 9907/2010)”.

2. Al ricorso per revocazione, che propone due motivi, non v’è stata resistenza dell’intimata.

3. Il ricorso, assegnato alla Sesta Sezione Civile-T, veniva trattato, a seguito di relazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nella Camera di consiglio del 13 gennaio 2014 ed all’esito della trattazione, veniva pronunciata l’ordinanza n. 3168 del 17 febbraio 2016, con la quale la detta Sezione disponeva la rimessione della decisione sul ricorso alla pubblica udienza davanti a questa Sezione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio rileva preliminarmente che la valutazione con cui l’ordinanza della Sesta Sezione-T ha delibato positivamente l’ammissibilità del ricorso per revocazione non ha natura di decisione parziale positiva sull’esistenza delle condizioni di ammissibilità, ma, in mancanza di indici normativi che le assegnino tale valore, deve ritenersi soltanto espressiva di una valutazione meramente interlocutoria e pienamente discutibile in questa sede.

Ne segue che il Collegio deve procedere, conforme alla strutturazione del giudizio di revocazione, all’esame dell’ammissibilità del ricorso con piena cognizione della sussistenza delle condizioni generali di ammissibilità del ricorso come mezzo di impugnazione e di quelle speciali correlate alla natura del mezzo revocatorio.

E ciò senza, perciò, essere vincolato alla motivazione con cui la Sesta Sezione-T ha delibato positivamente l’ammissibilità, condividendo la motivazione espressa nella relazione ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., in questi termini:

“Il ricorso – ai sensi dell’art. 380-bis e 391-bis c.p.c., assegnato allo scrivente relatore – può essere delibato con ordinanza interlocutoria ai fini della rimessione alla pubblica udienza, ai sensi degli art. 391-bis c.p.c.. Infatti, con il primo motivo di revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, la ricorrente assume che la Corte sarebbe incorsa nel vizio di omessa pronuncia in relazione alle eccezioni di giudicato e di inammissibilità dell’impugnazione formulate dalla CRAI in grado di appello che la CRAI medesima aveva riproposto nel giudizio di cassazione sub specie di ricorso incidentale condizionato, così, incorrendo in errore revocatorio, siccome avrebbe dovuto pronunciarsi sul ricorso incidentale condizionato una volta accolto quello principale. La fondatezza di detta censura per errore revocatorio troverebbe conferma nel precedente di Cass. n. 13147/2003 e troverebbe riscontro negli stessi atti di causa, alla luce del testo del controricorso. Il motivo appare ammissibilmente formulato (siccome prospetta l’esistenza di un vizio astrattamente idoneo alla revocazione della pronuncia) e perciò necessita dell’esame da parte della Corte nella pubblica udienza, a mente dell’art. 391 bis c.p.c.. La sussistenza del presupposto di ammissibilità con riferimento al primo motivo esime dall’esame del secondo motivo a riguardo dello stesso presupposto. Pertanto, si ritiene che il ricorso per revocazione possa essere delibato in Camera di consiglio in termini di ammissibilità, così che se ne debba disporre la rimessione alla pubblica udienza della quinta sezione civile”.

2. Tanto premesso ritiene il Collegio che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, in quanto entrambi i motivi di revocazione sono inammissibili, il primo per una ragione inerente alle ragioni di ammissibilità in generale di un mezzo di impugnazione, il secondo perchè non denuncia un errore revocatorio.

Queste le ragioni.

3. Con il primo motivo di ricorso si prospetta, come già ricordato dalla citata ordinanza, “omesso esame ed omessa pronuncia sul ricorso incidentale condizionato di CRAI”, ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4.

Come emerge dall’intestazione, il motivo si duole che la sentenza impugnata abbia omesso di pronunciare, cioè di dire alcunchè e, quindi, di esprimere una posizione del Collegio allora decidente, sul ricorso incidentale condizionato.

Effettivamente la qui ricorrente aveva proposto un ricorso incidentale condizionato, con cui aveva fatto valere il vizio di violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per “omessa pronuncia in relazione alle eccezioni di giudicato e di inammissibilità dell’impugnazione formulate da CRAI in grado di appello”.

