Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4411 del 20/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 20/02/2020, (ud. 02/12/2019, dep. 20/02/2020), n.4411

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 4164/2012 R.G. proposto da:

Eurotermo s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dagli Avv. Stefano Zunarelli e Lorenzo del

Federico, con domicilio eletto in Roma, via della Scrofa, n. 64,

presso lo studio dell’Avv. Vincenzo Cellammare – Studio Legale

Zunarelli e Associati;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.

12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

e contro

Agenzia delle entrate, Centro operativo di Pescara, in persona del

Direttore pro tempore, con sede in Pescara, via Rio Sparto, n. 21;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, n. 578/10/11 depositata

il 12 giugno 2011.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 2 dicembre 2019

dal Consigliere Giuseppe Nicastro;

udito l’Avv. Nicolle Purificati per la ricorrente e l’Avv. dello

Stato Maria Laura Cherubini per la controricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Paola Mastroberardino, che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Eurotermo s.p.a. impugnò davanti alla Commissione tributaria provinciale di Pescara il diniego – comunicatole telematicamente dal Centro operativo di Pescara dell’Agenzia delle entrate “per esaurimento delle risorse finanziarie” – del nulla – osta alla fruizione del credito d’imposta (di Euro 16.000,00 per l’anno 2009), ai sensi della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, commi da 280 a 283, per spese in attività di ricerca avviata prima del 29 novembre 2008 (data di entrata in vigore del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2).

2. La Commissione tributaria provinciale di Pescara accolse il ricorso della contribuente.

3. Avverso tale pronuncia, l’Agenzia delle entrate, Centro operativo di Pescara, propose appello alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara (film – anche: “CTR”), che lo accolse. In particolare, la CTR: a) dichiarò manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale del D.L. n. 185 del 2008, art. 29, sollevate dalla Eurotermo s.p.a., in riferimento agli artt. 3 (in relazione sia al principio di eguaglianza sia al principio di ragionevolezza), 41, 97 e 117 (in relazione alla “tutela della concorrenza”) della Costituzione, con riguardo sia alla retroattività della detta disposizione sia al criterio selettivo di ammissione al benefico da essa stabilito; b) escluse che le disposizioni dello statuto dei diritti del contribuente (L. 27 luglio 2000, n. 212) costituissero parametri di costituzionalità delle leggi o ne legittimassero la disapplicazione; c) negò la carenza di motivazione dell’impugnato diniego di nulla-osta in quanto esso: comma 1) precisava che la fruizione del credito d’imposta era dovuta a “esaurimento delle risorse finanziarie”; comma 2) indicava “la data e l’ora nella quale il formulario (…) è pervenuto al COP”; comma 3) dava “conto del fatto che il diniego si riferisce a tutte le somme stanziate dalla L. n. 2 del 2009, e quindi fino al 2011”; d) negò che l’omessa indicazione del responsabile del procedimento comportasse l’invalidità del diniego del nulla-osta.

4. Avverso tale sentenza della CTR – depositata in segreteria il 23 giugno 2011 e non notificata – ricorre per cassazione la Eurotermo s.p.a., che affida il proprio ricorso, notificato il 1/2 febbraio 2012, a sei motivi.

5. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso, notificato il 29 febbraio/1 marzo 2012.

7. Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 2 dicembre 2019, nella quale il Procuratore generale ha concluso come indicato in epigrafe.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Prima di esaminare i motivi del ricorso, è opportuno ripercorre, sia pure sinteticamente, le vicende normative relative al credito d’imposta in considerazione.

La L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 280, – abrogato, insieme ai commi 281 e 282 dello stesso articolo, dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 23, comma 7, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, ma applicabile ratione temporis alla fattispecie di causa -, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2006 e fino alla chiusura del periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2009, attribuì alle imprese un credito d’imposta, nella misura del 10 per cento (elevata al 40 per cento nel caso di contratti stipulati con università e enti pubblici di ricerca) dei costi sostenuti per attività di ricerca industriale e di sviluppo precompetitivo.

