Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4410 del 23/02/2011

Cassazione civile sez. II, 23/02/2011, (ud. 03/02/2011, dep. 23/02/2011), n.4410

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sui ricorso (iscritto al N.R.G. 18381/05) proposto da:

T.M. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e

difeso, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv.

Bacchiega Mario ed elettivamente domiciliato presso lo studio

dell’Avv. Daniela Dal Bo, in Roma, v. G Belloni, 88;

– ricorrente –

contro

V.S.;

– intimato –

Avverso la sentenza del Giudice di pace di Rovigo n. 139/2005,

depositata il 21 febbraio 2005;

udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 3

febbraio 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito l’Avv. Lorenzo Fascione, per delega dell’Avv. Mario Bacchiega,

nell’interesse del ricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. GOLIA Aurelio che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A seguito di opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 98/2003 proposta da V.S. nei confronti di T.M. (iscritta al N.R.G.729/2003), il giudice di pace di Rovigo, con sentenza n. 139 del 2005 (depositata il 21 febbraio 2005), dichiarava, ai sensi dell’art. 113 c.p.c., comma 2, l’opponente tenuto a corrispondere all’opposto (quale creditore ingiungente) la somma di Euro 450,00, a saldo per l’acquisto di un porta blindata installata in data (OMISSIS), compensando parzialmente le spese processuali.

Avverso la predetta sentenza, notificata il 9 giugno 2005, proponeva ricorso per cassazione il T.M. (notificato il 4 luglio 2005 e depositato il 21 luglio 2005) fondato su un unico motivo relativo alla deduzione del difetto assoluto di potestà giurisdizionale, sul presupposto che il giudice di pace che aveva trattato e deciso la controversia, dr. M.G., dopo aver preso possesso in prima nomina in data 3 aprile 2000 (in forza del D.M. 27 marzo 2000), decadendo dalle proprie funzioni il 3 aprile 2004, per poi essere successivamente riconfermato nelle stesse il 26 aprile 2004 (in virtù di D.M. 21 aprile 2004), aveva continuato ad esercitare illegittimamente le sue funzioni anche nell’intervallo temporale tra il 3 aprile 2004 e il 26 aprile 2004, procedendo nella prosecuzione dell’istruzione della causa definita con la sentenza impugnata e, in particolare, tenendo l’udienza del 5 aprile 2004 nel corso della quale aveva respinto una richiesta di rimessione in termini del difensore del T. per la produzione di documenti.

Alla stregua di tanto, chiedeva a questa Corte di dichiarare nullo o annullabile l’intero procedimento n. 729/2003 e, conseguentemente, dichiarare, altresì, nulla o annullabile la sentenza impugnata.

L’intimato V.S. non si è costituito in questa fase.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo formulato il ricorrente – per come desumibile anche dalla riportata narrativa – ha dedotto il vizio di nullità del procedimento (iscritto al N. R.G. 729/03) celebratosi dinanzi al giudice di pace di Rovigo, dr. M.G., e la conseguente nullità della sentenza emessa al suo esito per il difetto di “potestas iudicandi” in capo allo stesso giudice nell’intervallo temporale – durante il quale aveva continuato ad esercitare l’attività giurisdizionale (tenendo udienza con emanazione di provvedimenti giudiziari comportanti il mancato accoglimento di istanze formulate nell’interesse dell’attuale ricorrente) – intercorso tra la scadenza del suo primo mandato quadriennale (3 aprile 2004) e l’inizio dell’esercizio (26 aprile 2004) delle funzioni giurisdizionali relative al secondo mandato per il quale era stato riconfermato.

1.1. Il motivo (fatto valere anche in rapporto all’art. 161 c.p.c., comma 1 e da ritenersi ammissibile ancorchè proposto avverso sentenza del giudice di pace emessa secondo equità, ai sensi dell’art. 113 c.p.c., comma 2 nei regime anteriore alle modifiche di cui al d. Igs. 2 febbraio 2006, n. 40, siccome riguardante la deduzione di un vizio processuale: cfr, per tutte, Cass., S.U., 14 gennaio 2009, n. 564, e Cass., sez. 2, 13 maggio 2010, n. 11638), è fondato e deve, pertanto, essere accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata.

1.2. Innanzitutto, è opportuno premettere l’illustrazione di alcune considerazioni sulla disciplina ordinamentale che riguarda la figura e lo “status” del giudice di pace.

Il quadro normativo primario concernente la procedura nomina e quella di conferma dei giudici di pace è costituito dalla L. 21 novembre 1991, n. 374, artt. 4 bis, 5 e 7 nonchè dalla L. 13 febbraio 2001, n. 48, art. 20, relativamente alla conferma straordinaria una tantum.

