Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4418 del 21/02/2017


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Cassazione civile, sez. II, 21/02/2017, (ud. 30/11/2016, dep.21/02/2017),  n. 4418

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14510 – 2013 R.G. proposto da:

VILLA SIU di Z.A. s.a.s. (già “Vides Cinematografica s.a.s.

di Z.A. e M.C.”) – c.f. (OMISSIS) – in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, alla piazza dei Caprettari, n. 70, presso lo studio

dell’avvocato Massimiliano Iaione che congiuntamente e

disgiuntamente all’avvocato Paolo Leone la rappresenta e difende in

virtù di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

S.M. – c.f. (OMISSIS) – S.P. – c.f. (OMISSIS) –

S.L. – c.f. (OMISSIS) – (quali eredi di S.D.,

deceduto il (OMISSIS), costui, a sua volta, sia in proprio sia quale

socio unico di “Edil Dama” s.r.l., cancellata dal registro delle

imprese in data 21.8.2009), M.M.L. – c.f. (OMISSIS) –

elettivamente domiciliati in Roma, al viale Carso, n. 77, presso lo

studio dell’avvocato Edoardo Pontecorvo e dell’avvocato Luciano

Alberini che congiuntamente e disgiuntamente li rappresentano e

difendono in virtù di procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

Avverso la sentenza n. 1010 dei 24.1/20.2.2013 della corte d’appello

di Roma;

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 30

novembre 2016 dal consigliere dott. Luigi Abete;

Uditi l’avvocato Massimiliano Iaione e l’avvocato Paolo Leone per la

ricorrente;

Udito l’avvocato Luciano Alberini per i controricorrenti;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore

generale dott. Russo Rosario, che ha concluso per la declaratoria di

inammissibilità dei primi quattro motivi di ricorso e per

l’accoglimento degli ulteriori.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto notificato in data 15.1.1988 S.D. citava a comparire dinanzi al tribunale di Roma la “Vides Cinematografica s.a.s. di Z.A. e M.C.”.

Esponeva che nel 1961 con il consenso verbale degli allora proprietari aveva accorpato al fondo di sua proprietà, dell’estensione di mq. 2.510, acquistato con rogito del (OMISSIS), una porzione di terreno di mq. 700 ricadente nelle particelle catastali (OMISSIS) del foglio (OMISSIS); che aveva concesso in affitto l’intera superficie di mq. 3.210 alla “Edil Dama” s.r.l. con contratto dell’1.7.1987 poi rinnovato il 15.11.1994.

Chiedeva dichiararsi e darsi atto dell’intervenuto acquisto per usucapione da parte sua ed in danno dell’accomandita convenuta della proprietà della porzione di mq. 700.

Si costituiva la “Vides Cinematografica s.a.s. di Z.A. e M.C.”. Instava per il rigetto dell’avversa domanda.

Con separato atto notificato in data 20.11.1997 la “Vides Cinematografica s.a.s. di Z.A. e M.C.” citava a comparire innanzi al tribunale di Roma la “Edil Dama” s.r.l..

Deduceva che con rogito del 21.4.1997 aveva acquistato un’estensione di terreno di circa mq. 700 ubicata in (OMISSIS), alla località (OMISSIS); che il terreno era abusivamente occupato dalla s.r.l. convenuta, la quale aveva altresì provveduto a recintarlo con un muro.

Chiedeva che la convenuta fosse condannata al rilascio del fondo ed al pagamento di un indennizzo per l’abusiva occupazione.

Si costituiva la “Edil Dama” s.r.l..

Deduceva che occupava l’area in forza di contratto di locazione stipulato nel 1987 con S.D.. Instava per il rigetto dell’avversa domanda.

Riuniti i giudizi, nel corso istruttorio si attendeva all’escussione dei testimoni addotti nonchè all’espletamento di due consulenze tecniche d’ufficio.

Con sentenza n. 3822/2003 il tribunale adito dichiarava la “Vides Cinematografica s.a.s. di Z.A. e M.C.” proprietaria del terreno di mq. 1485,45 corrispondente alle particelle catastali (OMISSIS) del foglio (OMISSIS), rigettava la domanda di usucapione esperita da S.D., condannava costui e la “Edil Dama” s.r.l. al rilascio del terreno ed alla demolizione del muro perimetrale nonchè al pagamento della somma di Euro 185.946,07 a titolo di risarcimento del danno oltre interessi e spese di lite.

Interponevano appello S.D. e la “Edil Dama” s.r.l..

