Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4412 del 10/02/2022

Cassazione civile sez. lav., 10/02/2022, (ud. 19/01/2022, dep. 10/02/2022), n.4412

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20867-2019 proposto da:

L.M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A.GRAMSCI

N. 14, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE GATTI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente – principale –

contro

BANCA DEL FUCINO S.P.A., in persona del Presidente e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

RIPETTA n. 22 presso lo STUDIO LEGALE GERARDO VESCI & PARTNERS,

rappresenta e difende;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

e contro

L.M.A.;

– ricorrente principale – controricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 2152/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/05/2019 R.G.N. 318/2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/01/2022 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MUCCI ROBERTO che ha concluso per il rigetto del ricorso principale

e

dell’incidentale;

udito l’Avvocato GABRIELE GATTI;

udito l’Avvocato GERARDO VESCI.

 

Fatto

1. Con sentenza 20 maggio 2019, la Corte d’appello di Roma rigettava il reclamo principale di Banca del Fucino s.p.a. e incidentale di Antonino L.M. avverso la sentenza di primo grado, che aveva ritenuto il licenziamento intimatogli dalla prima il (OMISSIS) (oltre che per mancata rilevazione e notifica, nelle giornate del 9, 10 e 11 agosto 2017, dell’ammanco di cassa di USD 2000 e dell’eccedenza di Euro 1.644,72 non rinvenuta dalla verifica di cassa operata la sera dell’11 agosto 2017, oggetto della contestazione del (OMISSIS), anche per l’addebito, mai prima contestato, di appropriazione illegittima di tale ultima somma) non integrare giusta causa di recesso, ma inadempimento inidoneo a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra le parti: con la conseguenza della risoluzione del rapporto di lavoro e l’applicazione al lavoratore della tutela indennitaria forte, a norma del testo novellato della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5, in misura di diciotto mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

2. La Corte territoriale riteneva, infatti, infondati entrambi i reclami: il principale della società datrice, per la ribadita assenza di contestazione dell’indebita appropriazione dal dipendente della banca della suindicata somma, con evidente sproporzione della sanzione comminata (recesso per giusta causa) rispetto al fatto contestato di irregolare registrazione contabile, neppure tuttavia integrante una violazione formale (sanzionabile ai sensi della citata L., art. 18, comma 6; ma pur sempre, quanto all’incidentale del lavoratore, fatto materiale effettivamente sussistente e antigiuridico, siccome integrante inadempimento imputabile.

3. Con atto notificato il 9 luglio 2017, il lavoratore ricorreva per cassazione con quattro motivi, cui la società resisteva con controricorso, contenente ricorso incidentale con due motivi, cui il primo replicava con controricorso.

4. Il P.G. rassegnava conclusioni scritte, a norma del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, inserito da L. conv. n. 176 del 2020, nel senso del rigetto dei ricorsi principale e incidentale.

5. Entrambe le parti comunicavano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Nel rispetto dell’ordine logico-giuridico delle questioni poste, occorre avviare l’esame dal ricorso incidentale della banca datrice.

Con il primo motivo, essa deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, artt. 7,18, per erronea applicazione del principio di immutabilità del fatto contestato rispetto a quello sanzionato, invece rispettato, per essere l’addebito di appropriazione indebita della somma di USD 2.000,00 (in base al quale anche aveva intimato il licenziamento per giusta causa al lavoratore) contenuto nella lettera di contestazione del (OMISSIS), contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, avendone il predetto avuto piena consapevolezza ed esercitato le proprie prerogative difensive, avendo anche regolarizzato la differenza dopo il rientro in servizio il 5 settembre 2017.

2. Esso è infondato.

3. Il motivo verte, infatti, sulla confutazione dell’interpretazione della lettera di contestazione, riservata esclusivamente al giudice di merito, in assenza di alcuna deduzione dei canoni interpretativi violati né tanto meno di specificazione delle ragioni né del modo in cui si sarebbe realizzata l’asserita violazione (Cass. 14 giugno 2006, n. 13717; Cass. 21 giugno 2017, n. 15350; Cass. 8 novembre 2021, n. 32512): criteri, come noto, ben applicabili anche agli atti unilaterali, a norma dell’art. 1324 c.c. (Cass. 30 maggio 2018, n. 13667; Cass. 14 novembre 2013, n. 25608), qual è appunto la lettera in questione.