Ai fini della determinazione del credito d’imposta, i suddetti costi non potevano superare, in ogni caso, l’importo di 50 milioni di Euro per ciascun periodo d’imposta (L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 281).

Il credito d’imposta – riguardo al quale non erano previsti ulteriori limiti – doveva essere indicato nella relativa dichiarazione dei redditi (L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 282).

Successivamente, il D.L. n. 185 del 2008, art. 29, comma 1, stabilì che “(I)e disposizioni di cui al D.L. 8 luglio 2002, n. 138, art. 5, commi 1 e 2, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 2002, n. 178, sul monitoraggio dei crediti di imposta si applicano anche con riferimento a tutti i crediti di imposta vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto tenendo conto degli oneri finanziari previsti in relazione alle disposizioni medesime. In applicazione del principio di cui al presente comma, al credito di imposta per spese per attività di ricerca di cui alla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, commi da 280 a 283, si applicano le disposizioni di cui ai commi seguenti”.

In virtù del rinvio al D.L. n. 138 del 2002, art. 5, comma 1, secondo cui “(i) crediti di imposta previsti dalle vigenti disposizioni di legge (…) possono essere fruiti entro i limiti degli oneri finanziari previsti in relazione alle disposizioni medesime. I soggetti interessati hanno diritto al credito di imposta fino all’esaurimento delle risorse finanziarie” – il credito d’imposta di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1, commi da 280 a 283, poteva essere fruito solo entro il limite degli oneri finanziari per esso previsti e le imprese ne avevano diritto solo fino all’esaurimento di queste risorse. Per tale credito d’imposta, il D.L. n. 185 del 2008, art. 29, comma 2, stanziò nel bilancio dello Stato, per l’anno 2009, la somma 533,6 milioni di Euro (alinea, primo periodo), la quale costituiva, pertanto, il limite entro il quale lo stesso credito poteva essere fruito.

Tale previsione richiedeva una disciplina per selezionare le imprese da ammettere alla fruizione del beneficio con riguardo sia ai casi in cui l’attività di ricerca fosse già stata avviata prima della data di entrata in vigore del D.L. n. 185 del 2008 – cioè, come già detto, prima del 29 novembre 2008 – sia ai casi in cui l’attività di ricerca sarebbe stata avviata a partire da tale data.

A ciò provvidero il D.L. n. 185 del 2008, art. 29, commi 2, 3 e 5, i quali stabilirono che: “(…). A decorrere dall’anno 2009, al fine di garantire congiuntamente la certezza delle strategie di investimento, i diritti quesiti, nonchè l’effettiva copertura finanziaria, la fruizione del credito di imposta suddetto è regolata come segue: a) per le attività di ricerca che, sulla base di atti o documenti aventi data certa, risultano già avviate prima della data di entrata in vigore del presente decreto, i soggetti interessati inoltrano per via telematica alla Agenzia delle entrate, entro trenta giorni dalla data di attivazione della procedura di cui al comma 4, a pena di decadenza dal contributo, un apposito formulario approvato dal Direttore della predetta Agenzia; l’inoltro del formulario vale come prenotazione dell’accesso alla fruizione del credito d’imposta; b) per le attività di ricerca avviate a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto, la compilazione del formulario da parte dei soggetti interessati ed il suo inoltro per via telematica alla Agenzia delle entrate vale come prenotazione dell’accesso alla fruizione del credito di imposta successiva a quello di cui alla lett. a) (comma 2). L’Agenzia delle entrate, sulla base dei dati rilevati dai formulari pervenuti, esaminati rispettandone rigorosamente l’ordine cronologico di arrivo, comunica telematicamente e con procedura automatizzata ai soggetti interessati: a) relativamente alle prenotazioni di cui al comma 2, lett. a), esclusivamente un nulla-osta ai soli fini della copertura finanziaria; la fruizione del credito di imposta è possibile nell’esercizio in corso ovvero, in caso di esaurimento delle risorse disponibili in funzione delle disponibilità finanziarie, negli esercizi successivi; b) relativamente alle prenotazioni di cui al comma 2, lett. b), la certificazione dell’avvenuta presentazione del formulario, l’accoglimento della relativa prenotazione, nonchè nei successivi novanta giorni l’eventuale diniego, in ragione della capienza. In mancanza del diniego, l’assenso si intende fornito decorsi novanta giorni dalla data di comunicazione della certificazione dell’avvenuta prenotazione (comma 3). (…) Il formulario per la trasmissione dei dati di cui ai commi da 2 a 4 del presente articolo è approvato con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, adottato entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Entro 30 giorni dalla data di adozione del provvedimento è attivata la procedura per la trasmissione del formulario (comma 5)”.