Resisteva la “Villa Silj s.a.s. di Z.A.” (già “Vides Cinematografica s.a.s. di Z.A. e M.C.”); esperiva inoltre appello incidentale.

Con sentenza n. 1010 dei 24.1/20.2.2013 la corte d’appello di Roma accoglieva l’appello principale, in tal guisa assorbita la disamina dell’appello incidentale, e, per l’effetto, dichiarava che S.D. aveva usucapito la porzione di terreno controversa, autorizzava la trascrizione della sentenza e condannava l’appellata alle spese del doppio grado e di c.t.u..

Evidenziava la corte di merito che il consulente d’ufficio aveva chiarito che, a seguito dell’acquisizione dei rilievi aerofotografici, la situazione dei luoghi nel 1977 era risultata “simile a quella relativa all’anno 1992 e all’anno 1994 in cui appare tangibile la presenza della recinzione dell’intera area in contestazione” (così sentenza d’appello, pag. 3); che risultavano così confermate le dichiarazioni dei testimoni escussi, che avevano riferito che S.D. “fin dagli anni ‘60 aveva recintato inglobandola al suo terreno l’area per cui è causa” (così sentenza d’appello, pag. 4); che doveva dunque reputarsi acquisito riscontro della “ventennale, ininterrotta e pacifica signoria di fatto corrispondente all’esercizio della proprietà, sulla porzione di terreno in controversia da parte di S.D.” (così sentenza d’appello, pag. 4).

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso la “Villa Silj s.a.s. di Z.A.” (già “Vides Cinematografica s.a.s. di Z.A. e M.C.”); ne ha chiesto sulla scorta di sei motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione anche in ordine alle spese.

S.M., P. e L. (quali eredi di S.D., deceduto il (OMISSIS), costui, a sua volta, sia in proprio sia quale socio unico di “Edil Dama” s.r.l., cancellata dal registro delle imprese in data 21.8.2009) nonchè M.M.L. hanno depositato controricorso; hanno chiesto rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Del pari i controricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1140, 1141 e 1158 cod. civ..

Deduce che S.D. ha addotto di aver accorpato al suo terreno la porzione di mq. 700 non già contro la volontà degli originari proprietari bensì con il loro verbale consenso; che in tal modo controparte ha ammesso di aver siglato con gli originari proprietari un accordo verbale idoneo a determinare non già l’acquisizione del possesso ovvero di un potere di fatto corrispondente alla proprietà o ad altro diritto reale, sibbene l’acquisizione di una mera detenzione qualificata, con la conseguenza che, non avendo acquisito il possesso, giammai avrebbe potuto usucapire la proprietà.

Deduce altresì che deve escludersi che S.D. sia “divenuto possessore del terreno a partire da un momento successivo all’iniziale “accorpamento” dell’appezzamento” (così ricorso, pagg. 16 – 17); che, invero, “nessuna interversione del possesso è stata dimostrata o allegata in corso di causa” (così ricorso, pag. 17); che segnatamente “va esclusa nel caso di specie anzitutto la sussistenza di “causa proveniente da un terzo”” (così ricorso, pag. 17); che al contempo S.D. neppure ha dimostrato di aver effettuato un’ “opposizione contro il possessore”, idonea a fargli conseguire il possesso; che “tale, in particolare, non potrebbe essere considerata neppure l’apposizione della (contestata) recinzione” (così ricorso, pag. 18); che infatti l’apposizione della recinzione è da ricondurre al consenso verbale che al S. era stato accordato dagli originari proprietari, sicchè ha costituito estrinsecazione di una facoltà che gli competeva quale detentore qualificato.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Deduce che la corte distrettuale ha erroneamente ritenuto che S.D. è stato possessore del terreno per il tempo utile ad usucapirlo, benchè costui abbia allegato, in dipendenza del dedotto consenso verbale degli allora proprietari, di essere stato solo detentore e benchè non abbia nè allegato nè provato il mutamento della detenzione in possesso.

Deduce propriamente che la corte territoriale ha del tutto omesso l’esame di tali circostanze.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 111 Cost., comma 6, la nullità della sentenza e del procedimento per carenza di motivazione.

Deduce che la corte di Roma ha in toto omesso la motivazione in ordine ai profili della detenzione del terreno e della mancata interversione del possesso.

Con il quarto motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 101 c.p.c., comma 2 e art. 1141 c.c., comma 2, la nullità della sentenza e del procedimento.

