Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4415 del 20/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 20/02/2020, (ud. 04/12/2019, dep. 20/02/2020), n.4415

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLA Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 10710/2015 R.G. proposto da:

Eni s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avv. Nicola Caso, dell’Avv. Giuseppe

Marini e dell’Avv. Gianmarco Tardella, elettivamente domiciliata

presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Via Giovanni Nicotera n.

29, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12 è domiciliata;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio,

n. 6232/2014 depositata il 20 ottobre 2014.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 4 dicembre 2019

dal Consigliere Luigi D’Orazio;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. Stanislao De Matteis, che ha depositato requisitoria

in forma di memoria, senza rilievi delle parti, concludendo per il

rigetto del ricorso

udito l’Avv. Gianmarco Tardella, per la società ricorrente e l’Avv.

Barbara Tidore per l’Avvocatura Generale dello Stato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.La Eni s.p.a., consolidante di un gruppo di 21 società, che aveva finanziato e gestito la costruzione del tratto tunisino del gasdotto Algeria-Italia, controllante la Trans Tunisian Pipeline Company s.p.a. (in prosieguo TTPC), quale consolidata, con sede amministrativa in Italia e sede legale nelle Isole del Canale, con domicilio fiscale in Italia dal 2002, titolare dei diritti di trasporto sul gasdotto, con stabile organizzazione in Tunisia ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 162 e art. 5 della Convenzione tra Italia e Tunisia (la sede fissa era costituita dal gasdotto), presentava ricorso avverso il provvedimento tacito di rifiuto formatosi sulla istanza di rimborso per complessivi Euro 22.357.831,00 in relazione alle imposte pagate per l’anno 2004.

In particolare, la consolidante evidenziava che, ai sensi dell’art. 8 dell’accordo stipulato tra la Tunisia e la TTPC, per i redditi prodotti in Tunisia, la società consolidata TTPC era stata assoggettata ad una imposizione onnicomprensiva, sostitutiva di imposte dirette, indirette, presenti e future, e dei diritti doganali. Inizialmente la società aveva corrisposto il forfait fiscale in Tunisia, ove operava tramite stabile organizzazione, senza nulla – dovere allo Stato italiano. Successivamente, dal 2002 Eni s.p.a. aveva trasferito in Italia il domicilio fiscale della TTPC, che era, quindi, divenuta soggetto passivo di imposta anche in Italia. Per l’anno 2004 la società aveva indicato un reddito netto imponibile di Euro 114.705.519,00, come indicato nel modello del consolidato nazionale, con una Ires di Euro 26.840.755 per il 2005, versata dalla consolidante, ai sensi degli artt. 118 e 122 Tuir.

A seguito di istanza di interpello ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 11, l’Agenzia delle entrate con la Risoluzione 83/E del 2008 ha ritenuto che, ai sensi dell’art. 165 Tuir, la consolidata poteva operare una detrazione delle imposte pagate a titolo definitivo all’estero, e segnatamente della quota parte del forfait fiscale inerente le imposte dirette, dall’imposta dovuta in Italia, sussistendo la similarità parziale dell’imposta estera e la sua definitività.

Pertanto, la quota parte di imposte pagate in Tunisia (Euro 33.369.897,00), considerata deducibile in precedenza (quale imposta forfettaria), diveniva imposta “non deducibile” ai sensi dell’art. 99, comma 1 Tuir (stante la parziale assimilazione alla imposta sul reddito delle società), ma “detraibile” ove pagata in via definitiva. Si determinava, allora, un maggior reddito imponibile (non potendosi più dedurre l’imposta relativa al reddito estero), con una maggiore imposta lorda, da cui però detrarre (quale credito di imposta) la quota di imposta relativa al reddito estero, con una conseguente minore imposta netta. Era evidente il vantaggio fiscale per la consolidata, in quanto la medesima “grandezza” (ossia la quota parte del reddito prodotto all’estero) non veniva più sottratta dall’imponibile, sia pure dopo averlo rideterminato in aumento, ma detratta dall’imposta lorda dovuta. Pertanto, la consolidata avrebbe dovuto comunicare un maggiore reddito imponibile al rigo (OMISSIS) della propria dichiarazione, con un maggiore reddito complessivo del gruppo, da indicare ai quadri NF e CN del CNM, presentato dalla controllante, ma con un maggiore credito di imposta al quadro RN. L’ires dovuta era, allora, di Euro 4.482.924 (ossia il 33% di Euro 114.705.519 – reddito imponibile – meno Euro 33.369.897,00 imposte pagate all’estero).

