Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4419 del 21/02/2017


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Cassazione civile, sez. II, 21/02/2017,  n. 4419

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20804/2013 R.G. proposto da:

D.P.I., – c.f. (OMISSIS) – P.R. – c.f. (OMISSIS) –

rappresentati e difesi in virtù di procura speciale in calce ai

ricorso dall’avvocato Alberto Valenziano ed elettivamente

domiciliati in Roma, alla via Confalonieri, n. 5, presso lo studio

dell’avvocato Luigi Manzi e dell’avvocato Andrea Manzi;

– ricorrenti –

contro

PA.PO.GI., – c.f. (OMISSIS) – PO.AD.LO. – c.f.

(OMISSIS) – PO.CA. – c.f. (OMISSIS) – PO.FE. – c.f.

(OMISSIS) – rappresentati e difesi in virtù di procura speciale in

calce al controricorso dall’avvocato Giovanni Cerri ed elettivamente

domiciliati in Roma, al corso Trieste, n. 109, presso lo studio

dell’avvocato Donato Mondelli;

– controricorrenti –

Avverso la sentenza n. 2859 dei 3.7/29.8.2012 della corte d’appello

di Milano;

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 30

novembre 2016 dal consigliere dott. Luigi Abete;

Udito l’avvocato Gianluca Calderara, per delega dell’avvocato Alberto

Valenziano, per i ricorrenti;

Udito l’avvocato Giovanni Cerri per i controricorrenti;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore

generale Dott. RUSSO Rosario, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso con decisione nel merito.

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.P.I. e P.R. proponevano ricorso ex art. 1172 c.c., al tribunale di Varese nei confronti di Pa.Po.Gi. nonchè di Po.Ad.Lo., Ca. e Fe..

All’esito della c.t.u. l’adito giudice faceva ordine ai resistenti di eseguire le opere meglio descritte nella relazione del consulente depositata il 18.4.2003.

Con atto notificato in data 2.7.2003 D.P.I. e P.R. citavano a comparire innanzi al tribunale di Varese Pa.Po.Gi. nonchè Po.Ad.Lo., Ca. e Fe..

Si costituivano i convenuti; instavano per il rigetto delle avverse richieste ed esperivano domanda riconvenzionale.

Disposta ulteriore c.t.u., si prendeva atto che i convenuti avevano eseguito le opere di consolidamento meglio indicate dal consulente.

Con sentenza n. 527/2011 il tribunale di Varese dichiarava cessata la materia del contendere in relazione alle pretese attoree, rigettava la domanda riconvenzionale, condannava in solido i convenuti a pagare agli attori le spese di lite, liquidate nel complesso in Euro 23.500,00, di cui Euro 1.250,00 per spese, poneva a solidale carico dei convenuti le spese di consulenza tecnica.

Interponevano appello Pa.Po.Gi. nonchè di Po.Ad.Lo., Ca. e Fe..

Resistevano D.P.I. e P.R..

Con sentenza n. 2859 dei 3.7/29.8.2012 la corte d’appello di Milano accoglieva parzialmente il gravame e, per l’effetto, compensava fino a concorrenza di 1/3 le spese del doppio grado e condannava gli appellanti in solido a rimborsare agli appellati i residui 2/3 liquidati, quanto al primo grado, in Euro 1.800,00, di cui Euro 600,00 per diritti, oltre rimborso forfettario ed accessori di legge, liquidati, quanto al secondo grado, in Euro 1.500,00, di cui Euro 500,00 per diritti, oltre rimborso forfettario ed accessori di legge.

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso D.P.I. e P.R.; ne hanno chiesto sulla scorta di un unico motivo la cassazione con ogni conseguente statuizione.

Pa.Po.Gi. nonchè di Po.Ad.Lo., Ca. e Fe. hanno depositato controricorso; hanno chiesto dichiararsi inammissibile ovvero, in subordine, rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del giudizio di legittimità.

I controricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., e L. n. 794 del 1942, art. 24, nonchè del D.M. n. 585 del 1994, del D.M. n. 127 del 2004.

Premettono che “l’attività prestata è stata puntualmente ricostruita nelle note spese depositate in primo grado ed in grado di appello, tenendo conto del valore della controversia, da considerarsi indeterminato anche in conseguenza delle domande riconvenzionali proposte dalle controparti” (così ricorso, pag. 8).

Premettono che non intendono impugnare “la decisione di compensare per un terzo le spese dei due gradi del giudizio (…), ma (…) la violazione di legge nella liquidazione dei restanti due terzi sia per il primo che per il secondo grado” (così ricorso, pag. 9).

Premettono che “l’abolizione dei minimi tariffari può operare nei rapporti tra professionista e cliente” (così ricorso, pag. 9).

