Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4412 del 20/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 20/02/2020, (ud. 02/12/2019, dep. 20/02/2020), n.4412

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 5617/2012 R.G. proposto da:

Pecorilla Gioielli s.p.a., in persona del rappresentante legale pro

tempore, rappresentata e difesa dagli Avv. Giulio Gaeta e Guido

Gaeta, con domicilio eletto in Roma, via G. Palumbo, n. 26, presso

la società E. P. s.p.a.;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.

12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania n. 20/32/11 depositata il 14 gennaio 2011.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 2 dicembre 2019

dal Consigliere Giuseppe Nicastro;

udito l’Avv. dello Stato De Bellis Gianni per la controricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Paola Mastroberardino, che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso principale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A seguito della liquidazione delle imposte dovute in base alle dichiarazioni modelli 760S e Unico per gli anni 2002 e 2003 effettuata ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54-bis, la Gest Line s.p.a., Agente della riscossione per la Provincia di Napoli, notificò alla Pecorilla Gioielli s.p.a. una cartella di pagamento con i ruoli – formati dall’Ufficio di Caserta dell’Agenzia delle entrate – n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS) relativi a IRAP, IVA, interessi e sanzioni per l’anno 2002 (per complessivi Euro 292.388,95) e ad Addizionale regionale, Imposta sostitutiva derivante dalla rivalutazione del TFR, Ritenute alla fonte, IRAP, IRPEG, Recupero di credito d’imposta per incremento occupazionale, IVA, interessi e sanzioni per l’anno 2003 (per complessivi Euro 1.271.760,15).

2. La cartella di pagamento e i ruoli furono impugnati davanti alla Commissione tributaria provinciale di Caserta (hinc anche: “CTP”) che, in accoglimento del primo motivo di ricorso – con il quale la contribuente aveva denunciato l’incompetenza per territorio dell’Ufficio di Caserta a liquidare le imposte e a iscriverle a ruolo – li annullò.

3. Avverso tale pronuncia, l’Agenzia delle entrate, Ufficio di Caserta, propose appello alla Commissione tributaria regionale della Campania (hinc anche: “CTR”), che lo accolse.

La CTR rigettò anzitutto le due eccezioni di inammissibilità dell’appello sollevate dalla Pecorilla Gioielli s.p.a. per l’asserita violazione del D.Lgs. 29 settembre 1973, n. 546, art. 53, commi 2 e 1, in quanto, rispettivamente: “risulta in atti che copia dell’atto fu depositata presso la Commissione Tributaria di Caserta in data 26 novembre 2010, protocollo N. (OMISSIS)”; “i motivi specifici di impugnazione sono rinvenibili nella doglianza così espressa: “Non si ritiene, però che si possa trascurare un dato essenziale rappresentato dal fatto che nelle dichiarazioni dei redditi presentate per i periodi d’imposta 2002 e 2003 è la stessa società ad indicare il seguente domicilio fiscale: Marcianise (CE), Centro Orafo II Tarì, Zona Asi”, doglianza che è certamente una censura alla sentenza di primo grado”.