2. La Commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate avverso la – sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma, che aveva accolto la domanda di rimborso della contribuente, rilevando che il certificato prodotto in giudizio dalla società consolidante non era una attestazione di avvenuto pagamento delle imposte in Tunisia, ma solo la attestazione di ricezione della domanda presentata dalla società TTPC, tendente a conseguire tale certificazione, ossia una sorta di “protocollo” della istanza presentata.

3. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società, che ha depositato memoria scritta.

4. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di impugnazione la società deduce “violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 1, in tema di litisconsorzio necessario – conseguente nullità assoluta della sentenza e/o del procedimento per violazione del principio del contraddittorio di cui all’art. 101 c.p.c. ed all’art. 111 Cost., comma 1, – Error in procedendo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62)”, in quanto la legittimazione attiva per il conseguimento del rimborso spetta sia alla consolidata che alla consolidante e sussiste il litisconsorzio necessario tra consolidata e consolidante ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40 bis, non solo nell’ipotesi di emissione dell’atto unico nei confronti di entrambe le società, ma anche in caso di presentazione di domanda di rimborso da una soltanto di esse.

Nonostante il consolidato fiscale, infatti, di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 117 e ss., la consolidata resta soggetto passivo del rapporto giuridico di imposta, dovendo comunque presentare la relativa dichiarazione dei redditi, da comunicare sia al Fisco che alla consolidante. Vi è, dunque, la frammentazione della soggettività d’imposta, distinta tra le consolidate che provvedono alle singole dichiarazioni dei redditi e sono soggetti passivi di accertamento, pur non potendo procedere alla liquidazione ed al versamento dell’imposta, e la consolidante, che provvede alla determinazione del risultato fiscale, facendo la somma algebrica dei singoli redditi netti, con la liquidazione ed il versamento dell’imposta di gruppo. La consolidante è solo “responsabile di imposta” per il gruppo, ma resta la soggettività passiva fiscale anche delle consolidate. Soltanto le consolidate sono in grado di spiegare all’amministrazione finanziaria quali componenti del reddito hanno erroneamente concorso alla formazione della base imponibile da cui origina l’indebita liquidazione e l’indebito versamento di somme con il conseguente credito ires a rimborso. La Commissione provinciale e quella regionale avrebbero dovuto, sussistendo una ipotesi di litisconsorzio necessario, ordinare l’integrazione del contraddittorio nei confronti della consolidata TTPC, quale litisconsorte necessaria.

1.1. Tale motivo è infondato.

1.2. Invero, la fattispecie in esame origina dalla richiesta di rimborso presentata dalla società consolidante Eni s.p.a. (che ha aderito al consolidato dal periodo di imposta 2004, unitamente ad altre 21 società), controllante la Trans Tunisian Pipeline Company s.p.a. (TTPC), consolidata, con riferimento all’anno 2005. In particolare, la TTPC, con sede legale nelle Isole del Canale e sede amministrativa in Italia, era controllata dalla Eni s.p.a., consolidante, la quale aveva finanziato e gestito la costruzione del tratto tunisino del gasdotto Algeria-Italia. La prestazione del servizio di trasporto in territorio tunisino tramite una sede fissa (il gasdotto) costituiva un’ipotesi di stabile organizzazione della TTPC in Tunisia, sia ai sensi dell’art. 162 del Tuir sia dell’art. 5 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Tunisia, ratificata con L. 25 maggio 1981, n. 388.

La TTPC sosteneva di aver versato una imposizione onnicomprensiva in Tunisia per i redditi ivi prodotti (“Prelevement fiscal global forfaitaire”), sostitutiva delle imposte dirette, indirette, presenti e future, e dei diritti doganali. Inizialmente la società, che aveva sede in uno stato a fiscalità privilegiata, si era limitata a corrispondere il forfait fiscale in Tunisia, ove operava tramite stabile organizzazione, senza nulla versare all’Italia.

Con la previsione della tassazione per “trasparenza” delle società residenti in Paesi a fiscalità privilegiata in capo alle società che le controllano, la Eni s.p.a. (controllante), aveva trasferito in Italia il domicilio fiscale della TTPC, divenendo questa soggetto passivo di imposta anche in Italia.

Pertanto, la TTPC aveva indicato nella dichiarazione del 2004 un reddito netto imponibile pari ad Euro 114.958.394. Analogamente la stessa somma era stata indicata dalla consolidante Eni spa nel quadro NF del modello CNM (consolidato nazionale e mondiale).

