Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4416 del 21/02/2017


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Cassazione civile, sez. II, 21/02/2017, (ud. 29/11/2016, dep.21/02/2017),  n. 4416

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26637-2012 proposto da:

GRUPPO G SPA, (OMISSIS), in persona del suo Presidente pro tempore e

legale rappresentante G.S., elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA COSTANTINO MORIN 45, presso lo studio dell’avvocato

ANTONIA MANFREDI, rappresentato e difeso dall’avvocato STEFANO

VANNI;

– ricorrente –

contro

GHEDAUTO VEICOLI INDUSTRIALI SRL, (OMISSIS), in persona del suo

Presidente pro tempore e legale rappresentante G.S.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSTANTINO MORIN 45, presso

lo studio dell’avvocato ANTONIA MANFREDI, rappresentato e difeso

dall’avvocato STEFANO VANNI;

– ricorrente successivo –

contro

GA.GI., (OMISSIS), M.G.C. (OMISSIS), COMUNE

BOLOGNA (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 1048/2012 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 23/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/11/2016 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;

udito l’Avvocato VANNI Stefano, difensore del ricorrente e ricorrente

successivo che ha chiesto l’accoglimento delle difese depositate;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Ga.Gi. e M.C., proprietari di una striscia di terreno fiancheggiante la (OMISSIS), agivano in negatoria servitutis innanzi al Tribunale locale nei confronti della Ghedauto Veicoli Industriali s.r.l. e della Ghedauto s.p.a., le quali, per accedere alla predetta via pubblica, avevano aperto due passi carrabili che attraversano detta striscia di terreno.

Nel resistere in giudizio le società convenute sostenevano la legittimità del passaggio su tale striscia di terreno, che l’originario proprietario, M.D., si era obbligato a cedere gratuitamente al comune di Bologna con atto pubblico dell’11.2.1971. E sebbene il contratto definitivo non fosse stato mai concluso, il comune si era impossessato del terreno, che aveva adibito a prato piantandovi degli alberi.

Chiamato in causa dalle società convenute, il comune di Bologna negava l’acquisto della proprietà dell’area, ma deduceva l’esistenza di una servitù d’uso pubblico di passo costituita per dicatio ad patriam.

Il Tribunale accertava tale modo di costituzione della servitù d’uso pubblico ritenendo legittimi di conseguenza i due passi carrabili.

Adita dai Ga. – M. la Corte d’appello di Bologna, con sentenza n. 1048 pubblicata il 23.7.2012, resa nei confronti della Società Gruppo G s.p.a., incorporante la Ghedauto s.p.a., ribaltava tale decisione e accertava la destinazione della striscia di terreno in oggetto a verde pubblico, condannando le società appellate a rimuovere le opere eseguite per apprestare i due passi carrabili. A base della decisione la circostanza che detta striscia di terreno era stata sì oggetto di dicatio ad patriam, ma non per la realizzazione di una strada o di un’area laterale ad essa. L’area in questione, osservava la Corte distrettuale, non costituiva nè un itinerario ciclopedonale nè un marciapiede, e dunque non era una parte di strada, bensì una zona di rispetto stradale adibita a verde pubblico, piantumata e sistemata a prato. Per attraversarla, pertanto, le società appellate avrebbero dovuto procurarsi un apposito titolo dai proprietari.

Per la cassazione di detta sentenza la Ghedauto Veicoli Industriali s.r.l. e la Società Gruppo G s.p.a. propongono separati ricorsi di contenuto pressochè identico, affidati l’uno a quattro (quello della Ghedauto Veicoli Industriali s.r.l.) e l’altro a cinque (quello della Società Gruppo G s.p.a.) motivi.

Ga.Gi. e M.C. e il comune di Bologna sono rimasti intimati.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo è dedotta la violazione dell’art. 22 C.d.S. e dell’art. 46 relativo regolamento. Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte distrettuale, secondo cui passo carrabile è (solo) quello che offre accesso diretto da una strada pubblica ad una proprietà laterale, senza alcuna interposizione di area o spazio d’altro tipo, dall’art. 46, comma 4 regolamento si desume che ciò non è la regola, ma l’eccezione, e riguarda il rispetto di prescrizioni particolari (l’arretramento dell’eventuale cancello d’ingresso alla proprietà laterale). Pertanto nulla osta a che un passo carrabile non affacci – come appunto nel caso di specie – direttamente sulla strada pubblica.

2. – Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 41-septies e 41-quinquies Legge Urbanistica e dei D.M. n. 1404 del 1968 e D.M. n. 1444 del 1968, nonchè della L.R. Emilia Romagna n. 47 del 1978, art. 45 e/o della L.R. Emilia Romagna n. 20 del 2000, art. 45, comma 6, dell’art. 2 C.d.S., comma 4, e art. 3 C.d.S., comma 1, n. 22 e dell’art. 21 del Piano regolatore generale del comune di Bologna.