Con provvedimento n. 61886 del 21 aprile 2009, il Direttore dell’Agenzia delle entrate stabilì che i formulari per le attività di ricerca già avviate al 29 novembre 2008 (il cui modello era stato approvato con precedente decreto direttoriale n. 32277 del 24 marzo 2009) andavano presentati, a pena di decadenza dal beneficio, dalle ore 10 del 6 maggio 2009 (cosiddetto click day) alle ore 24 del 5 giugno 2009.

Va infine rammentato che la L. 23 dicembre 2009, n. 191, art. 2, comma 236, ha incrementato di 200 milioni di Euro per ciascuno degli anni 2010 e 2011 (successivamente ridotti, per l’anno 2010, a 150 miliomi di Euro) la spesa autorizzata per il credito d’imposta in considerazione.

Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 4 marzo 2011, fu stabilito che tali risorse fossero assegnate ai soggetti che, avendo inoltrato per via telematica il formulario per le attività di ricerca già avviate al 29 novembre 2008, non avevano ottenuto il nulla-osta per esaurimento delle risorse disponibili. Gli stessi soggetti potevano utilizzare il credito d’imposta risultante da tali formulari nella misura massima del 20,37 per cento dell’importo complessivamente richiesto per tutti e tre gli anni 2007, 2008 e 2009.

2. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 185 del 2008, art. 29, commi 1, 2 e 3, per violazione degli artt. 3,41,97 e 117 Cost..

Il motivo non è fondato.

Occorre, in proposito, rilevare che, con riguardo al dedotto contrasto con gli artt. 41,97 e 117 Cost., questa Corte si è già espressa con l’ordinanza interlocutoria 23/02/2016, n. 3576, con la quale ha affermato la manifesta infondatezza di questioni sollevate in riferimento a detti parametri sotto profili identici a quelli qui prospettati, con una motivazione che questo collegio condivide e alla quale fa integralmente rinvio.

Con la medesima ordinanza intelocutoria, questa Corte sollevò, in riferimento all’art. 3 Cost., questioni di legittimità costituzionale:

a) in via principale, del D.L. n. 185 del 2008, art. 29, comma 1, in quanto non fa salvi i diritti e le aspettative sorti – sulla base della L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 280, 281, 282 e 283 – in relazione ad attività di ricerca e sviluppo avviate prima del 29 novembre 2008;

b) in via subordinata, del combinato disposto del D.L. n. 185 del 2008, comma 2, lett. a) e comma 3, nella parte in cui, anche per i crediti d’imposta relativi a costi sostenuti per attività di ricerca e sviluppo avviate prima del 29 novembre 2008, prevede una procedura di ammissione al beneficio fiscale basata sul criterio cronologico di ricezione delle domande telematiche dei contribuenti.

Con la sentenza n. 149 del 2017, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 185 del 2008, art. 29, commi 2, lett. a), e art. 3 e non fondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 185 del 2008, art. 29, comma 1.

