Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4415 del 21/02/2017


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Cassazione civile, sez. II, 21/02/2017, (ud. 23/11/2016, dep.21/02/2017),  n. 4415

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7486-2013 proposto da:

P.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI TRE OROLOGI 14, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO

GULLUNI, rappresentato e difeso da se medesimo;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO IMMOBILIARE ITALIANO SAS, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA QUINTINO SELLA 41, presso lo studio dell’avvocato CAMILLA

BOVELACCI, rappresentata e difesa dall’avvocato ANNA IPPOLITA

SCHIAVI giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1070/2012 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 25/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/11/2016 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito l’Avvocato Giuseppe Zito per delega dell’Avvocato P. per

il ricorrente;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione regolarmente notificato la società Istituto Immobiliare Italiano s.a.s. conveniva in giudizio P.G. al fine di sentirlo condannare al pagamento della somma di Lire 6.210.000 oltre interessi come per legge sino al saldo.

Parte attrice assumeva di aver svolto attività di mediazione avente ad oggetto la compravendita di un immobile sito in (OMISSIS), mettendo in contatto la società proprietaria del bene ed il convenuto P., interessato all’acquisto; che l’affare era stato concluso con la stipulazione tra di essi di un contratto preliminare di vendita in data (OMISSIS); che il promissario acquirente aveva provveduto alla corresponsione della somma di Lire 6.210.000 corrispondente alla metà della provvigione dovuta per la mediazione, complessivamente concordata tra l’attrice ed il convenuto nella misura del 3% del corrispettivo per la futura compravendita; che la residua metà della provvigione avrebbe dovuto essere versata al momento della stipula del contratto definitivo di compravendita; che la prominente venditrice e il promissario acquirente decidevano di risolvere consensualmente il contratto preliminare, essendo emerso che l’immobile non era provvisto di certificato di abitabilità.

Il convenuto P.G. si costituiva in giudizio e chiedeva il rigetto delle domande attoree; formulava a sua volta domanda riconvenzionale di condanna della parte attrice alla restituzione dell’anticipo versato nonchè al risarcimento dei danni. A tal fine assumeva che la provvigione suddetta non fosse assolutamente dovuta in quanto non era stato poi stipulato un contratto definitivo, e comunque il mediatore si era reso inadempiente rispetto all’obbligo di corretta informazione cui all’art. 1759 c.c.

Il Tribunale di Bologna con sentenza n. 2241/2005 accoglieva la domanda attorea, condannando il convenuto al pagamento della residua somma dovuta a titolo di compenso provvigionale, compensando le spese processuali.

Avverso la suddetta decisione proponeva appello P.G. chiedendo l’integrale riforma della sentenza impugnata.

Si costituiva l’Istituto Immobiliare Italiano s.a.s., chiedendo la conferma della sentenza di primo grado, svolgendo appello incidentale con riguardo alla compensazione delle spese di lite.

La Corte di Appello di Bologna con la sentenza n. 1070/2012 (dep. il 25.07.2012) rigettava sia l’appello principale sia quello incidentale, con condanna dell’appellante alla rifusione delle spese di lite per il secondo grado.

A sostegno della propria decisione la corte territoriale utilizzava in sintesi due argomentazioni:

1. che il diritto del mediatore alla provvigione derivava dal fatto che l’opera prestata aveva portato alla conclusione dell’affare tra le parti, ritenendo sufficiente a tali fini la stipulazione del contratto preliminare, indipendentemente dal fatto che successivamente le parti avevano o meno stipulato un contratto definitivo.

2. che la configurabilità di una responsabilità in capo al mediatore per la violazione dell’obbligo di corretta informazione secondo il criterio della diligenza professionale ex art. 1759 c.c., si identifica in presenza delle sole ipotesi di contitolarità del bene in capo a più soggetti, in caso di esistenza di opzioni e prelazioni sul bene, nonchè per la sussistenza di trascrizioni pregiudizievoli a carico del bene, ma non anche in caso di mancanza di conformità edilizia del bene, sicchè il diritto del mediatore alla provvigione va riconosciuto anche in caso di contratto preliminare di vendita avente ad oggetto un bene immobile privo di concessione edificatoria e non regolarizzabile sul piano urbanistico. Affermava perciò che l’ignoranza della mancanza di abitabilità da parte del promissario acquirente, non rientrando essa tra le informazioni dovute dal mediatore ai sensi dell’art. 1759 c.c., non poteva addebitarsi al mediatore e dunque non poteva assurgere a fonte di responsabilità del medesimo.