Con riguardo a questo motivo di appello, relativo alla competenza per territorio a liquidare le imposte e a iscriverle a ruolo, la CTR affermò che: a) “i contestati ruoli emessi (d)all’Agenzia delle entrate, Ufficio di Caserta, sono la conseguenza (…) di dichiarazioni ad essa destinate in quanto prive dei dati relativi alla sede legale della società e con la indicazione del domicilio fiscale in Marcianise (CE) Area Asi Sud Loc. Pozzo Bianco nel Modello per il periodo d’imposta 2002 e in Marcianise (CE) Centro Orafo II Tarì Zona Asi nel Modello per il periodo di imposta 2003, così come risulta dai Frontespizi del Modello Unico pinzati alla copia dell’appello in atti”; b) “l’atteggiamento della società non può non dirsi fuorviante ove si consideri che – oltre alla “erronea” indicazione del domicilio fiscale in Marcianise (CE) nelle dichiarazioni trasmesse per via telematica – anche in sede processuale si prova a confondere il Giudice presentando in primo grado il Modello Unico 2006 (mentre) non vengono esibiti i modelli relativi agli anni di causa”; c) secondo Cass., 10/03/2006, n. 5359 (recte: 5358), “se in tema di notificazione degli avvisi di accertamento relativi alle imposte sui redditi, la variazione dell’indirizzo comunicata con la dichiarazione annuale dei redditi è atto idoneo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60/d a rendere noto all’Ufficio il nuovo domicilio fiscale del contribuente cui vanno rivolti gli occorrenti adempimenti notificatori, non si vede perchè il principio non dovrebbe valere anche con riferimento alla legittimazione a procedere di quello stesso Ufficio situato ove esso contribuente ha indicato il proprio domicilio”; d) “perciò il contribuente, avendo indicato in dichiarazione come domicilio fiscale Caserta, non può non subirne le conseguenze, ancorchè si tratti di dato erroneamente trasmesso, perchè (…) non può escludersi che errore non sia, ma trucco (e che) al riguardo la stessa Corte di cassazione nella già citata sentenza afferma che “lo ius variandi va esercitato in buona fede nel rispetto del principio dell’affidamento che deve informare la condotta di entrambi i soggetti del rapporto tributario per cui il contribuente che abbia, maliziosamente o meno, indicato nella propria denuncia dei redditi il domicilio fiscale in un comune diverso, non può invocare detta difformità sfruttando a proprio vantaggio anche un suo eventuale errore al fine di eccepire, sotto il profilo dell’incompetenza per territorio, l’invalidità dell’atto di accertamento compiuto dall’ufficio finanziario del domicilio da lui stesso dichiarato”, principio valido – ovviamente – anche per la liquidazione delle imposte dovute in base a dichiarazioni”; e) “il Vademecum Sogei prodotto dalla società (…) porta – come errore bloccante la trasmissione della dichiarazione – la mancanza nel Frontespizio del Comune della sede legale, ma la “prova” riguarda la trasmissione del Modello Unico Società di Capitali 2008, così che resta non dimostrato sia che il blocco esisteva anche per gli anni di causa 2002 e 2003 sia che i giusti frontespizi sono quelli esibiti dalla società resistente e non quelli versati in atti dall’Agenzia delle entrate”.

La CTR negò altresì che i ruoli fossero illegittimi per difetto di motivazione – questione, questa, dichiarata assorbita dalla CTP e riproposta dalla Pecorilla Gioielli s.p.a. nel giudizio di appello – con la motivazione che “la cartella porta in chiaro tutte le specifiche delle somme chieste in pagamento, somme peraltro ben conosciute alla società resistente provenendo dalle stesse dichiarazioni da essa presentate”.

4. Avverso tale sentenza della CTR – depositata in segreteria il 14 gennaio 2011 e non notificata – ricorre per cassazione la Pecorilla Gioielli s.p.a., che affida il proprio ricorso, notificato il 21/22 febbraio 2012, a tre motivi.

5. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso, notificato il 30 marzo/2 aprile 2012.

6. Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 2 dicembre 2019, nella quale il Procuratore generale ha concluso come indicato in epigrafe.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, per avere la CTR affermato che il ricorso in appello dell’Agenzia delle entrate conteneva l’indicazione di motivi specifici dell’impugnazione, nonostante esso “non risulta (sse) basato imprescindibilmente sulla sentenza impugnata” e i motivi “non (fossero) assistiti da un sufficiente grado di specificità, in relazione al grado di complessità che nella fase precedente ha assunto la controversia, (non essendo) sufficiente (…) il mero richiamo alle difese ed alle argomentazioni già svolte nel precedente grado di giudizio” e per avere la stessa CTR finoto per “equipara (re) erroneamente una censura ad un motivo specifico”.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 31 e 58, per avere la CTR affermato che la legittimazione a liquidare e iscrivere a ruolo le imposte spettava, anzichè all’ufficio nella cui circoscrizione il contribuente non persona fisica aveva la propria sede legale competente per territorio in base alle dette disposizioni -, all’ufficio compentente in relazione al domicilio fiscale indicato nelle dichiarazioni dei redditi presentate dallo stesso contribuente.

3. Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), la “omessa motivazione su fatti controversi e decisivi del giudizio”.

In particolare, in primo luogo, contrariamente a quanto affermato al punto 2) della pag. 6 della sentenza impugnata, il modello Unico 2004 venne prodotto nel giudizio di appello dalla Pecorilla Gioielli s.p.a. il 5 novembre 2010.

In secondo luogo, la CTR non avrebbe considerato l’attestazione dell’intermediario abilitato che sottoscrisse e trasmise le dichiarazioni – anch’essa (asseritamente) prodotta nel giudizio di appello il 5 novembre 2010 – che sulle stesse dichiarazioni era indicata la sede legale (in Napoli) e non era indicato alcun diverso domicilio fiscale della società.

In terzo luogo, dalla visualizzazione dei dati relativi al frontespizio della dichiarazione Modello 760/2004 estratta dal sito dell’Agenzia delle entrate, Servizio Telematico Entrate – visualizzazione anch’essa (asseritamente) prodotta nel giudizio di appello il 5 novembre 2010 e riprodotta nel ricorso – risultava che detta dichiarazione fu trasmessa con la sola indicazione del comune (Napoli) in cui era ubicata la sede legale della società.

La mancanza di tale indicazione, del resto, a prescindere dall’eventuale indicazione di un domicilio fiscale, avrebbe comportato che le dichiarazioni non avrebbero potuto essere acquisite dall’Agenzia delle entrate costituendo la stessa mancanza – come risulta dalle note tecniche valevoli per ogni periodo d’imposta – un cosiddetto “errore bloccante”; con la conseguenza che le dichiarazioni prodotte in giudizio dall’Agenzia delle entrate, in quanto prive dell’indicazione della sede legale della società, non avrebbero potuto essere acquisite.

Ne discendebbe che, se la CTR avesse considerato tali circostanze, non avrebbe potuto affermare che “resta non dimostrato sia che il blocco esisteva anche per gli anni di causa 2002 e 2003 sia che i giusti frontespizi sono quelli esibiti dalla società resistente e non quelli versati in atti dall’Agenzia delle entrate”.

4. Il primo motivo non è fondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel processo tributario, “la mancanza o l’assoluta incertezza dei motivi specifici dell’impugnazione, le quali, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, comma 1, determinano l’inammissibilità del ricorso in appello, non sono ravvisabili qualora l’atto di appello, benchè formulato in modo sintetico, contenga una motivazione e questa non possa ritenersi “assolutamente” incerta, essendo interpretabile, anche alla luce delle conclusioni formulate, in modo non equivoco” (Cass., 24/08/2017, n. 20379; nello stesso senso, Cass., 06/05/2002, n. 6473). Inoltre, “l’indicazione dei motivi richiesti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, richiedendosi, invece, soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame – che può validamente consistere anche nella mera richiesta di riforma della sentenza impugnata e di accoglimento della domanda iniziale (-) sia delle ragioni della doglianza” (Cass., 26/01/2005, n. 1574; nello stesso senso, Cass., 19/01/2007, n. 1224). Questa Corte ha altresì precisato che, “in assenza di una specifica disciplina richiedente il rispetto di rigidi formalismi, gli elementi idonei a rendere “specifici” (…) i motivi d’appello possono essere ricavati (anche per implicito, purchè in maniera univoca) da tutto l’atto d’impugnazione considerato nel suo complesso, ivi comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni” (Cass., n. 1224 del 2007).