In astratto il vizio così denunciato può essere considerato riconducibile dell’art. 395 c.p.c., n. 4, perchè, dovendo la decisione provvedere sia sul ricorso principale, sia su quello incidentale sebbene condizionato, l’ipotetica adozione di essa solo sul primo e non anche sul secondo può ritenersi frutto di un errore di percezione della sua presenza nel giudizio di cassazione.

E’ stato, d’altra parte, statuito che “In riferimento all’omessa pronuncia da parte della Corte di cassazione su un motivo di ricorso, l’unico mezzo di impugnazione esperibile avverso la relativa sentenza è, ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, la revocazione per l’errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità, errore che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa” (Cass. n. 16003 del 2011). La soluzione affermata per l’omesso esame di un motivo di ricorso non può non valere anche per l’omessa decisione su un intero ricorso.

3.1. Senonchè, il motivo di revocazione si connota inammissibile in quanto difetta della struttura stessa coessenziale ad un qualsiasi motivo di impugnazione e ciò perchè non si correla alla motivazione della sentenza impugnata.

Invero, essa, al contrario di quanto si sostiene dalla ricorrente, non ha affatto omesso di pronunciare sul ricorso incidentale condizionato, ma, al contrario, ha pronunciato su di esso.

La sentenza, infatti, dopo avere dato atto, nella parte intestata “premesso in fatto”, della proposizione del ricorso incidentale condizionato, ha manifestamente deciso sul di esso, pur senza espressamente nominarlo come oggetto di decisione, nel punto 6 della parte intestata “osserva in diritto”.

Tale punto si legge a pagina 7 ed ha il seguente tenore, già evocato sopra nei fatti di causa: “il giudice di rinvio dovrà pronunciarsi, inoltre, sulle questioni di merito, ritenute assorbite dalla questione preliminare di prescrizione, e riproposte dalla CRAI (…) nel presente giudizio di legittimità, nel quale peraltro tali questioni – riproponibili davanti al giudice del rinvio – non possono essere prese in esame (Cass. 3796/2008; Cass. 9907/2010)”.

E’ sufficiente leggere la massima di Cass. n. 3796 del 2008 (cui si conforma l’altra decisione evocata) perchè si comprenda che la sentenza qui impugnata, con le riportate affermazioni ha inteso decidere sul ricorso incidentale condizionato, reputandolo inammissibile sulla base del principio di diritto da essa espresso, che è il seguente: “Nel giudizio di cassazione, è inammissibile il ricorso incidentale condizionato con il quale la parte vittoriosa nel giudizio di merito sollevi questioni che siano rimaste assorbite, avendo il giudice di merito attinto la ratio decidendi da altre questioni di carattere decisivo, in quanto tali questioni, in caso di accoglimento del ricorso principale, possono essere riproposte davanti al giudice di rinvio”.

Poichè il motivo di ricorso per revocazione non si correla manifestamente al tenore della decisione chiaramente così interpretabile ed anzi ignora questo tenore ed in particolare non si fa carico di spiegare perchè con la detta motivazione la sentenza impugnata non avrebbe deciso il ricorso incidentale condizionato, viene in rilievo il principio di diritto, recentemente ribadito da Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017, secondo cui: “Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto, per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4″.

Il primo motivo, dunque, è dichiarato inammissibile.

4. Con il secondo motivo di ricorso per revocazione si denuncia la “supposizione di fatti inesistenti ed anzi smentiti dalle risultanze di causa”, sempre ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4.

Anche questo motivo è inammissibile.

Nella sua illustrazione, per coerenza con l’intestazione, dovrebbe emergere l’individuazione di più errori di fatto.

Ora, l’illustrazione, nella parte iniziale assume di individuare un errore che dice “lapalissiano”, nella seguente affermazione della sentenza impugnata: “3.4. Ciò posto, va rilevato che, nel caso di specie, non risulta controverso tra le parti che la notizia relativa ad ipotesi di frodi comunitarie nel settore dei formaggi, sia stata iscritta nel registro delle notizie dei reato, ex art. 335 c.p.p., fin dall’anno 1995 (proc. n. 1175/95). Se ne deve inferire che, per le obbligazioni tributarie insorte negli anni 1988 e 1989 – alle quali si applica il termine quinquennale di prescrizione D.P.R. n. 43 del 1973, ex art. 84, nel testo precedente la modifica di cui alla L. L. n. 428 del 1990, art. 29 – la notizia di reato è pervenuta all’autorità giudiziaria oltre il termine di prescrizione di cinque anni; per cui per tali annualità il diritto dell’Amministrazione al recupero a posteriori dei dazi doganali deve ritenersi senz’altro prescritto”.