4. Occorre peraltro rilevare la correttezza dell’interpretazione, per l’indubbia diversità dei fatti sanzionati con il licenziamento ed invece oggetto di contestazione, di cui non può essere negata la ricorrenza: essendo l’appropriazione indebita qualificata dall’elemento soggettivo del dolo, non specificamente contestata e invece a base del recesso; l’addebito sopra illustrato, oggetto esclusivo di contestazione, invece connotato sotto il profilo soggettivo dalla colpa.

Sicché, ricorre la violazione, giustamente ritenuta, del principio di immutabilità della contestazione, da valutare in base al complesso degli elementi materiali connessi all’azione del lavoratore, essendo stato dalla banca adottato un provvedimento sanzionatorio sul presupposto di circostanze di fatto nuove o diverse rispetto a quelle contestate, così da determinare una concreta menomazione del diritto di difesa dell’incolpato; contrasto che invece non si configura, ma non è questo il caso, nell’ipotesi in cui il datore di lavoro proceda a un diverso apprezzamento o a una diversa qualificazione del medesimo fatto, come appunto accade nell’ipotesi di modificazione dell’elemento soggettivo dell’illecito (Cass. 25 marzo 2019, n. 8293; Cass. 15 giugno 2020, n. 11540).

5. Con il secondo motivo, la banca deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5, del CCNL di settore, art. 44, per erronea esclusione dell’idoneità della condotta del lavoratore (di mancata corretta quadratura della valuta estera nelle giornate del 9, 10 e 11 agosto 2011 e di omessa annotazione dell’ammanco di USD 2.000 e di eccedenza di Euro 1.644,72) ad integrare giusta causa di recesso, in quanto lesiva del vincolo fiduciario, da apprezzare con particolare rigore nel rapporto di lavoro bancario.

6. Esso è inammissibile.

7. E’ noto il principio, secondo cui la sanzione disciplinare debba essere proporzionata alla gravità dei fatti contestati, sia in sede di irrogazione della sanzione da parte del datore nell’esercizio del suo potere disciplinare, avuto riguardo alle ragioni che lo hanno indotto a ritenere grave il comportamento del dipendente, sia da parte del giudice del merito, il cui apprezzamento di legittimità e congruità della sanzione applicata, se sorretto da adeguata e logica motivazione, si sottrae a censure in sede di legittimità (Cass. 8 gennaio 2008, n. 144; Cass. 26 gennaio 2011, n. 1788; Cass. 25 maggio 2012, n. 8293; 26 settembre 2018, n. 23046). Ed è appunto il principio che la Corte territoriale ha applicato nel caso di specie, con una valutazione adeguatamente argomentata (per le ragioni esposte al terz’ultimo e quart’ultimo capoverso di pag. 4 della sentenza) dell’inadempimento del lavoratore ai propri obblighi e della sanzione disciplinare comminatagli dalla società datrice.

7.1. Sicché, una volta ritenuta la sproporzione tra sanzione e infrazione, essa ha pure esattamente individuato la tutela risarcitoria: la fattispecie integra, infatti, una delle “altre ipotesi” stabilite dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 42, in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa di licenziamento comportante l’applicazione della tutela indennitaria cd. forte (Cass. 12 ottobre 2018, n. 25534; Cass. 19 ottobre 2021, n. 28911). 8. Venendo ora al ricorso principale del lavoratore, con il primo motivo egli deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 e art. 18, commi 4 e 5, ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per un ammanco effettivo di mille dollari, corrispondente al danno subito dalla banca (fino alla restituzione della somma dal dipendente), ancorché fittiziamente rilevato per il doppio, per la contabilizzazione di una vendita di dollari come acquisto, comportante una differenza quantitativa tra il fatto reale (ammanco di mille dollari) e quello addebitato (ammanco di duemila dollari) incidente sulla (esclusione della) identità del fatto contestato e sulla tutela applicabile, a norma della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4.

9. Con il secondo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, art. 18, commi 4 e 5, ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per applicabilità della tutela reintegratoria della citata L., art. 18, comma 4, al licenziamento intimato per un’appropriazione mai contestata al lavoratore, attesa la parificabilità dell’inesistenza di contestazione all’insussistenza del fatto contestato.