Nella specie, la sentenza della CTP aveva annullato la cartella di pagamento e i ruoli impugnati in quanto le imposte erano state liquidate e iscritte a ruolo dall’ufficio al quale erano state presentate le dichiarazioni anzichè dall’ufficio – cui spettava la competenza per territorio – nella cui circoscrizione la società contribuente aveva la sede legale.

Dalla lettura del motivo di appello dell’Agenzia delle entrate, risulta chiaramente e inequivocamente che esso, pur formulato in modo sommario, nei termini riportati dalla stessa sentenza impugnata, censura la correttezza, nella specie, di tale statuizione, per non avere la CTP tenuto conto del fatto “essenziale” che nelle suddette dichiarazioni la Pecorilla Gioielli s.p.a. aveva indicato il domicilio fiscale in Marcianise (quindi, in un comune che rientra nella circoscrizione dell’Ufficio che aveva liquidato e iscritto a ruolo le imposte). Il motivo di appello era dunque sufficientemente “specifico”, consentendo di individuare, in modo, come si è detto, inequivoco, la critica rivolta dall’appellante alla motivazione della sentenza di primo grado. Nessun errore di giudizio ha pertanto commesso la CTR nell’affermare l’ammissibilità dell’appello dell’Agenzia delle entrate sotto il profilo in esame.

5. Il secondo motivo non è fondato.

Ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31, comma 2, la competenza territoriale per gli accertamenti e i controlli riguardanti le imposte sui redditi “spetta all’ufficio distrettuale nella cui circoscrizione è il domicilio fiscale del soggetto obbligato alla dichiarazione alla data in cui questa è stata o avrebbe dovuto essere presentata”.

A norma dell’art. 58, comma 3, dello stesso decreto, “(i) soggetti diversi dalle persone fisiche hanno il domicilio fiscale nel comune in cui si trova la loro sede legale o, in mancanza, la sede amministrativa; se anche questa manchi, essi hanno il domicilio fiscale nel comune ove è stabilita una sede secondaria o una stabile organizzazione e in mancanza nel comune in cui esercitano prevalentemente la loro attività”.

Analogamente, per quanto riguarda l’IVA, competente “ad ogni (…) effetto di cui al (…) decreto” del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 “è l’Ufficio provinciale dell’imposta sul valore aggiunto nella cui circoscrizione si trova il domicilio fiscale del contribuente ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 58 e 59” (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 40, comma 1, primo periodo).

Va infine rammentato che, secondo il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 12, comma 1, “(I)’ufficio competente forma ruoli distinti per ciascuno degli ambiti territoriali in cui i concessionari operano. In ciascun ruolo sono iscritte tutte le somme dovute dai contribuenti che hanno il domicilio fiscale in comuni compresi nell’ambito territoriale cui il ruolo si riferisce”.

La sentenza impugnata, ritenendo in fatto che la società contribuente aveva indicato nelle dichiarazioni controllate il proprio domicilio fiscale in Marcianise – conclusione, questa, che la ricorrente ha censurato sotto l’aspetto del vizio di motivazione (come soltanto poteva censurarla; Cass., 26/03/2010, n. 7394) con il terzo motivo di ricorso – ha reputato che tale circostanza legittimava l’Ufficio di Caserta, nella cui circoscrizione è il comune di Marcianise, a liquidare le imposte e a iscriverle a ruolo.