Deduce che, “ammesso che la Corte territoriale abbia (implicitamente) ritenuto l’apposizione della recinzione un atto di opposizione contro il possessore ai sensi dell’art. 1141 c.c., comma 2, la sentenza impugnata sarebbe comunque nulla per non essere stata sollecitata, sul punto, la discussione delle parti” (così ricorso, pag. 23); che siffatta omissione “ha cagionato (…) un concreto pregiudizio alla ricorrente” (così ricorso, pag. 23).

Con il quinto motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 111 Cost., comma 6, la nullità della sentenza e del procedimento per carenza di motivazione.

Deduce che la corte d’appello ha erroneamente indicato in sentenza come proprie del c.t.u. le conclusioni che “erano state formulate in termini non di certezza ma di possibilità” (così ricorso, pag. 25) dalla “Sara Nistri” mediante apposita risposta scritta.

Deduce che la corte di merito, dalla circostanza per cui sin dal 1977 esisteva intorno al terreno una recinzione che nel 1992 diveniva muratura, ha desunto, apoditticamente e quindi con motivazione solo apparente, conferma della veridicità delle testimonianze rese dai dipendenti del S., dichiarazioni di contro reputate inattendibili dal primo giudice.

Deduce che pur al cospetto delle note tecniche avverso la ricostruzione prospettata dal S., a firma del geometra B., e pur al cospetto delle controdeduzioni avverso la ricostruzione prospettata dal c.t.u. di secondo grado, la corte distrettuale ne ha del tutto omesso l’esame e si è limitata a rinviare, per relationem, alle conclusioni del consulente d’ufficio.

Con il sesto motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.

Deduce che la corte romana ha omesso di valutare le reali risultanze della consulenza tecnica di secondo grado ovvero le ha erroneamente interpretate, allorchè ne ha tratto conferma dell’esistenza di una recinzione risalente nel tempo; inoltre che la corte ha omesso di valutare le allegazioni e le prove di segno contrario fornite da essa ricorrente.

I primi quattro motivi sono strettamente connessi.

Il che ne suggerisce la disamina simultanea.

I medesimi motivi sono in ogni caso destituiti di fondamento.

Si premette che anche il primo motivo si specifica e si qualifica in relazione alla previsione dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5) (si condivide, quindi, la prospettazione dei controricorrenti secondo cui “l’odierna doglianza (…) è (…) finalizzata ad un non ammesso riesame del merito della decisione”: così controricorso, pag. 30).

Occorre tener conto, da un lato, che “Villa Silj” s.a.s. pur col primo motivo censura sostanzialmente il giudizio di fatto cui la corte d’appello ha atteso (“la Corte territoriale avrebbe dovuto, comunque, accertare che egli aveva assunto la posizione di detentore (qualificato) fin dal 1961, e non già di possessore”: così ricorso, pag. 15; “nessuna interversione del possesso è stata dimostrata o allegata in corso di causa”: così ricorso, pag. 17).

Occorre tener conto, dall’altro, che è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054; cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499).

Su tale scorta questa Corte non può che ribadire i propri insegnamenti.

Ossia che il possesso, secondo la dizione testuale dell’art. 1141 cod. civ., si presume in chi esercita il potere di fatto sulla cosa, sia, cioè, in relazione di contiguità fisica con la stessa, sicchè detta presunzione opera a vantaggio di chi è in relazione diretta ed immediata con la res ovvero con l’esercizio di un diritto reale diverso dalla proprietà (cfr. Cass. 25.5.1987, n. 4698).

Ossia che la prova del possesso implica solo la dimostrazione di un’attività corrispondente all’esercizio di un diritto reale, nella quale si identifica presuntivamente, ai sensi dell’art. 1141 cod. civ., il potere di fatto sulla cosa costituente l’essenza stessa del possesso, sicchè spetta a chi contesti tale potere di provare che l’attività esercitata configura una semplice detenzione o è dovuta a mera tolleranza (cfr. Cass. 11.12.1981, n. 6552; Cass. 23.5.2000, n. 6738).

Ossia che gli atti di tolleranza, che traggono origine dall’altrui spirito di condiscendenza o da rapporti di amicizia e di buon vicinato e che implicano un elemento di transitorietà e di saltuarietà, consistono in un godimento di portata modesta e tale da incidere molto debolmente sull’esercizio del diritto da parte dell’effettivo titolare o possessore, con la conseguenza che non può qualificarsi come sorto per mera tolleranza un possesso che si sia protratto per lungo tempo o esplicitato con la costruzione e il godimento di un’opera che insista in modo stabile sul suolo, senza alcuna opposizione da parte del proprietario (cfr. Cass. 25.2.1986, n. 1185).