A tali redditi corrispondeva un’Ires di Euro 26.840.7555 nel 2004, versata dalla consolidante, ai sensi degli artt. 118 e 122 Tuir.

L’Agenzia delle entrate, con Risoluzione 83/E del 2008, in risposta ad un interpello formulato dalla TTPC, affermava che l’imposta globale eventualmente pagata dalla società in Tunisia aveva il presupposto della “similarità parziale” rispetto a quella pagata in Italia, in relazione alla parte del Prelevement fiscal global forfaitaire riferibile all’Impot sur les societes, come pure quello della “definitività”.

Pertanto, mentre in precedenza la quota parte di imposte dirette pagate in Tunisia nel contesto dell’imposta globale era deducibile dal reddito pagato in Italia ai sensi dell’art. 99 Tuir, a seguito della risoluzione dell’Agenzia delle entrate, con la parificazione seppure parziale dell’imposta sulle società tunisina all’imposta italiana sui redditi, tale quota parte era indeducibile ai sensi dell’art. 99 Tuir, ma era “detraibile” se pagata a titolo definitivo ai sensi dell’art. 165 Tuir.

Infatti, ai sensi dell’art. 99 Tuir “le imposte sui redditi e quelle per le quali è prevista la rivalsa, anche facoltativa, non sono ammesse in deduzione. Le altre imposte sono deducibili nell’esercizio in cui avviene il pagamento”.

L’art. 165 Tuir (credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero), poi, prevede che “se alla formazione del -reddito complessivo concorrono redditi prodotti all’estero, le imposte ivi pagate a titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione dall’imposta netta dovuta fino alla concorrenza della quota d’imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero ed il reddito complessivo al netto delle perdite di precedenti periodi d’imposta ammesse in deduzione”. Inoltre, al comma 8 si prevede che “la detrazione non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero nella dichiarazione presentata”.

In tal modo, nell’anno 2004, quindi, secondo l’assunto della società, la quota parte dell’imposta globale individuata nel reddito estero non era più deducibile, stante l’assimilazione con l’imposta sul reddito italiana, con la determinazione di una maggiore imposta lorda, da cui, però detrarre (quale credito di imposta) la quota parte relativa al reddito all’estero, con una minore imposta netta. Pertanto, occorreva ricostruire il reddito imponibile, quale sarebbe risultato senza la deduzione delle imposte pagate in Tunisia, calcolando l’Ires lorda virtuale, così dovuta, per poi detrarre da tale imposta lorda il credito di imposta corrispondente a quanto pagato in Tunisia per imposte “similari” all’Ires.

Vi era così un vantaggio per la consolidata, in quanto la stessa “grandezza” non veniva dedotta più dall’imponibile, ma, sia pure dopo aver determinato in aumento tale imponibile, detratta dall’imposta lorda dovuta.

Pertanto, l’Eni s.p.a. chiedeva per il 2004 la restituzione della somma complessiva di Euro 22.357.831,00, dovendo pagare solo la somma di Euro 4.482.924.

Infatti, poichè il reddito netto imponibile era di Euro 114.958.394,00, mentre le imposte pagate all’estero ammontavano ad Euro 33.369.897,00, l’Ires effettivamente dovuta era di Euro 4.482.924,00, pari al 33% di Euro 114.958.394, ossia Euro 37.852.821,27, da cui doveva essere “detratto” il credito di imposta relative alle imposte pagate all’estero (Euro 33.369.897,00). Avendo la società pagato la somma di Euro 26.840.755 a titolo di Ires, il rimborso richiesto era di Euro 22.357.831,00 (Euro 26.840.755 – 4.482.924,00).

Va anche evidenziato che nè la consolidata nè la consolidante avevano presentato dichiarazione integrativa per rettificare le dichiarazioni dei redditi del 2004.

1.3.Quanto alla normativa applicabile si rileva che nel bilancio consolidato il gruppo non ha soggettività giuridica, ma le società che lo compongono conservano la loro soggettività, sia ai fini della determinazione del reddito che della responsabilità.

La società consolidata, che esercita l’opzione per la tassazione di gruppo, con elezione di domicilio presso la controllante (art. 119 Tuir), è tenuta a presentare la propria dichiarazione dei redditi, mentre la consolidante provvede, oltre che a presentare la dichiarazione dei redditi del consolidato, anche alla liquidazione della imposta del “gruppo”.