Tale affermazione è, in diritto, corretta, trovando corrispondenza nel principio, già più volte statuito da questa Corte e condiviso dal collegio – che non ravvisa ragioni di inapplicabilità dello stesso alla fattispecie, come ritenuta in fatto dalla CTR – secondo cui, “(i)n tema di accertamento delle imposte sui redditi, la competenza territoriale dell’ufficio è determinata dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 31, con riferimento al domicilio fiscale indicato dal contribuente, la cui variazione, comunicata nella dichiarazione annuale dei redditi, costituisce pertanto atto idoneo a rendere noto all’Amministrazione il nuovo domicilio non solo ai fini delle notificazioni, ma anche ai fini della legittimazione a procedere, che spetta all’ufficio nella cui circoscrizione il contribuente ha indicato il nuovo domicilio. Tale “ius variandi” dev’essere peraltro esercitato in buona fede, nel rispetto del principio dell’affidamento che deve informare la condotta di entrambi i soggetti del rapporto tributario: pertanto, il contribuente che abbia indicato nella propria denuncia dei redditi il domicilio fiscale in un luogo diverso da quello precedente, non può invocare detta difformità, sfruttando a suo vantaggio anche un eventuale errore, al fine di eccepire, sotto il profilo dell’incompetenza per territorio, l’invalidità dell’atto di accertamento compiuto dall’ufficio finanziario del domicilio da lui stesso dichiarato” (Cass., 10/03/2006, n. 5358, 10/05/2013, n. 11170, 08/10/2014, n. 21290, 04/10/2018, n. 24292).

Tale principio, affermato con riguardo alla legittimazione a procedere all’accertamento, è evidentemente riferibile anche alla legittimazione a procedere alla liquidazione delle imposte dovute in base alla dichiarazioni, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis, trattandosi di attività rientranti nel novero, rispettivamente, degli accertamenti e controlli riguardanti le imposte sui redditi (indicati, in particolare, nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31, comma 1) e della competenza “ad ogni (…) effetto di cui al (…) decreto” del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 (lo stesso, art. 40, comma 1), nonchè alla legittimazione a procedere alla conseguente eventuale iscrizione a ruolo.

La prima delle pronunce sopra menzionate (Cass., n. 5358 del 2006) ha infine anche escluso che – contrariamente a quanto asserito nel ricorso – l’indicazione del domicilio fiscale nella dichiarazione possa essere posta nel nulla dal mancato compimento delle formalità previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 59, comma 2, il quale presuppone una “motivata istanza” del contribuente per ottenere, al ricorrere di “particolari circostanze”, che il domicilio fiscale sia stabilito in un comune diverso da quello previsto dall’art. 58 dello stesso decreto. La Corte ha chiarito al riguardo che “(t)rattasi – questa – di procedura eccezionale a favore del contribuente che intenda spostare il proprio domicilio fiscale in comune diverso da quello stabilito dalla norma come idoneo allo scopo (…) e che non entra in gioco allorchè venga semplicemente spostata la sede od il domicilio del contribuente da un comune ad un altro cui sia pur sempre ricollegabile la situazione di riferimento considerata dalla legge”.

La CTR ha quindi correttamente interpretato e applicato, alla luce dei principi esposti, il D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 31 e 58, invocati dalla ricorrente.

6. Il terzo motivo non è fondato.

Si deve anzitutto escludere che possa integrare un vizio motivazionale della sentenza impugnata l’affermazione, che figura al punto 2) della pag. 6 della stessa, che “non vengono esibiti i modelli relativi agli anni di causa”, atteso che tale asserto, letto nel contesto della frase in cui è inserito (“in sede processuale si prova a confondere il Giudice presentando in primo grado il Modello Unico 2006 (…) ma non vengono esibiti i modelli relativi agli anni di causa”), si riferisce chiaramente alle produzioni documentali nel giudizio di primo grado e non nel giudizio di appello. La sentenza impugnata dà del resto atto (alla pag. 5) della produzione, nel giudizio di appello, da parte della Pecorilla Gioielli s.p.a., del modello Unico 2004.