In questi termini in nessun modo possono essere recepiti i rilievi addotti dalla ricorrente.

Segnatamente i rilievi secondo cui “l’utilizzo da parte del Sig. S. del terreno di cui è causa ed il suo presunto accorpamento, tramite recinzione, a quello limitrofo acquistato dal medesimo Sig. S., devono ritenersi, per ammissione dello stesso Sig. S., attività (facoltà) esercitate con il consenso (…) dell’allora proprietario e possessore” (così ricorso, pag. 15); secondo cui “il signor S. ha cominciato a esercitare il potere di fatto semplicemente come detenzione” (così ricorso, pag. 16); secondo cui deve disconoscersi che il S. sia “divenuto possessore del terreno a partire da un momento successivo all’iniziale “accorpamento” dell’appezzamento” (così ricorso, pagg. 16 – 17), giacchè “nessuna interversione del possesso è stata dimostrata o allegata in corso di causa” (così ricorso, pag. 17).

I surriferiti rilievi, difatti, sono in patente contrasto con la presunzione ex art. 1141 c.c., comma 1, presunzione che nella fattispecie vale a caratterizzare ab origine in guisa di possesso la relazione “intrattenuta” dal S. con la contesa porzione di fondo.

Al contempo, la caratterizzazione ab origine in guisa di possesso vale a rendere del tutto ingiustificato qualsivoglia riferimento alla previsione dell’art. 1141 cod. civ., comma 2 che, ben vero, allo scopo dell’acquisto del possesso impone l’interversio possessionis a colui che “ha cominciato ad avere la detenzione” (art. 1141, 2 co., cod. civ.) e non già a colui che sin dall’inizio si qualifica possessore.

Evidentemente i summenzionati insegnamenti di questo Giudice non solo rivestono valenza anche con riferimento al preteso “omesso esame” denunciato col secondo motivo, ma inducono a connotare come del tutto “fuor di luogo” le deduzioni della ricorrente circa l’obliterazione della motivazione in relazione ai profili “della detenzione del bene e della mancata interversione del possesso” (così ricorso, pag. 21) e circa l’omessa sollecitazione di “ogni discussione delle parti sulla questione relativa all’intervenuto mutamento della detenzione in possesso” (così ricorso; pag. 22).

Del pari è opportuno l’esame congiunto del quinto e del sesto motivo.

I motivi anzidetti difatti sono significativamente correlati.

In ogni modo sono privi di fondamento.

Si premette che pur il quinto motivo si specifica e si qualifica in relazione alla previsione dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5) (si condivide perciò la prospettazione dei controricorrenti secondo cui “tale motivo si concretizza, nella sostanza, in un tentativo di rivalutazione del convincimento della Corte di Appello”: così controricorso, pag. 34).

Occorre tener conto che anche col quinto mezzo la “Villa Silj” s.a.s. censura sostanzialmente il giudizio “di fatto” cui la corte distrettuale ha atteso (“(1) per aver travisato gravemente le risultanze della c.t.u. (…); (2) per aver omesso di fornire qualsivoglia motivazione sulle ragioni per le quali sia stata ritenuta (…) la veridicità delle testimoniane assunte circa l’esistenza delle recinzione (…); (3) per non aver motivato le ragioni della propria adesione alle (apparenti) risultanze della c.t.u. in presenza di puntuali censure mosse alla medesima”: così ricorso, pag. 24).

Su tale scorta si rappresenta che la statuizione di seconde cure è – siccome dei 24.1/20.2.2013 – soggetta alle novità introdotte con il D.Lgs. n. 83 del 2012, convertito nella L. n. 134 del 2012, ed applicabili alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione.

Conseguentemente i vizi motivazionali che i mezzi di impugnazione de quibus agitur veicolano, rilevano nei limiti della novella formulazione dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5) (“per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”).

In tal guisa, evidentemente, riveste valenza l’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte di legittimità (il riferimento è a Cass. sez. un. 7.4.2014, n. 8053).

Ovvero l’insegnamento secondo cui, da un canto, la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (disposta dal D.Lgs. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134) deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, sicchè, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; e secondo cui, propriamente, tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Ovvero l’insegnamento secondo cui, dall’altro, il riformulato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); con la conseguenza che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Nei termini esposti si rappresenta quanto segue.