L’art. 118 Tuir dispone, infatti, che “L’esercizio dell’opzione per la tassazione di gruppo di cui all’art. 117 comporta la determinazione di un reddito complessivo globale corrispondente alla somma algebrica dei redditi complessivi netti da considerare, quanto alle società controllate, per l’intero importo indipendentemente dalla quota di partecipazione riferibile al soggetto controllante”.

Si precisa nell’art. 118 Tuir che “al soggetto controllante compete il riporto a nuovo della eventuale perdita risultante dalla somma algebrica degli imponibili, la liquidazione dell’unica imposta dovuta o dell’unica eccedenza rimborsabile o riportabile a nuovo”.

Quanto agli obblighi della società controllata l’art. 121 Tuir prevede che questa “deve compilare il modello della dichiarazione dei redditi al fine di comunicare alla società o ente controllante la determinazione del proprio reddito complessivo, delle ritenute subite, delle detrazioni e dei crediti di imposta spettanti”.

La dichiarazione dei redditi della consolidata va comunicata sia alla Agenzia delle entrate che alla consolidante.

Infatti, il D.M. 9 giugno 2004, art. 7, del Ministero dell’economia e delle finanze prevede che “per effetto dell’opzione: a) ciascun soggetto deve presentare all’Agenzia delle entrate la propria dichiarazione dei redditi…senza liquidazione dell’imposta”, mentre l’art. 8 dello stesso decreto dispone che “per effetto dell’opzione, ciascuna consolidata, oltre a quanto indicato nell’art. 121 del testo unico, deve trasmettere al consolidante: a) la copia della dichiarazione dei redditi di cui al presente decreto, art. 7 “.

Le società aderenti al consolidato, dunque, mantengono l’obbligo di determinare autonomamente il proprio imponibile secondo le regole ordinarie. Pertanto, ciascuna consolidata, come pure la consolidante, deve quantificare il proprio reddito (o la propria perdita) e presentare la propria dichiarazione nei termini e secondo le modalità ordinarie. Tuttavia, per consentire il consolidamento degli imponibili, e, di conseguenza, la liquidazione dell’unica imposta dovuta dal gruppo, la dichiarazione della consolidata non prevede la determinazione dell’imposta, che invece avverrà esclusivamente nella dichiarazione della consolidante, cui competono gli obblighi di determinazione dell’imponibile consolidato e di liquidazione dell’imposta di gruppo.

Nelle singole dichiarazioni delle consolidate, ma anche della consolidante, devono indicarsi oltre al proprio reddito complessivo, anche le ritenute subite, le detrazioni di imposta operate, i crediti di imposta spettanti, gli acconti eventualmente versati in via autonoma, le eccedenze Ires e le eccedenze di imposta diverse dall’ires, trasferite al consolidato per il loro utilizzo in compensazione “orizzontale”.

La dichiarazione delle consolidate non prevede la liquidazione del tributo, ma solo la quantificazione dell’imponibile.

Peraltro, le uniche perdite utilizzabili nel consolidato sono quelle maturate dalle società partecipanti in costanza di regime, mentre quelle anteriori all’esercizio dell’opzione sono sottratte al regime di circolazione delle perdite proprie del consolidamento; pertanto, le consolidate devono, dapprima, compensare le perdite anteriori all’ingresso nel consolidato con il proprio reddito, per poi trasferire il “saldo”, se positivo, alla consolidante. Se le perdite sono superiori agli imponibili positivi, sarà trasferito alla consolidante un “reddito nullo”, mentre l’eccedenza di perdite verrà riportata nell’esercizio successivo per il recupero.

Con riferimento agli obblighi della controllante si prevede all’art. 122 Tuir che “la società o ente controllante presenta la dichiarazione dei redditi del consolidato, calcolando il reddito complessivo globale risultante dalla somma algebrica dei redditi complessivi netti dichiarati da ciascuna delle società partecipanti al regime del consolidato e procedendo alla liquidazione dell’imposta di gruppo”.

Nella determinazione dell’imponibile complessivo, dunque, la capogruppo deve sommare i redditi e ridurre le perdite riferibili alle società controllate diverse da quelle prodotte in periodi precedenti al consolidamento (art. 118, comma 2), e provvedere, poi, a rettificare il risultato così determinato tenuto conto degli interessi passivi indeducibili in capo alle società controllate. In particolare, l’art. 96, comma 7 dispone che detti interessi, se indeducibili per le società aderenti al consolidato, possono però essere utilizzati per ridurre il reddito di gruppo quando altre società partecipanti al consolidato stesso hanno conseguito un risultato operativo lordo non utilizzato in proprio, in tutto o in parte ai fini della deduzione.