Dopo tale richiamo l’illustrazione dichiara di accantonare la trattazione del preteso errore revocatorio e svolge considerazioni che si risolvono in una critica alla sentenza impugnata quanto alle valutazioni che l’hanno condotta all’affermazione di inesistenza della prescrizione, e lo fa dalla pagina 22 alla pagina 23.

Evidentemente tali considerazioni nulla hanno a che fare, per esplicita ammissione della ricorrente, con l’argomentazione del motivo di revocazione.

4.1. A pagina 24 si dichiara, poi, di voler ritornare ad esaminare l’errore revocatorio, ma si allude, con un paragrafo B.1) alla “supposta esistenza di un atto-fatto previsto dalla legge come reato che ha impedito l’esazione tempestiva dei dazi da parte di Dogane”.

Immediatamente dopo si dice che “il presupposto errato da cui muove il ragionamento della Corte è che il termine triennale (prima del 01.05.91 quinquennale) di prescrizione per la riscossione a posteriore dei dazi sia stato interrotto dalla commissione da parte di CRAI di un atto/fatto di reato che ha reso impossibile a Dogane di quantificare e quindi recuperare quanto ad essa pretesamente dovuto nel termine di prescrizione triennale (prima del 01.05.91 quinquennale) stabilito dall’art. 84, comma 1 TULD per la riscossione dei diritti doganali”.

Senonchè, nella successiva argomentazione, dopo che si è fatto riferimento ad un procedimento penale come l’unico in discussione, si sostiene che riguardo ad esso era intervenuto decreto di archiviazione e di esso si riproduce una parte della motivazione, per inferirne, quindi, peraltro anche senza coerenziare l’affermazione con specifici riferimenti a quel che si è riportato della detta motivazione, che la controparte “già prima che il detto procedimento penale avesse inizio, era in possesso di tutti gli elementi necessari per poter accertare e quindi riscuotere eventuali pretesi maggiori dazi, come dalla stessa peraltro affermato”.

Ebbene già in tale argomentare, ma ancora più ed ulteriormente nella successiva affermazione finale che, dopo l’assunto che incombe a chi deve replicare ad un’eccezione di prescrizione di provare l’atto interruttivo, viene fatta con il sostenere che, “calando tale principio nel caso di specie, Dogane aveva l’onere di allegare e provare (oltre agli ulteriori requisiti di cui pure si dirà nei prossimi paragrafi) l’atto/fatto reato che ha “causato” l’intempestiva riscossione dei dazi”, non si rinviene l’individuazione di alcun errore di fatto riconducibile alla nozione di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, ma solo la prospettazione di valutazioni che si sarebbero dovute fare da parte della sentenza impugnata (evidentemente in senso diverso da quelle fatte).

Sicchè, in buona sostanza, si sollecita una censura al processo valutativo decisionale espresso dalla sentenza e non al processo percettivo di uno o più fatti.

Tanto colloca la censura del tutto al di fuori della logica del rimedio revocatorio e ciò: a) alla stregua del principio di diritto secondo cui: “L’istanza di revocazione di una sentenza della Corte di cassazione, proponibile ai sensi dell’art. 391 c.p.c., implica, ai fini della sua ammissibilità, un errore di fatto riconducibile all’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4 e che consiste in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato. L’errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, semprechè la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio” (Cass. n. 22171 del 2010), dovendosi considerare che il vizio revocatorio non ricorre “quando la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione” (Cass. (ord.) n. 20635 del 2017); b) in base all’ulteriore principio di diritto secondo cui: “Ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, richiamato per le sentenze della Corte di cassazione dall’art. 391-bis c.p.c., rientra fra i requisiti necessari della revocazione che il fatto oggetto della supposizione di esistenza o inesistenza non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi; pertanto, non è configurabile l’errore revocatorio qualora l’asserita erronea percezione degli atti di causa abbia formato oggetto di discussione e della consequenziale pronuncia a seguito dell’apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dal giudice” (Cass. ord. n. 27094 del 2011), principio che viene in rilievo perchè la questione del decorso della prescrizione è stata oggetto di discussione e conseguente decisione.