Avverso la suddetta decisione proponeva ricorso per cassazione P.G. formulando due distinti motivi.

Resisteva in giudizio l’Istituto Immobiliare Italiano s.a.s. con apposito controricorso illustrato anche da memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente eccepisce il vizio di motivazione circa l’esatta e corretta ricorrenza dei requisiti e presupposti per il riconoscimento del diritto alla mediazione in capo alla società appellata ex art. 1755 c.c.

In particolare afferma che al fine della maturazione del diritto alla provvigione, occorre che l’opera di mediazione porti alla creazione di validi presupposti per la conclusione di un valido contratto, che corrisponda agli interessi delle parti. Tale diritto rimane valido ed intangibile a prescindere dal fatto che successivamente le parti stesse provvedano o meno alla consacrazione definitiva dei loro accordi. Al contrario invece, ove la mancata stipula di un valido contratto definitivo tra le parti dipenda dalle errate e negligenti informazioni prospettate dal mediatore, questi non può vantare alcun diritto alla provvigione proprio perchè incorre nella responsabilità prevista dall’art. 1759 c.c., ed in alcuni casi incorre anche nell’obbligo del risarcimento dei danni provocati.

Con il secondo motivo lamenta la violazione ed errata applicazione degli artt. 1759, 1175 e 1176 c.c., della L. n. 39 del 1989, in particolare evidenziando che la mancanza del certificato di abitabilità e di conformità edilizia è una circostanza fondamentale di indubbio rilievo per procedere alla stipula di un contratto che preveda l’acquisto di un immobile. Ragione per cui incombeva in capo al mediatore l’obbligo di corretta informazione sul punto, secondo il criterio della diligenza professionale previsto dalle norme citate.

Entrambi i motivi di ricorso si riferiscono al diritto del mediatore alla provvigione in relazione al contenuto dell’obbligo di diligenza che incombe su di lui, in particolare con riferimento al dovere di informare la parte (nella specie il promissario acquirente) di circostanze rilevanti ai fini della conclusione con contratto definitivo e possono essere congiuntamente esaminati.

Sul punto ritiene il Collegio di dover dare continuità all’orientamento che nel delineare la responsabilità del mediatore professionale, esclude che la responsabilità dello stesso possa estendersi ad indagini di carattere tecnico, quale quella nella specie consistente nella verifica delle condizioni per il rilascio del certificato di abitabilità che esulano obiettivamente dal novero delle cognizioni specialistiche esigibili in relazione alla categoria professionale di appartenenza.

In tal senso appare condivisibile quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 6926/2012, a mente della quale il mediatore immobiliare è responsabile nei confronti del cliente se, conoscendo o potendo conoscere con l’ordinaria diligenza l’esistenza di vizi che diminuiscono il valore della cosa venduta, non ne informi l’acquirente; tale responsabilità si affianca a quella del venditore e può essere fatta valere dall’acquirente sia chiedendo al mediatore il risarcimento del danno, sia rifiutando il pagamento della provvigione. Nella stessa sentenza si precisa altresì che, in relazione ai possibili benefici fiscali legati alla categoria catastale posseduta dal’immobile compravenduto, la verifica da parte del mediatore deve correlarsi solo ad una espressa richiesta del cliente.

Trattasi peraltro di orientamento che ha i suoi precedenti in Cass. n. 6219/1993, a mente della quale l’obbligo del mediatore di comunicare alle parti le circostanze a lui note relative alla valutazione ed alla sicurezza dell’affare si riferisce non solo alle circostanze accertate ma anche a quelle di cui il mediatore abbia avuto semplicemente notizia, e ciò con specifico riferimento alla verifica dell’esistenza del certificato di abitabilità dell’appartamento compravenduto (conf. in punto di limitazione degli obblighi di informativa alle circostanze di cui il mediatore sia a conoscenza, Cass. n. 5777/2006, nonchè Cass. n. 15274/2006, in tema di accertamento, previo esame dei registri immobiliari, della libertà dell’immobile oggetto della trattativa da trascrizioni ed iscrizioni pregiudizievoli, nonchè Cass. n. 16382/2009 citata dalla sentenza gravata).