La dichiarazione del reddito consolidato è, allora, non l’espressione reddituale di un presupposto unitario autonomo, realizzato dal gruppo, ma rappresenta la sintesi dei redditi prodotti dai singoli soggetti appartenenti al gruppo. Non è, quindi, espressione della capacità contributiva del gruppo, ma è la sintesi di capacità contributive individuali.

Ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40 bis (rettifica delle dichiarazioni dei soggetti aderenti al consolidato nazionale), poi, “le rettifiche del reddito complessivo proprio di ciascun soggetto che partecipa al consolidato sono effettuate con unico atto, notificato sia alla consolidata che alla consolidante, con il quale è determinata la conseguente maggiore imposta accertata riferita al reddito complessivo globale e sono irrogate le sanzioni correlate. La società consolidata e la consolidante sono litisconsorti necessari” (conf. Cass., n. 28356 del 2019).

In precedenza, invece, era necessaria una verifica di doppio livello, con l’adozione di atti da parte di due uffici diversi per competenza. Il primo livello di accertamento aveva ad oggetto la rettifica della dichiarazione della società consolidata, emesso dall’Ufficio della Agenzia delle entrate nella cui circoscrizione aveva il domicilio fiscale la consolidata. Il secondo livello aveva ad oggetto la rettifica della dichiarazione del consolidato (modello CNM) emesso dall’Ufficio dell’Agenzia delle entrate competente per la consolidante. Il tutto con un preciso nesso di consequenzialità, in quanto l’accertamento di primo livello era necessario, ma non sufficiente per l’emissione dell’atto impositivo nei confronti delle società coinvolte, se non accompagnato dall’accertamento di secondo livello. Il primo livello aveva ad oggetto la dichiarazione dei redditi della consolidata, ma non comportava nè la liquidazione della maggiore imposta, nè l’irrogazione delle sanzioni, ma solo la determinazione della maggiore imposta “teorica”, calcolata sul reddito imponibile accertato in capo alla controllata, rappresentante la misura massima di responsabilità della “singola” consolidata a seguito della rettifica operata sul proprio reddito, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 127, comma 2, lett. a. Solo con l’accertamento di secondo livello si determinava la pretesa impositiva nei confronti del gruppo consolidato, con versamento da parte della consolidante e la previsione di un regime di responsabilità solidale tra la consolidante e la singola consolidata, oggetto di rettifica. Ogni “singola” consolidata rispondeva solo della quota di parte di imposta “teorica” ad essa attribuibile per il maggior reddito accertato con il primo livello di controlli nei suoi confronti. In dottrina si è sostenuta la responsabilità ” a coppia” o “pro quota”, tra la consolidante e la singola consolidata, con una maggiore imposta ripartibile “in tanti segmenti quante erano le società consolidate”.

Con il vecchio regime, quindi, anteriore all’1-1-2011 e vigente in relazione alla vicenda in esame, si valorizzava l’autonomia difensiva delle società coinvolte rispetto alla partecipazione unitaria al processo (in tal senso anche Circolare Agenzia delle entrate n. 60/E del 2007), in quanto la soggettività fiscale restava incardinata in capo alle singole società facenti parte della fiscal unit; ciò non escludeva che, comunque, il fisco potesse notificare l’accertamento di primo livello, non solo alla consolidata, ma anche alla consolidante e vi fosse successiva impugnazione di tale atto da parte di entrambe. Il ricorso proposto anche da una soltanto delle società interessate non comportava un giudizio necessariamente collettivo, come, invece, previsto in caso di coobbligazione solidale paritetica (Cass., sez.un., 18 gennaio 2007, n. 1052 in una ipotesi di imposta di registro applicata agli acquirenti all’asta fallimentare di un unico immobile in sede di divisone dello stesso) o di società di persone, in base al principio di trasparenza di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5 (Cass., sez.un., 4 giugno 2008, n. 14815).