Dopo avere ricostruito il quadro normativo che regola i crediti d’imposta richiesti in relazione ad attività di ricerca e sviluppo, la Corte costituzionale, dando atto che, secondo il rimettente, la disposizione censurata avrebbe di fatto “abolito” il diritto di credito già maturato in relazione ai costi già sostenuti nonchè l’aspettativa del credito maturato in relazione ai costi da sostenere, ha rilevato che il valore del legittimo affidamento, che trova copertura costituzionale nell’art. 3 Cost., non esclude che il legislatore possa adottare disposizioni che modifichino in senso sfavorevole agli interessati la disciplina di rapporti giuridici “anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti”, ma esige che ciò avvenga alla condizione “che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica (…). L’intervento retroattivo del legislatore, dunque, può incidere sull’affidamento dei cittadini a condizione che: 1) trovi giustificazione in “principi, diritti e beni di rilievo costituzionale” (…), e dunque abbia una “causa normativa adeguata” (…), quale un interesse pubblico sopravvenuto (…) o una “inderogabile esigenza” (…); 2) sia comunque rispettoso del principio di ragionevolezza (…) inteso, anche, come proporzionalità”.

La Corte costituzionale ha quindi ritenuto che la disposizione censurata abbia una “causa normativa adeguata”, poichè trova giustificazione nei “principi, diritti e beni di rilievo costituzionale” tutelati dagli artt. 2,3 e 81 Cost., e non violi i principi di ragionevolezza e proporzionalità, atteso che, a seguito di successivi interventi normativi, la posizione dei titolari di crediti “perdenti” non è stata incisa in maniera assoluta, considerato che gli ulteriori stanziamenti previsti hanno permesso la copertura di circa la metà dei loro crediti e tenuto conto che i crediti d’imposta originariamente riconosciuti coprivano solo il 10 per cento dei costi destinati all’attività di ricerca, cosicchè il loro venir meno non può avere avuto un’incidenza decisiva sul complessivo andamento economico delle imprese.

Quanto alla questione sollevata da questa Corte in via subordinata, premesso che, secondo il rimettente, la normativa era da censurare nella parte in cui prevedeva una procedura di ammissione al beneficio basata sul criterio cronologico di ricezione delle domande telematiche dei contribuenti, perchè il criterio selettivo è del tutto scollegato dal merito delle ragioni di credito e dalla solerzia del loro esercizio, la Corte Costituzionale l’ha ritenuta inammissibile, sottolineando che un eventuale suo accoglimento determinerebbe un assetto normativo caratterizzato da iniquità e irragionevolezza, perchè coloro che sono risultati vincitori nella procedura telematica non solo perderebbero il beneficio ottenuto ma non potrebbero neanche concorrere alla distribuzione del successivo finanziamento, previsto dalla L. n. 191 del 2009, art. 2, comma 236; finanziamento che è riservato ai “perdenti”.

Non avendo la ricorrente addotto argomenti nuovi a sostegno delle eccezioni di illegittimità costituzionale sollevate in questa sede riguardo alle stesse disposizioni di legge e in riferimento ai medesimi parametri costituzionali e profili, le questioni devono dunque ritenersi manifestamente infondate in riferimento ai parametri degli agli artt. 41,97 e 117 Cost., secondo quanto già osservato da questa Corte con l’ordinanza interlocutoria n. 3576 del 2015, e inammissibili nel resto, in riferimento al parametro dell’art. 3 Cost., costituendo mera riproposizione di questioni di legittimità costituzionale sulla quale si è già espresso il Giudice delle leggi nei termini sopra indicati.

3. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), la contraddittorietà e illogicità della motivazione circa un fatto controverso e risolutivo per la definizione del giudizio.

La Eurotermo s.p.a. lamenta, in particolare, che la CTR, pur avendo affermato che la L. n. 296 del 2006 aveva attribuito alle imprese un diritto soggettivo “perfetto” alla fruizione del credito d’imposta, ha poi ritenuto legittimo il diniego del nulla-osta emesso dal Centro operativo di Pescara sul presupposto che esso non riguarderebbe l’esistenza del diritto, ma la sua fruibilità, rinviata nel tempo per carenza di fondi.

Il motivo non è fondato.