In tale ottica appare convincente quanto affermato da Cass. n. 8374/2009 specificamente in tema di certificato di abitabilità, nella quale, con l’escludere la responsabilità del mediatore, si è ribadito che la prestazione caratterizzante l’attività di quest’ultimo è pur sempre quella di mettere in relazione due o più parti in vista della conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, dipendenza o rappresentanza, sicchè non viene meno l’obbligo del mediatore di compiere l’attività demandatagli in modo esauriente e funzionale all’interesse della parte alla conclusione dell’affare, e quindi con diligenza adeguata alla sua professionalità, ragionevolmente esigibile, in rapporto alla sua organizzazione concreta, in modo che la controparte non sia legittimata a rifiutarsi di concluderlo per non essere stata informata su circostanze (nella specie, riguardanti il rilascio del certificato di abitabilità) influenti sulla sua conclusione o esecuzione, conosciute o agevolmente conoscibili, poichè in tal caso può essere giustificato il rifiuto di corrispondere il compenso, anche se la parte che ha conferito l’incarico abbia ricevuto un’accettazione delle sue condizioni prestabilite di conclusione dell’affare”.

In dettaglio poi vale osservare che la mancanza del certificato di abitabilità, sebbene legittimi la parte promissaria acquirente a non ritenere suo interesse obbligarsi alla stipula dell’atto, quanto meno alle condizioni predisposte (Cass. 15969/2000), anche in relazione al rischio che l’abitabilità non sia ottenuta o al tempo occorrente per il suo rilascio, non incide sulla validità del preliminare concluso che conserva quindi la sua efficacia, benchè se ne possa richiedere la risoluzione.

In tal senso quindi deve reputarsi, analogamente a quanto sostenuto per la conclusione di preliminari aventi ad oggetto immobili privi di concessione edilizia, che stante la validità del contratto stesso, che l’affare sia stato concluso e che anzi sia proprio la sua vincolatività a giustificare l’eventuale domanda risarcitoria della parte adempiente, domanda che ben può includere anche la pretesa ad ottenere il rimborso della provvigione comunque dovuta al mediatore.

In definitiva, reputa il Collegio che una responsabilità del mediatore possa porsi, in ordine alla mancata informazione circa la conseguibilità del certificato di abitabilità, nei soli casi in cui il mediatore abbia taciuto informazioni e circostanze delle quali era a conoscenza, ovvero abbia riferito circostanze in contrasto con quanto a sua conoscenza, ovvero ancora laddove, sebbene espressamente incaricato di procedere ad una verifica in tal senso da uno dei committenti, abbia omesso di procedere ovvero abbia erroneamente adempiuto allo specifico incarico (cfr. a tal fine Cass. n. 16623/2010, a mente della quale la responsabilità del mediatore si ravvisa per la mancata informazione del promissario acquirente sull’esistenza di una irregolarità urbanistica non ancora sanata relativa all’immobile oggetto della promessa di vendita, nelle ipotesi in cui il mediatore stesso doveva e poteva essere edotto, in quanto agevolmente desumibile dal riscontro tra la descrizione dell’immobile contenuta nell’atto di provenienza e lo stato effettivo dei luoghi).

Tale affermazione peraltro non può dirsi che contrasti con quanto sempre di recente affermato da Cass. n. 18140/2015, che ha invece ravvisato la responsabilità del mediatore, posto che nella vicenda si trattava di una ipotesi nella quale il mediatore aveva fornito alla parte interessata alla conclusione dell’affare delle informazioni sulla regolarità urbanistica dell’immobile, omettendo di controllare la veridicità di quelle ricevute (nella specie, la natura abusiva della veranda, adibita a cucina e in posizione centrale rispetto agli altri locali, e, quindi, neppure condonabile), essendosi appunto ribadito in motivazione che non risulta assolto l’obbligo di corretta informazione in base al criterio della media diligenza professionale, che comprende non solo l’obbligo di comunicare le circostanze note (o conoscibili secondo la comune diligenza) al professionista, ma anche il divieto di fornire quelle sulle quali non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, sicchè è responsabile per i danni sofferti dal cliente.

Poichè nella fattispecie non si imputa alla società di avere fornito informazioni inveritiere o di non avere assolto ad uno specifico incarico di verifica (non potendosi reputare che tale obbligo scaturisca dal solo conferimento dell’incarico di mediazione e ciò anche nel caso in cui si verta in un’ipotesi di mediazione unilaterale ovvero atipica con mandato questione di diritto questa che si palesa comunque come inammissibile in quanto mai dedotta nei precedenti gradi di merito), i motivi di ricorso si palesano come infondati e devono pertanto essere rigettati.

Al rigetto consegue altresì la condanna al pagamento delle spese del presente giudizio, come da dispositivo che segue.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese di legittimità che liquida in complessivi Euro 2.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

La presente sentenza è stata redatta con la collaborazione dell’Assistente di Studio, Dott. M.G..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Seconda Civile, il 23 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2017

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