La sentenza impugnata ha ritenuto che la striscia di terreno in oggetto sia stata destinata a verde pubblico, ma le risultanze istruttorie (v. relazione del c.t.u.) dimostrano che l’attuale stato di fatto sia quello di un terreno di fascia di rispetto stradale di via dell’Industria. Fascia di rispetto stradale e verde pubblico sono nozioni tutt’altro che sinonimiche, in quanto la prima (v. art. 3 C.d.S., comma 1, n. 22), è una striscia di terreno di pertinenza della strada su cui gravano vincoli alla realizzazione, da parte dei proprietari del terreno, di costruzioni, recinzioni, piantagioni, depositi e simili. Per contro, il verde pubblico (v. artt. 41-quinquies Legge Urbanistica e D.M. n. 1444 del 1968, art. 3) consiste negli spazi pubblici attrezzati a parco per il gioco e lo sport, effettivamente utilizzabili per tali impianti, con l’esclusione di fasce verdi lungo le strade. Se nè deve dedurre che la dicatio ad patriam ravvisata sia dal Tribunale che dalla Corte d’appello di Bologna con riguardo ai mapp. (OMISSIS), ha avuto quale effetto la costituzione di una servitù di uso pubblico con destinazione non a verde pubblico ma a fascia di rispetto stradale. Destinazione, quest’ultima, compatibile con l’autorizzazione di passi carrabili e di viabilità di servizio, sicchè vi è piena conformità tra lo stato di fatto e quello di diritto dei terreni in questione, quale zona stradale e per trasporti urbani come previsto dal PRG del comune di Bologna.

3. – Il terzo mezzo lamenta l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata con riguardo alla natura e alla destinazione della striscia di terreno in questione, che non presenta nessuno dei requisiti per potersi considerare verde pubblico, per il totale difetto di attrezzature destinate allo svago o allo sport. La presenza di manto erboso, alberi e cespugli non trasforma dette aree in un parco per il gioco e lo sport.

4. – Il quarto motivo deduce l’omesso esame di prove decisive, quali l’esistenza di un cartellone pubblicitario, a conforto della natura stradale del sito in questione. In particolare, si tratta (come aveva accertato il Tribunale) di un grande cartellone pubblicitario impiantato su autorizzazione del comune, che riscuoteva sia la tassa pubblicitaria sia il canone per l’occupazione dell’area, cartello la cui ubicazione è consentita, ai sensi dell’art. 51 reg. att. C.d.S., lungo le strade e le pertinenze stradali.

5. – Il quinto motivo, proposto solo dalla Gruppo G s.p.a., deduce, infine, la nullità della sentenza e/o del procedimento d’appello, siccome instaurato contro la Ghedauto s.p.a., società che all’epoca della notifica della citazione in appello già non esisteva più, essendo stata incorporata nel Gruppo G s.p.a. con atto del 28.12.2004. Legittimata passiva al gravame, quest’ultima sin dall’atto della sua costituzione in tale giudizio aveva eccepito la nullità dell’atto d’appello.

6. – Detto motivo, da esaminare in via prioritaria per la sua autonoma e preliminare vocazione rescindente, è manifestamente infondato.

Ai sensi dell’art. 2504-bis c.c., comma 1, aggiunto dal D.Lgs. n. 6 del 2003, art. 6 a decorrere dal 1 gennaio 2004, la società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione. Ne consegue non solo che fusione e incorporazione non sono più cause interruttive del processo (cfr. Cass. S.U. n. 2637/06), ma altresì che è perfettamente valido l’appello indirizzato alla società incorporata e notificato al procuratore di essa costituito nel giudizio di primo grado.

E poichè, nella specie, sia l’incorporazione sia la citazione in appello sono successive al 1 gennaio 2004, aver rivolto l’impugnazione nei confronti della Ghedauto s.p.a. piuttosto che della Gruppo G s.p.a. non ha prodotto conseguenze processuali di sorta.

Inoltre, anche a ragionare in base alle categorie sostanziali e processuali anteriori alla riforma del diritto societario, la costituzione in giudizio della società incorporante avrebbe sanato ex tunc i pretesi vizi della citazione ai sensi dell’art. 164 c.p.c., comma 2 visto che nella specie si sarebbe trattato d’una difettosa individuazione della parte convenuta (art. 163 c.p.c., comma 3, n. 2).

7. – I restanti motivi – tra loro complementari e, dunque, da esaminare congiuntamente – sono a ben vedere inammissibili per difetto di decisività, chè l’approdo decisorio non potrebbe essere diverso da quello cui è pervenuta la sentenza impugnata.