Con l’introduzione dell’avviso di accertamento “unico” le fasi restano due, ma sfociano in un unico atto e non in due distinti avvisi di accertamento, con una netta semplificazione del “sistema” di accertamento, con un avviso unico emesso dall’Ufficio della Agenzia delle entrate competente nei confronti della consolidata. Solo nel caso di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40 bis, comma 4, ove la rettifica riguardi esclusivamente errori commessi nella dichiarazione di consolidamento, non conseguenti a controlli eseguiti sulle dichiarazioni delle consolidate, l’Ufficio competente alla emissione dell’avviso di accertamento “unico” è quello del domicilio fiscale della consolidante.

La disciplina dell’accertamento, con l’emissione dell’atto unico, è, quindi, strettamente collegata al regime della responsabilità della consolidante e della consolidata.

L’art. 127 Tuir, poi, all’epoca vigente, prevede la responsabilità solidale della consolidante e della singola consolidata per la maggiore imposta accertata (“La società o l’ente controllante è responsabile: a) per la maggiore imposta accertata e per gli interessi relativi, riferita al reddito complessivo globale risultante dalla dichiarazione di cui all’art. 122; b) per le somme che risultano dovute, con riferimento alla medesima dichiarazione, a seguito dell’attività di controllo prevista dall’art. 36 ter del D.P.R. n. 600 del 1973, riferita alle dichiarazioni dei redditi propria di ciascun soggetto che partecipa al consolidato e dell’attività di liquidazione di cui all’art. 36 bis del medesimo decreto; c) per l’adempimento degli obblighi connessi alla determinazione del reddito complessivo globale di cui all’art. 122;d)solidalmente per il pagamento di una somma pari alla sanzione di cui al comma 2, lett. b), irrogata al soggetto che ha commesso la violazione; 2.”Ciascuna società controllata che partecipa al consolidato è responsabile: a) solidalmente con l’ente o società controllante per la maggiore imposta accertata e per gli interessi relativi, riferita al reddito complessivo globale risultante dalla dichiarazione di cui all’art. 122, in conseguenza della rettifica operata sul proprio reddito imponibile, e per le somme che risultano dovute, con riferimento alla medesima dichiarazione, a seguito dell’attività di controllo prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 ter e dell’attività di liquidazione di cui al medesimo decreto, art. 36 bis, in conseguenza della rettifica operata sulla propria dichiarazione dei redditi”; b) per la sanzione correlata alla maggiore imposta accertata riferita al reddito complessivo globale risultante dalla dichiarazione di cui all’art. 122, in conseguenza della rettifica operata sul proprio reddito imponibile, e alle somme che risultano dovute con riferimento alla medesima dichiarazione, a seguito dell’attività di controllo prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 ter e dell’attività di liquidazione di cui al medesimo decreto, art. 36 bis, in conseguenza della rettifica operata sulla propria dichiarazione dei redditi”; c) per le sanzioni diverse da quelle di cui alla lett. b”).

Infatti, ai sensi del D.Lgs. 18 novembre 2005, n. 247, art. 8, comma 7, costituente il “correttivo” al D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, che ha modificato il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 127, “le disposizioni del testo unico, come modificate dal presente articolo, hanno effetto per i periodi di imposta che iniziano a decorrere dal 1 gennaio 2004, salvo le disposizioni degli artt. 118 e 123 che hanno effetto per i periodi di imposta che iniziano a decorrere dal 1 gennaio 2005 e quelle dell’art. 119 che hanno effetto per i periodi di imposta che iniziano a decorrere dal 1 gennaio 2006”.

1.4. Alla stregua delle considerazioni che precedono può affermarsi che, nella fattispecie in esame, che attiene al diritto di rimborso delle imposte pagate in eccedenza, a seguito dell’utilizzo in detrazione delle somme per la quota parte di imposte pagate in Tunisia, nell’ambito dell’imposta globale (e si colloca in epoca anteriore all’1-1-2011), non sussiste il litisconsorzio necessario tra consolidata TTPC e consolidante Eni s.p.a..

Invero, l’art. 118 Tuir prevede che l’esercizio dell’opzione per la tassazione di gruppo di cui all’art. 117 comporta la determinazione di un reddito complessivo globale corrispondente alla somma algebrica dei redditi complessivi netti.

Si precisa nell’art. 118 Tuir che “al soggetto controllante compete il riporto a nuovo della eventuale perdita risultante dalla somma algebrica degli imponibili, la liquidazione dell’unica imposta dovuta o dell’unica eccedenza rimborsabile o riportabile a nuovo”.