La CTR non ha reso una motivazione contraddittoria o illogica in quanto ha spiegato che il D.L. n. 185 del 1998, perseguendo l’obiettivo di “fare fronte ad una gravissima crisi dell’economia internazionale”, non ha inciso sulla spettanza del diritto al credito di imposta, ma ha piuttosto introdotto un limite alla fruizione di quel diritto che trova proprio giustificazione nell’esigenza di non poter assumere oneri finanziari in assenza della necessaria copertura, dovendosi, appunto, fare fronte alla grave situazione economica in atto.

4. Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 3, per non avere la CTR censurato l’applicazione retroattiva del D.L. n. 185 del 2008, art. 29, che ha introdotto un tetto massimo per la fruibilità del credito d’imposta con effetto anche per i crediti maturati anteriormente.

Il motivo non è fondato.

La L. n. 212 del 2000, art. 3, comma 1, primo periodo, prevede che, “(s)alvo quanto previsto dall’art. 1, comma 2, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo”.

Tuttavia, questa Corte, con riguardo all’efficacia delle norme tributarie nel tempo, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 3 – il quale ha codificato nella materia fiscale il principio generale di irretroattività delle leggi stabilito dall’art. 12 delle disp. gen. – ha statuito che deve escludersi l’applicazione retroattiva delle medesime salvo che questa sia espressamente prevista (Cass., 09/12/2009, n. 25722).

Peraltro, le disposizioni dello statuto dei diritti del contribuente (L. n. 212 del 20000) costituiscono meri criteri guida per il giudice, in sede di applicazione e interpretazione delle norme tributarie, anche anteriormente vigenti, per risolvere eventuali dubbi ermeneutici, ma non hanno, nella gerarchia delle fonti, rango superiore alla legge ordinaria (essendone, invero, ammessa la modifica o la deroga, purchè espressa e non a opera di leggi speciali), con la conseguenza che una previsione legislativa che si ponga in contrasto con esse non è suscettibile di disapplicazione, nè può essere per ciò solo oggetto di questione di legittimità costituzionale, non potendo le disposizioni dello statuto fungere direttamente da norme parametro di costituzionalità (Cass., 28/02/2014, n. 4815).

5. Anche il quarto motivo, con il quale la ricorrente lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2 e dei principi comunitari in tema di legittimo affidamento, è infondato.

La CTR ha rilevato che la nuova normativa non viola il principio dell’affidamento, nè i principi comunitari di tutela del legittimo affidamento, in ragione della sussistenza di un superiore interesse dello Stato a far fronte alla grave crisi economica e a rispettare i parametri imposti dalla Comunità Europea, come successivamente sottolineato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 149 del 2017.

Sebbene i giudici regionali abbiano fornito un’interpretazione del principio del legittimo affidamento più restrittiva di quella seguita dalla Corte costituzionale e dalla Corte di giustizia – interpretazione secondo la quale esso non opera in relazione agli atti del legislatore, ma solo riguardo all’amministrazione, mentre, al contrario, il Giudice delle leggi e la Corte di giustizia ritengono che lo stesso principio coinvolga anche l’esercizio della funzione legislativa – tuttavia l’imprecisione diventa irrilevante nell’economia complessiva del giudizio, in quanto non solo la Corte costituzionale, ma anche la stessa Corte di giustizia, in alcune occasioni, hanno ammesso che l’applicazione del principio possa flettersi di fronte a interventi legislativi in presenza di situazioni particolari e a determinate condizioni.

Con riferimento alle materie regolate da norme Euro-unitarie, la Corte di giustizia, occupandosi della definizione del concetto di legittimo affidamento, ha affermato che, per quanto esso sia un principio fondamentale dell’ordinamento dell’Unione, non si traduce nell’aspettativa di intangibilità di una normativa, in particolare in settori in cui è necessario – e di conseguenza ragionevolmente prevedibile – che le norme in vigore vengano continuamente adeguate alle variazioni della congiuntura economica (Corte di giustizia, 23/11/1999, Repubblica portoghese, in causa C-149/96).