La dicatio ad patriam delle aree di cui si discute è ammessa anche dalle società ricorrenti, che ne contestano solo la portata e gli effetti desunti dalla sentenza d’appello (v. pag. 17 di entrambi i ricorsi: “la dicatio ad patriam ravvisata sia dal Tribunale, sia dalla Corte d’Appello (…) ha avuto come effetto la costituzione di servitù d’uso pubblico con destinazione non a “verde pubblico” (…), bensì a “fascia di rispetto stradale””).

Del tutto pacifica la giurisprudenza di questa Corte in materia. La dicatio ad patriam, quale modo di costituzione di una servitù di uso pubblico, consiste nel comportamento del proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, metta volontariamente, con carattere di continuità (non di precarietà e tolleranza), un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, al fine di soddisfare un’esigenza comune ai membri di tale collettività uti cives, indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità e dallo spirito che lo anima (così, da ultimo, Cass. n. 4851/16; conformi, nn. 4207/12, 3742/07, 12167/02, 875/01 e 7481/01).

Servitù, quella d’uso pubblico, che per sua stessa natura non ha carattere tecnicamente prediale, essendo a vantaggio d’una collettività di persone, tutelata, a sua volta, da un ente esponenziale. Il quale, però, non essendo proprietario dell’area asservita, non ha il potere d’imporre su di essa delle servitù a vantaggio di fondi di proprietà privata.

Come questa Corte ha avuto modo di affermare più volte, l’assoggettamento di una strada privata a servitù di uso pubblico, in relazione all’interesse della collettività di goderne quale collegamento tra due vie pubbliche, non comporta la facoltà dei proprietari frontisti di aprirvi accessi diretti dai loro fondi, implicando ciò un’utilizzazione di essa più intensa e diversa, non riconducibile al contenuto della stessa (Cass. nn. 21953/13, 7156/04, 3525/93 e 1255/85).

Ora, che l’uso pubblico sia volto a soddisfare immediatamente l’interesse al passaggio o un’utilità connessa (la creazione di una fascia di rispetto stradale, sostengono nella specie le società ricorrenti) o altro ancora (la realizzazione di un’area a verde, come sembra affermare la sentenza impugnata), non ha alcun rilievo ai fini in oggetto. Nel senso che nell’un caso come negli altri il principio anzi detto opera alla medesima maniera, basandosi a sua volta su di un altrettanto consolidato principio: quello per cui l’utilizzazione di una strada privata per il transito di veicoli da parte di una pluralità indeterminata di persone se, da un lato, vale ad evidenziare l’assoggettamento del bene ad uso pubblico di passaggio, non può dall’altro, legittimare il proprietario del fondo confinante all’apertura di un accesso alla strada stessa, nemmeno in forza di concessione amministrativa, trattandosi di facoltà che esorbita dai limiti del predetto uso pubblico del bene privato e che, correlativamente non può essere oggetto di concessione, essendo a tal fine necessario un più ampio titolo d’acquisto del bene rispetto al contenuto minimo qualificante del diritto d’uso pubblico (Cass. n. 5862/91; conformi, Cass. nn. 30/85, 4938/80 e 3971/74).

Il provvedimento permissivo del comune che autorizzi l’apertura di un passo carrabile tra il fondo privato e l’area soggetta a servitù d’uso pubblico, nel regolare un uso speciale di tale bene ne suppone erroneamente una demanialità che esso non possiede. E difatti, l’amministrazione titolare di una servitù pubblica su strada vicinale può esercitare tutti i poteri intesi a garantire e ad assicurare l’uso della strada da parte dei cittadini, ma soltanto nei limiti dettati dal pubblico interesse, mentre non può esercitare quei poteri che, invece, le spettano su suolo di natura demaniale (v. Cass. S.U. nn. 469/64 e 6633/98, che hanno escluso l’uso eccezionale della strada, soggetta a servitù di uso pubblico, a favore di privati per la costruzione sull’area pubblica di opere stabili in legno o in muratura; in senso analogo, seppure ad altri fini, cfr. Cass. S.U. n. 158/99 e Cass. n. 27567/05).

Non muta i termini della questione, infine, la circostanza che l’art. 51 reg. art. C.d.S. consenta installazioni pubblicitarie lungo le strade e le pertinenze stradali, e che, nello specifico, ciò sia avvenuto (come sostengono le parti ricorrenti). Illegittima l’autorizzazione di passi carrabili su di un’area privata soggetta a servitù d’uso pubblico, è illegittima allo stesso modo l’autorizzazione a installarvi cartelli pubblicitari, perchè non proveniente dall’ente proprietario (come invece prescrive l’art. 23 C.d.S., comma 4).

8. – In conclusione il ricorso va respinto.

9. – Nulla per le spese, non avendo le parti intimate svolto attività difensiva in questa sede.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione seconda civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 29 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2017

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