1.5. Al gruppo, dunque, non è riconosciuta la soggettività tributaria che permane, invece, in capo alle singole società (Cass., n. 20302 e n. 30014 del 2018). Tuttavia, tale soggettività resta piegata alle esigenze di corretta applicazione della disciplina del consolidato fiscale. La soggettività delle consolidate è allora “incompleta”, in quanto non si estende alla fase di liquidazione e di versamento del tributo.

1.6. Nè vi è, poi, coincidenza tra istituto del consolidato e la trasparenza societaria, con conseguente litisconsorzio necessario, in quanto nel consolidato i risultati delle partecipate sono imputati alla controllante, mentre nel regime di trasparenza si imputano pro quota alle partecipanti i risultati della partecipata. Sicchè, i due meccanismi sono opposti per “direzione” e “soggettività”, laddove la solidarietà (passiva) tra consolidante e consolidata resta soggetta alle regole ordinarie (ex artt. 1292,1304,1306 c.c.: conf. Cass., n. 30348 del 2019).

2. Con il secondo motivo di impugnazione la società deduce “illogicità e/o incoerenza della sentenza impugnata in merito alla valutazione di un fatto decisivo e controverso per il presente giudizio (e cioè circa la valutazione del certificato rilasciato dall’autorità fiscale tunisina, il quale attesta le imposte pagate dalla TTPC sul reddito prodotto in Tunisia nel periodo di imposta 2005) – Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62”, in quanto il giudice di appello ha errato nell’affermare che la consolidante non ha assolto l’onere probatorio per ottenere il rimborso, avendo prodotto un certificato della Tunisia, che, pur essendo intitolato come “attestazione di pagamento”, in realtà conteneva una dichiarazione di avvenuta ricezione della domanda per ottenere l’attestazione di pagamento, dovendosi tenere conto dell’effettivo contenuto del documento. Il contenuto di tale certificato, per la Commissione regionale, era soltanto l’attestazione della presentazione di una domanda per ottenere il certificato di pagamento. Vi sarebbe, dunque, illogicità e incoerenza nella valutazione della motivazione della sentenza di appello, anche perchè la Commissione tributaria regionale delle Lombardia, nel giudizio instaurato avverso il silenzio rifiuto dell’Amministrazione da parte della TTPC per gli anni 2004 e 2005, aveva rigettato l’appello della Agenzia delle entrate e riconosciuto alla TTPC il diritto al rimborso del credito di imposta Ires sulla base della medesima documentazione utilizzata nel presente giudizio. La stessa Direzione Regionale della Lombardia, in relazione all’anno 2006, aveva riconosciuto la sussistenza e la validità dell’attestazione della Tunisia in ordine all’avvenuto pagamento delle imposte in tale Paese. Inoltre, non si è tenuto conto nella interpretazione del certificato agli atti del 26-9-2006 che lo stesso è intitolato con il termine “attestazione di pagamento”, è sottoscritto dal Direttore del Centro Regionale di Controllo delle imposte di Tunisi, menziona il suo fine specifico, ossia quello di applicare l’art. 22 della Convenzione Italia-Tunisia, è stampato su carta intestata del Ministero delle Finanze, Direzione Generale del Controllo Fiscale, reca indicazione dell’oggetto sostanziale di quanto doveva essere attestato, ossia la base imponibile nonchè l’imposta sulle società tunisine. Inoltre, la Commissione provinciale di Roma aveva valutato anche l’ulteriore documento costituito dal “prospetto di calcolo della quota dell’impot sur les Societes”. La ricorrente, poi, allega un nuovo documento del 29-12-2014, in cui il Ministro delle Finanze della Tunisia afferma che “confermo che le medesime attestazioni dimostrano il versamento dell’imposta sulle società per gli anni 2004 e 2005”, sì da aver fornito una “interpretazione autentica” del certificato originario. Il giudice di appello, invece, ha fornito una interpretazione del certificato originario illogica ed incoerente.

2.1. Tale motivo è inammissibile.

Invero, si premette che il documento datato 29-12-2014 a sostegno della tesi sostenuta dalla ricorrente, al fine di dimostrare che il certificato originario attestava l’avvenuto pagamento delle imposte in Tunisia, in quanto prodotto solo in sede di legittimità, è inutilizzabile.