Premettono che “il giudice, in presenza di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, (…) ha l’onere di dare adeguata motivazione dell’eliminazione e della riduzione delle voci da lui operata” (così ricorso, pag. 9).

Indi deducono che, limitatamente al primo grado, comprensivo sia della fase relativa al procedimento per danno tenuto sia della fase relativa al procedimento a cognizione piena, atteso il valore indeterminato del giudizio, la corte avrebbe dovuto liquidare Euro 649,89 per spese esenti, Euro 756,54 per spese imponibili, Euro 11.807,94 per diritti, Euro 28.570,00 per onorari, oltre Euro 5.047,24 a titolo di rimborso forfetario pari al 12,5%, oltre c.p.a. al 4% (Euro 1.847,27) ed i.v.a. al 20% (Euro 9.605,80).

Indi deducono che, limitatamente al secondo grado, atteso parimenti il valore indeterminato del giudizio, la corte avrebbe dovuto liquidare Euro 534,40 per spese imponibili, Euro 1.611,00 per diritti, Euro 11.675,00 per onorari, oltre Euro 1.660,75 a titolo di rimborso forfetario pari al 12,5%, oltre c.p.a. al 4% (Euro 619,25) ed i.v.a. al 21% (Euro 3.381,08).

Deducono pertanto che la corte di merito ha liquidato importi manifestamente inferiori ai minimi tariffari inderogabili, “senza addurre alcuna motivazione in merito (…) al drastico abbattimento delle note spese depositate” (così ricorso, pag. 21).

Il ricorso è fondato e meritevole di accoglimento.

In primo luogo va reiterato l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte alla cui stregua, in tema di spese processuali, agli effetti del D.M. 20 luglio 2012, n. 140, art. 41, il quale ha dato attuazione al D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 9, comma 2, convertito in L. 24 marzo 2012, n. 27, i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, sono da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorchè tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora erano in vigore le tariffe abrogate, evocando l’accezione omnicomprensiva di “compenso” la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera complessivamente prestata (cfr. Cass. sez. un. 12.10.2012, n. 17405).

Su tale scorta si rappresenta che nella vicenda contenziosa de qua agitur, definita in grado d’appello con sentenza dei 3.7/29.8.2012, non interferisce la disciplina di cui al D.M. n. 140 del 2012, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 195 del 22 agosto 2012, giacchè alla data di entrata in vigore del predetto decreto ministeriale la prestazione professionale, della cui liquidazione giudiziale si controverte, era stata integralmente eseguita, era stata completata.

Correttamente, dunque, i ricorrenti denunciano – tra l’altro – la violazione e falsa applicazione del D.M. n. 127 del 2004, D.M. che costituisce sicuramente, nel segno del summenzionato arresto delle Sezioni Unite, la disciplina normativa applicabile al caso di specie.

In secondo luogo va reiterato l’insegnamento di questa Corte alla cui stregua, in tema di liquidazione delle spese processuali che la parte soccombente deve rimborsare a quella vittoriosa, la determinazione degli onorari di avvocato e degli onorari e diritti di procuratore costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice che, qualora sia contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede una specifica motivazione e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità (Cass. 9.10.2015, n. 20289).

Evidentemente, nel caso per cui è controversia, il sindacato di questo Giudice appieno ha da esplicarsi, giacchè, siccome si è premesso, i ricorrenti assumono che la corte distrettuale non ha “rispettato i minimi tariffari inderogabili in relazione al valore (indeterminato) della controversia” (così ricorso, pag. 21).

In terzo luogo va reiterato l’insegnamento di questo Giudice alla cui stregua, in tema di liquidazione delle spese processuali, il giudice, in presenza di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, non può limitarsi ad una globale determinazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato in misura inferiore a quelli esposti, ma ha l’onere di dare adeguata motivazione dell’eliminazione e della riduzione di voci da lui operata, allo scopo di consentire, attraverso il sindacato di legittimità, l’accertamento della conformità della liquidazione a quanto risulta dagli atti ed alle tariffe, in relazione all’inderogabilità dei relativi minimi, a norma della L. n. 794 del 1942, art. 24, (cfr. Cass. 14.10.2015, n. 20604).

Su tale scorta si rappresenta che, siccome si è premesso, i ricorrenti hanno allegato – e i controricorrenti non hanno contestato – di aver depositato “note – spese” sia in prime sia in seconde cure, cosicchè, quantunque non vi fosse necessità di una specifica motivazione, non può non darsi atto che la motivazione del dictum della corte territoriale risulta in parte qua del tutto deficitaria, giacchè in nessun modo dà ragione dell’operata decurtazione degli onorari e dei diritti indicati nelle note depositate.