Tanto si rileva non senza doversi rimarcare, sebbene superfluamente, anche la scarsa intelligibilità delle argomentazioni svolte nella stessa loro logica valutativa.

4.2. L’illustrazione del motivo prosegue nel paragrafo b.2.) con un argomentazione, che si dice “subordinata”, in ordine a quella che si definisce “la pretesa trasmissione nel 1995 della notitia criminis da parte di Dogane e l’avvio di un preteso procedimento penale a carico di CRAI”.

Ma anche qui nella lunga esposizione, che inizia a pagina 26 e termina a pagina 31, non si coglie l’indicazione di errori di percezione dell’esistenza di fatti o della loro inesistenza, alla stregua dell’art. 395, n. 4, bensì lo svolgimento di enunciazioni che esprimono un processo valutativo che si dice si sarebbe dovuto compiere e che si basano tra l’altro anche sull’invocazione di principi di diritto, quanto a risultanze del ricorso in appello dell’Agenzia delle Dogane, di un documento di cui si dice che non conteneva una notitia criminis e di cui si contesta la trasmissione da parte di essa alla Procura della Repubblica, di altro documento rappresentato dalla richiesta di archiviazione della Procura della Repubblica di Milano.

I pretesi errori, che si elencano conclusivamente a pagina 31 risultano enunciati, per converso e necessariamente non già secondo la struttura del paradigma dell’art. 395 c.p.c., citato n. 4, cioè sotto la specie percettiva, bensì come frutto di errate valutazioni imputabili alla sentenza impugnata in iure ed in facto.

4.3. A partire dall’ultimo terzo della pagina 31, sotto un paragrafo indicato come B.3) ed intestato a “l’ipotizzata pendenza dal 1995 al 2004 di tale procedimento penale”, si dice che gli errori segnalati nei precedenti due paragrafi “hanno inevitabilmente indotto la Corte ad un ulteriore errore e cioè a supporre l’esistenza di un procedimento penale, che asseritamente iniziato nell’anno 1995 a seguito di una pretesa notizia di reato pretesamente trasmessa ed iscritta nel registro delle notizie di reato nello stesso anno (ma che non è in atti e nemmeno dedotta da Dogane) si sarebbe concluso nel 2004 con il decreto di archiviazione prodotto come doc. 3 con l’atto di costituzione in primo grado di Dogane”. Segue nuovamente il richiamo del passo motivazione già evocato in precedenza all’inizio del paragrafo B.1), questa volta seguito dall’espressa affermazione che “trattasi di circostanze del tutto carenti di prova e persino smentite dalle allegazioni e dai documenti versati in atti”, cui segue coerentemente un’attività di vero e proprio commento di risultanze probatorie nella pagina 32 e nella 33.

La espressa affermazione di dipendenza da quanto enunciato nei due precedenti paragrafi B.1) e B.2.) rende, in prima battuta, quanto enunciato nel paragrafo B.3) irrilevante, attesa la sorte di quanto enunciato nei detti due paragrafi, mentre l’affermazione da ultimo ricordata (nonchè il suo sviluppo) suona all’evidenza essa stessa come “confessoria” che non si illustra un errore di percezione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, ma, in modo inammissibile, si sollecita una rivalutazione del quadro probatorio che la sentenza impugnata ha valutato e, dunque, un errore di valutazione.

4.4. Per le esposte ragioni l’intero secondo motivo è inammissibile, in quanto nella sua illustrazione non si coglie in alcun modo un’attività assertiva di un errore ai sensi di quella norma.

4. Il ricorso dev’essere, pertanto, dichiarato inammissibile.

5. Non è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di revocazione.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di revocazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 20 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2018

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