Invero, nel giudizio per cassazione è ammissibile la produzione di documenti non prodotti in precedenza solo ove attengano alla nullità della sentenza impugnata o all’ammissibilità processuale del ricorso o del controricorso, ovvero al maturare di un successivo giudicato, mentre non è consentita la produzione di documenti nuovi relativi alla fondatezza nel merito della pretesa, per far valere i quali, se rinvenuti dopo la scadenza dei termini, la parte che ne assuma la decisività può esperire esclusivamente il rimedio della revocazione straordinaria ex art. 395 c.p.c., n. 3 (Cass.,stz. L., 12 luglio 2018, n. 18464; Cass., sez 2, 27 luglio 1999, n. 8122; Cass., sez 2, 17 gennaio 1994, n. 361). Inoltre, si evidenzia che il motivo non è autosufficiente, in quanto non è in alcun modo riportato e trascritto il contenuto del certificato in contestazione, oggetto di differente interpretazione da parte della società ricorrente rispetto alle considerazioni sul medesimo palesate dal giudice di appello. Tale certificato non è stato neppure prodotto in giudizio, come emerge dall’elenco dei documenti allegati al ricorso per cassazione.

Va anche osservato che la produzione in giudizio non è consentita neppure dall’art. 25 della Convenzione Italia-Tunisia, la quale prevede (Scambio di informazioni) che “le autorità competenti degli Stati contraenti si scambieranno le informazioni necessarie per applicare le disposizioni della presente Convenzione o quelle delle leggi interne degli Stati contraenti relative alle imposte previste dalla Convenzione, nella misura in cui la tassazione che tali leggi prevedono non è contraria alla Convenzione, nonchè per evitare le evasioni fiscali. Lo scambio di informazioni non viene limitato dall’art. 1. Le informazioni ricevute da uno Stato contraente saranno tenute segrete, analogamente alle informazioni ottenute in base alla legislazione interna di detto Stato e saranno comunicate soltanto alle persone od autorità (ivi compresi l’autorità giudiziaria e gli organi amministrativi) incaricate dell’accertamento o della riscossione delle imposte previste dalla presente Convenzione, delle procedure concernenti tali imposte o delle decisioni di ricorsi presentati per tali imposte. Le persone od autorità sopracitate utilizzeranno tali informazioni soltanto per questi fini. Le predette persone od autorità potranno servirsi di queste informazioni nel corso di udienze pubbliche o nei giudizi”.

Sul punto, si rileva che l’art. 25 della Convenzione Italia-Tunisia riguarda soltanto le “autorità” e le “persone” che sono “incaricate dell’accertamento o della riscossione delle imposte previste dalla presente Convenzione, delle procedure concernenti tali imposte”, sicchè la disposizione non può essere utilizzata dai privati.

Inoltre, la locuzione finale della norma che fa riferimento alla possibilità per tali “persone” di “servirsi di queste informazioni nel corso di udienze pubbliche o nei giudizi”, non può di certo derogare alle norme del processo civile di legittimità, non consentendo in questa sede la produzione di documenti che, invece, doveva avvenire nel corso del giudizio di merito.

Tra l’altro, poichè la sentenza della Commissione regionale è stata pubblicata il 20-10-2014, quindi successivamente all’11 settembre 2012, data di entrata in vigore del D.L. n. 83 del 2012, che ha modificato l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’unica censura possibile per vizio di motivazione consiste nel dedurre l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso tra le parti, mentre nella specie la ricorrente si è- limitata ad invocare soltanto una diversa interpretazione della attestazione rilasciata dalla Tunisia, già oggetto di specifica valutazione da parte del giudice di appello, sicchè si richiede a questa Corte una nuova rivalutazione dello stesso documento, non consentita in sede di legittimità.

Trattandosi della prospettazione di una diversa interpretazione del contenuto del documento (“domanda di attestazione di pagamento”) inerente alla Convenzione sulla doppia non imposizione tra Italia e Tunisia, deve applicarsi il principio giurisprudenziale per cui costituisce un’attività riservata al giudice di merito (Cass., n. 2719/2009), ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione (Cass., n. 22536 del 2007). Ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non è peraltro sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato, nonchè, in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, con la trascrizione del testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in contestazione (Cass., n. 4178/2003) ovvero con l’enunciazione riassuntiva del contenuto essenziale, accompagnata dalla esibizione ex art. 369 c.p.c. del documento completo oppure dalla precisa localizzazione del documento stesso nell’incarto processuale del giudizio di merito (Cass., sez.un., 22726/11), il che è totalmente mancato nel caso in esame (Prot. Cass./CNF).

8. Le spese del giudizio di legittimità, per il principio della soccombenza, vanno poste a carico della società e si liquidano come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità liquidate in complessivi Euro 30.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 1, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 4 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020

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