Di conseguenza, gli operatori economici non possono fare legittimo affidamento sulla conservazione di una situazione esistente che può essere modificata nell’ambito del potere discrezionale delle istituzioni comunitarie (Corte di giustizia, 15/07/1982, Edeka Zentrale AG, in causa C-245/81, punto 27; 28/10/1982, Offene Handelsgesellschaft in Firma Werner Faust, in causa C-52/81, punto 27; 17/06/1987, Coóperatieve Melkproducentenbedrijven Noord-Nederland BA (“Frico”) An Bord Bainne Ltd e l Wijffels BV, nelle cause riunite C424/85 e C-425/85, punto 33; 14/02/1990, Sociètè frangaise des Biscuits Delacre, Etablissements l Le Scao e Biscuiterie de l’Abbaye, in causa C-350/88, punto 33)

6. Il quinto motivo di ricorso, con il quale la ricorrente denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1 e della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, non è fondato.

Il provvedimento di diniego è stato adeguatamente motivato essendo stato indicato che il mancato rilascio del nulla-osta alla fruizione del credito di imposta è dipeso dall'”esaurimento delle risorse finanziarie”, fatto di per sè idoneo a giustificare e motivare la mancata attribuzione dell’agevolazione fiscale.

Inoltre, come posto in evidenza dai giudici regionali, “l’intera procedura è stata gestita da un programma informatico” e l’indicazione del giorno e dell’ora di arrivo della domanda ha consentito alla società ricorrente di verificare che non siano state accolte istanze inviate in epoca o in ora successiva all’inoltro della propria istanza.

7. Con il sesto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 2, nonchè della L. n. 241 del 1990, art. 21-octies.

Il motivo non è fondato.

La ricorrente lamenta che la CTR ha ritenuto che il diniego del nullaosta non dovesse indicare il responsabile del procedimento e sostiene che l’atto dell’amministrazione finanziaria privo di tale requisito -espressamente previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 2, – sarebbe annullabile per violazione di legge, a nulla rilevando che si sia trattato di una procedura telematica, atteso che la L. n. 241 del 1990, art. 21-octies, prevede che “è annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge”.

L’indicazione del responsabile del procedimento negli atti dell’amministrazione finanziaria non è richiesta dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, a pena di nullità, atteso che tale sanzione è stata introdotta dal D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, art. 36, comma 4-ter, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 febbraio 2008, n. 31, solo con riguardo alle cartelle di pagamento riferite a ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1 giugno 2008 (Cass., 12/05/2017, n. 11856).

Inoltre, il D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 4-ter, si riferisce espressamente alle cartelle di pagamento di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25, mentre nella specie si tratta di un provvedimento di diniego di agevolazione, e, quindi, di un atto di natura diversa.

Con riferimento alla dedotta violazione della L. n. 241 del 1990, art. 21-octies, va ribadito il principio secondo cui, in base a tale norma – la cui ratio va ravvisata nell’intento di sanare, con efficacia retroattiva, tutti gli eventuali vizi procedimentali non influenti sul diritto di difesa – va esclusa l’annullabilità di un provvedimento di natura vincolata, per la violazione delle norme del procedimento, in ragione dell’inidoneità dell’intervento dei soggetti cui è riconosciuto un interesse a interferire sul suo contenuto (Cass., Sez. U., 25/6/2009, n. 14878).

Nella fattispecie in esame, l’adottato provvedimento di diniego ha sicuramente natura vincolata e non discrezionale, considerato che il rilascio del nulla-osta dipendeva esclusivamente dalla disponibilità delle risorse economiche e dall’ordine cronologico di arrivo della domanda e non avrebbe, di conseguenza, potuto avere contenuto diverso da quello adottato.

8. In conclusione, il ricorso va integralmente respinto.

In considerazione della novità delle questioni trattate e dell’intervento della sentenza della Corte costituzionale in data successiva alla proposizione del ricorso, le spese del giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra le parti.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020

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