Quanto alle altre carenze motivazionali lamentate dalla ricorrente, occorre premettere, in punto di diritto, che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “la procedura di presentazione della dichiarazione in via telematica, prevista dal D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 3, comporta che la dichiarazione e la sua presentazione costituiscano, diversamente dal sistema cartaceo (per il quale vi è una dichiarazione distinta dalla prova del suo invio o della sua presentazione all’Ufficio), un unico, complesso atto, che viene ad esistenza giuridica soltanto con l’invio da parte del contribuente, il quale, quindi, non può addurre dati diversi desunti da una propria dichiarazione cartacea (salvo il caso di errore da lui compiuto nel formare ed inviare la dichiarazione, eventualmente emendabile secondo le regole generali), attesa la irrilevanza di quest’ultima, poichè non costituente copia della dichiarazione presentata all’Ufficio, in quanto l’elaborazione telematica attribuisce certezza (superabile solo con rigorosa prova contraria attinente al sistema informatico di trasmissione dei dati) della conformità del “file” (contenente la dichiarazione) giunto all’amministrazione a quello inviato dal contribuente” (Cass., 10/01/2013, n. 385, 16/06/2017, n. 15015).

Alla luce di tali enunciati – che questo collegio, condividendoli, fa sicuramente propri – nessuna carenza motivazionale può essere ravvisata nell’avere la CTR ritenuto l’irrilevanza, rispetto ai frontespizi delle dichiarazioni giunte per via telematica all’Agenzia delle entrate e da questa prodotte in giudizio, dei frontespizi delle dichiarazioni cartacee del contribuente, ancorchè, eventualmente, dichiarate dal soggetto incaricato della trasmissione “conform(i) all’originale conservato, come per legge, nei nostri archivi” (così la dichiarazione prodotta dalla ricorrente, relativa, peraltro, al solo Modello Unico 2004).

Neppure sussistono le carenze motivazionali lamentate dalla ricorrente relativamene alla valutazione, da parte del giudice dell’appello, della prova contraria da essa fornita.

Ciò è a dirsi, anzitutto, con riguardo alla valutazione della prova fornita in ordine al fatto che la mancata indicazione della sede legale nelle dichiarazioni ne avrebbe impedito la trasmissione in via telematica in quanto tale carenza integrava un cosiddetto “errore bloccante”, comportante, cioè, il blocco della trasmissione della dichiarazione (con la conseguenza che le dichiarazioni i cui frontespizi erano stati prodotti in giudizio dall’Agenzia delle entrate, essendo questi privi della sudetta indicazione, non avrebbero potuto essere acquisite). Nessuna insufficienza o contraddittorietà può infatti essere ravvisata nella motivazione della CTR che la prova – che, come si è visto, la giurisprudenza di questa Corte postula, in via generale, “rigorosa” – dell’esistenza di un tale “blocco” della trasmissone delle dichiarazioni per gli anni 2002 e 2003 non possa reputarsi conseguita mediante la produzione di un vademecum della Sogei relativo alla trasmissione di una dichiarazione per l’anno 2008.

La ricorrente ha lamentato, infine, l’omessa valutazione, da parte della CTR, della visualizzazione dei dati relativi al frontespizio della dichiarazione Modello 760/2004 estratta dal sito dell’Agenzia delle enrate, Servizio Telematico Entratel, e prodotta nel giudizio di appello (dalla quale risulta che detta dichiarazione fu trasmessa con la sola indicazione del comune di Napoli in cui era ubicata la sede legale della società). Tale risultanza, in quanto relativa alla sola dichiarazione Modello 760/2004 e non anche alle dichiarazioni Modello Unico 2003 e Unico 2004 – delle quali la ricorrente non risulta aver prodotto le relative visualizzazioni – i dati dei cui frontespizi la CTR ha posto a fondamento della sentenza impugnata, non è, tuttavia, decisiva, non essendo, per la ragione indicata, di per sè indonea, anche se considerata, a condurre con certezza a un diverso esito della controversia.

Dall’assenza dei denunciati vizi motivazionali della sentenza impugnata consegue, eprtanto, l’infondatezza del motivo.

7. Alla luce di quanto esposto, il ricorso deve, quindi, essere integralmente rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., comma 1 e sono liquidate come indicato in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 17.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020

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