10. Con il terzo motivo, egli deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, art. 18, commi 4 e 5, ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per l’addebito contabile contestato di mancata corretta quadratura della valuta estera nelle giornate del 9, 10 e 11 agosto 2011 e di omessa annotazione dell’ammanco di USD 2.000 e di eccedenza di Euro 1.644,72, quale mera conseguenza dell’ammanco e non fatto autonomo rispetto alla vendita registrata come acquisto.

11. Con il quarto, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, art. 18, commi 4 e 5, ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per insussistenza del fatto contestato nella sua materialità, ma anche nella sua (erroneamente valutata) antigiuridicità.

12. Essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

13. In via di premessa, giova chiarire bene la consistenza del fatto contestato, così come accertato nella sua effettiva realizzazione (per le ragioni esposte dal settimo alinea dell’ultimo capoverso di pag. 2 all’ultimo di pag. 3 della sentenza): di erronea registrazione, da parte del lavoratore il giorno 9 agosto 2017, di una vendita di mille dollari (comportante un loro pari decremento nella giacenza di cassa) come acquisto di pari importo della stessa divisa (con un ammanco complessivo contabile di duemila dollari) e correlativo aumento della giacenza di cassa (del corrispettivo della vendita effettiva) di Euro 822,36 e decremento informatico (a fronte dell’acquisto registrato contabilmente) di un pari importo della medesima divisa e pertanto complessivamente di Euro 1.644,72.

Ebbene, tale fatto, oggetto di contestazione con la lettera del (OMISSIS) non è stato modificato con la sanzione applicata. Sicché, la Corte territoriale ha pienamente osservato il principio di immutabilità della contestazione dell’addebito al lavoratore licenziato, il quale, se vieta di infliggere un licenziamento sulla base di fatti diversi da quelli contestati (rispettato nel caso di specie, per le ragioni illustrate al superiore punto 4. Nello scrutinio del primo motivo di ricorso incidentale della banca), non può ritenersi violato qualora, contestati atti idonei ad integrare un’astratta previsione legale, il datore di lavoro alleghi, nel corso del procedimento disciplinare, circostanze confermative o ulteriori prove, in relazione alle quali il lavoratore possa agevolmente controdedurre (Cass. 13 giugno 2005, n. 12644; Cass. 26 ottobre 2010, n. 21912; Cass. 29 ottobre 2014, n. 23003; Cass. 9 luglio 2018, n. 17992).

14. Tanto chiarito, occorre dire come non si configuri la violazione di norme di diritto denunciata, peraltro solo apparentemente per non essere integrata, come invece per requisito proprio, dalla deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge, implicante un problema interpretativo; nel caso di specie, si tratta piuttosto di allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340), ovviamente nei limiti del novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qui non ricorrente. 15. Il vizio di motivazione denunciato è poi inammissibile, neppure essendo configurabile per effetto della novellazione del testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053) e pure ricorrendo, nel caso di specie, l’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5, applicabile ratione temporis, non avendo il ricorrente, come avrebbe dovuto per evitare l’inammissibilità del motivo dedotto ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrandone la diversità tra loro (Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774; Cass. 6 agosto 2019, n. 20994).

15.1. Si è piuttosto trattato di una sostanziale contestazione della valutazione probatoria alla base dell’accertamento operato dalla Corte territoriale, adeguatamente argomentato, come detto e pertanto insindacabile da questa Corte (Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 4 novembre 2013, n. 24679).

16. La Corte capitolina ha correttamente applicato i principi regolanti la materia, anche in ordine alla tutela applicata, avendo accertato la sussistenza del fatto contestato e la sua rilevanza disciplinare, per inadempimento del lavoratore ai propri obblighi contrattuali (così al primo capoverso di pag. 6 della sentenza), comportati dalla mansione di cassiere presso un istituto di credito, non ricorrendo l’ipotesi né di assenza ontologica del fatto, né di sussistenza materiale priva tuttavia del carattere di illiceità (Cass. 5 dicembre 2017, n. 29062; Cass. 7 febbraio 2019, n. 3655; Cass. 10 febbraio 2020, n. 3076).

17. Dalle argomentazioni sopra svolte discende allora il rigetto di entrambi i ricorsi, principale e incidentale, con la compensazione delle spese del giudizio tra le parti e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

PQM

La Corte:

rigetta entrambi i ricorsi e dichiara interamente compensate le spese del giudizio tra le parti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2022

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