Per un verso, che è da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua dell’indicazione nomofilattica a sezioni unite testè menzionata, possa scorgersi in relazione alle motivazioni – dapprima riferite – cui la corte di Roma ha ancorato il suo dictum.

In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito, pur individuando nel contenuto della sentenza gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento, non procede ad una loro approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte d’appello ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il percorso argomentativo seguito (“dai chiarimenti forniti dal c.t.u., a seguito dei rilievi aerofotografici (…)”: così sentenza d’appello, pag. 3; “le dichiarazioni dei testi (…) appaiono confermate dalle risultanze delle foto aeree eseguite nel 1977, 1992 e 1994 dalla SIRI NISTRI per conto del Comune di Roma”: così sentenza d’appello, pag. 4).

Per altro verso, che la corte di merito ha sicuramente disaminato il fatto storico caratterizzante la res litigiosa (ovvero “la situazione di fatto caratterizzata dalla ventennale, ininterrotta e pacifica signoria di fatto”: così sentenza d’appello, pag. 4).

Del resto, nella fattispecie la ricorrente censura l’erronea valutazione delle risultanze istruttorie (“per aver travisato gravemente le risultanze della c.t.u.”: così ricorso, pag. 24; “la pronuncia (…) fa discendere da questo solo fatto una conferma della veridicità delle testimonianze dei dipendenti del signor S.”: così ricorso, pag. 25; “la pronuncia appare motivata, più che da una corretta analisi del materiale probatorio e dei fatti di causa, dalla supina aderenza così sentenza d’appello, pag. 32).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cuí esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4), disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4), – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

In ogni caso l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte territoriale risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo e esaustivo sul piano logico – formale.

Ulteriormente si osserva quanto segue.

In primo luogo che, contrariamente all’assunto della ricorrente, la corte distrettuale si è limitata a puntualizzare che i chiarimenti erano stati resi dal c.t.u. a seguito dell’ “acquisizione dei rilievi aerofotografici presso la SARA NISTRI” (così sentenza d’appello, pag. 3).

In secondo luogo, che, in tema di prova testimoniale, la valutazione del giudice di merito in ordine all’attendibilità dei testimoni escussi si sottrae al controllo di legittimità allorchè sia corredata da motivazione sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa vigente in materia (cfr. Cass. 24.5.2013, n. 12988).

Nel caso di specie si è premesso che la corte territoriale ha puntualizzato che “le dichiarazioni dei testi (…) appaiono confermate dalle risultanze delle foto aeree eseguite nel 1977, 1992 e 1994 dalla SIRI NISTRI per conto del Comune di Roma” (così sentenza d’appello, pag. 4).

In terzo luogo, che la consulenza di parte, ancorchè confermata sotto il vincolo del giuramento, costituisce una semplice allegazione difensiva di carattere tecnico, priva di autonomo valore probatorio, con la conseguenza che il giudice di merito, ove di contrario avviso, non è tenuto ad analizzarne e a confutarne il contenuto, quando ponga a base del proprio convincimento considerazioni con esso incompatibili e conformi al parere del proprio consulente (cfr. Cass. 29.1.2010, n. 2063; cfr. Cass. 11.7.1983, n. 4712, secondo cui il giudice di merito può disattendere senza particolare confutazione la consulenza tecnica di parte, fondando il suo convincimento su considerazioni che ne escludono obiettivamente l’attendibilità).

L’esito infausto del ricorso rende assorbe e rende vana la disamina dell’eccezione preliminare sollevata dai controricorrenti (cfr. controricorso, pagg. 20, 21 e 22).

Il rigetto del ricorso giustifica la condanna della ricorrente s.a.s. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

Si dà atto che il ricorso è stato notificato in data 3.6.2013.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (comma 1 quater introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, a decorrere dall’ 1.1.2013), si dà atto altresì della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R.

n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna al ricorrente, “Villa Silj s.a.s. di Z.A.” (già “Vides Cinematografica s.a.s. di Z.A. e M.C.”), a rimborsare ai controricorrenti, S.M., S.P., S.L. (quali eredi di S.D., deceduto il (OMISSIS), costui, a sua volta, sia in proprio sia quale socio unico di “Edil Dama” s.r.l., cancellata dal registro delle imprese in data 21.8.2009) e M.M.L., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nel complesso in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente s.a.s., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ sez. civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 30 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2017

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