Ossia della riduzione degli onorari e dei diritti per il primo grado, rispettivamente ed in valore pari ad 1/1, ad Euro 1.800,00 e ad Euro 900,00 a fronte di una richiesta complessiva (comprensiva pur della fase interinale) eguale, rispettivamente ed in misura pari ad 1/1, ad Euro 28.570,00 e ad Euro 11.807,94. E della riduzione degli onorari e dei diritti per il secondo grado, rispettivamente ed in valore pari ad 1/1, ad Euro 1.500,00 e ad Euro 750,00 a fronte di una richiesta complessiva eguale, rispettivamente ed in misura pari ad 1/1, ad Euro 11.675,00 e ad Euro 1.611,00.

In quarto luogo va reiterato l’insegnamento di questo Giudice alla cui stregua, in tema di liquidazione dell’onorario spettante all’avvocato, la determinazione del valore della causa, anche ai fini dell’individuazione dello scaglione tariffario applicabile, va effettuata a norma del codice di procedura civile, con la conseguenza che, in mancanza di concreti ed attendibili elementi per la stima precostituiti e disponibili fin dall’introduzione del giudizio, la domanda deve ritenersi di valore indeterminabile (cfr. Cass. 12.7.2005, n. 14586).

Su tale scorta si rappresenta che la vicenda contenziosa de qua ha tratto origine da una denunzia ex art. 1172 c.c., con cui i ricorrenti in questa sede “hanno lamentato una situazione di pericolo di danno incombente sul confine tra le proprietà delle parti ed hanno chiesto al Tribunale l’emissione di tutti i provvedimenti necessari ad eliminare detto pericolo” (così ricorso, pagg. 2 – 3).

Altresì, che alla denunzia di danno tenuto si è correlata la domanda con cui gli iniziali resistenti – controricorrenti in questa sede – hanno in via riconvenzionale chiesto “l’eliminazione di un asserito scolo non regimentato di acque provenienti dal bagno abusivo ed il versamento di un importo a titolo di ingiustificato arricchimento (…), oltre ad un (…) risarcimento di danni che si quantificheranno in corso di causa” (così ricorso, pagg. 3 – 4).

E’ indubitabile, quindi, che il valore della controversia fosse e sia da reputare indeterminabile.

Conseguentemente, con riferimento al primo grado, alla stregua del D.M. n. 127 del 2004, e limitatamente agli onorari, gli onorari minimi, in relazione alle attività analiticamente indicate alle pagine 12 e 18 del ricorso, si determinano in complessivi Euro 2.505,00 (Euro 250,00 per tutta l’opera prestata nella fase interdittale ed Euro 210,00, Euro 110,00, Euro 55,00, Euro 170,00, Euro 450,00 (Euro 45,00 x 10), Euro 210,00, Euro 440,00 (Euro 110,00 x 4), Euro 410,00, Euro 410,00 per la fase a cognizione piena).

Conseguentemente, con riferimento al secondo grado, alla stregua del D.M. n. 127 del 2004, e limitatamente agli onorari, gli onorari minimi, in relazione alle attività analiticamente indicate a pagina 20 del ricorso, si determinano in complessivi Euro 1.965,00 (Euro 265,00, Euro 135,00, Euro 75,00, Euro 240,00, Euro 120,00 (Euro 60,00 x 2), Euro 565,00, Euro 565,00).

E’ evidente perciò, di già con riferimento agli onorari, la violazione dei minimi tariffari, giacchè, siccome si è premesso, la corte milanese ha liquidato per il primo grado, in valore pari ad 1/1, Euro 1.800,00 e per il secondo grado, in valore pari ad 1/1, Euro 1.500,00.

In accoglimento del ricorso la sentenza n. 2859 dei 3.7/29.8.2012 della corte d’appello di Milano va cassata con rinvio ad altra sezione della medesima corte.

All’enunciazione – in ossequio alla previsione dell’art. 384 c.p.c., comma 1, – del principio di diritto – al quale ci si dovrà uniformare in sede di rinvio – può farsi luogo per relationem, nei medesimi termini espressi dalle massime desunte dagli insegnamenti di questa Corte n. 17405/2012, n. 20289/2015, n. 20604/2015, 14586/2005 dapprima citati.

In sede di rinvio si provvederà alla regolamentazione delle spese del presente grado di legittimità.

Il buon esito del ricorso fa sì che non sussistono i presupposti perchè, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, (comma 1 quater introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), i ricorrenti siano tenuti a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del medesimo D.P.R..

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza n. 2859 dei 3.7/29.8.2012 della corte d’appello di Milano, rinvia ad altra sezione della corte d’appello di Milano anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2017

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