Queste disposizioni normative (a cui vanno aggiunte ulteriori fonti di carattere secondario, come le circolari del Consiglio Superiore della Magistratura; cfr., ad es., in tema, la circolare C.S.M. 30 luglio 2002) delineano il percorso procedimentale diretto ad individuare i requisiti sostanziali che devono essere posseduti dagli aspiranti alla nomina ed alla conferma. In particolare, il procedimento di conferma risulta essenzialmente strutturato nei seguenti passaggi:

1) domanda dell’aspirante alla conferma;

2) acquisizione del giudizio di idoneità all’esercizio delle funzioni reso dal Consiglio Giudiziario in composizione integrata;

3) deliberazione del C.S.M., costitutiva dell’effetto giuridico e vincolante rispetto al successivo decreto ministeriale (cfr. Cons. Stato, sez. 4, 22 marzo 2005, n. 1144; Cons. Stato, sez. 4, 24 agosto 2004, n. 8480);

4) decreto del Ministro della Giustizia, che esterna la volontà provvedimentale del C.S.M. in materia di status dei magistrati. Al riguardo si evidenzia che, ancora oggi, la nomina e la conferma dei giudici di pace quali magistrati onorari competono, invero, al Ministro ai sensi della L. n. 374 del 1991, art. 4 bis, comma 1, (cfr. Cons. Stato, sez. 4, 6 novembre 2007, n. 5729).

Con riferimento ai requisiti soggettivi, l’assetto normativo richiamato prevede che: 1) il candidato, non solo all’atto della nomina ma anche alla conferma, possieda doti di indipendenza, equilibrio e prestigio desunte dall’esperienza giuridica e culturale tali da renderlo degno di assolvere le funzioni di giudice onorario (cfr., Cons. Stato, sez. 3, 23 gennaio 2001, n. 2073);

2) tali doti vengano accertate dal C.S.M. essenzialmente attraverso l’acquisizione dei pareri redatti dai capi degli uffici di Tribunale e di Procura, nonchè dal Coordinatore dei giudici di pace;

3) l’idoneità alle funzioni, requisito necessario autonomo ai fini della conferma, sia oggetto specifico del parere reso dal Consiglio giudiziario e venga accertato sulla scorta dell’esame a campione delle sentenze e dei verbali d’udienza, nonchè della quantità statistica del lavoro svolto.

La citata L. n. 374 del 1991, art. 5, comma 3, specifica che la nomina deve in particolare cadere “su persone capaci di assolvere degnamente per l’indipendenza e prestigio acquisito … le funzioni di magistrato onorario”. Da tale contesto può, quindi, desumersi che anche l’indipendenza ed il prestigio propri dell’incarico devono annoverarsi tra i requisiti per la nomina dei magistrati onorari, costituendo un connotato imprescindibile per chi eserciti funzioni giurisdizionali, e non potendo restringersi i requisiti stessi ai soli elementi elencati al comma 1 della stessa norma (attinenti al possesso della cittadinanza italiana e del titolo di studio, alla mancanza di precedenti penali, alla idoneità fisica e psichica, al possesso di un’età compresa tra i 30 e i 70 anni, alla cessazione dell’esercizio di qualsiasi attività lavorativa dipendente, al possesso del titolo di abilitazione all’esercizio della professione forense, escluse apposite eccezioni) (v. Cons. Stato , sez. IV, 16 luglio 2007, n. 4017).

Proprio perchè la valutazione di merito del C.S.M. diretta al conferimento o alla conferma nell’incarico di giudice di pace non è limitata all’accertamento di requisiti formali, ma è volta appunto, sulla scorta di un’ampia discrezionalità, a verificare le capacità del candidato, il suo grado di indipendenza e prestigio, nonchè la sua preparazione professionale, essa rimane censurabile ab externo unicamente nei limiti della manifesta abnormità ed illogicità oltre che per il travisamento dei fatti (cfr. Cons. Stato, sez. 4, 28 gennaio 2008, n. 270).

Nell’ambito della giurisprudenza amministrativa si è anche chiarito che il diniego consiliare di conferma nell’incarico di pace non ha, peraltro, natura disciplinare, e può, perciò, prescindere dalla verifica di imputabilità soggettiva degli specifici fatti negativi ascritti all’interessato (cfr. Cons. Stato, sez. 4, 14 aprile 2006, n. 2126; Cons. Stato, sez. 3, 23 gennaio 2001, n. 2073). Dovendo istituzionalmente prevenire ogni situazione pregiudizievole per la funzione da affidare, il C.S.M. può dunque tenere conto di ogni elemento suscettibile di determinare una effettiva ripercussione sfavorevole sull’immagine del magistrato onorano: in tale ottica il diniego di conferma non richiede dunque la prova piena dell’avvenuta compromissione del bene tutelato, trattandosi di strumento utilizzabile anche quando il prestigio dell’Ufficio sia soltanto messo in pericolo.

Alla stregua delle riportate argomentazioni si evince che il provvedimento di conferma nell’incarico di giudice di pace non si riduce ad una mera presa d’atto dell’esistenza dell’originaria nomina ed al semplice riscontro del servizio prestato e della mancanza di cause ostative al prosieguo dell’incarico stesso; al contrario, la conferma nell’incarico rappresenta l’atto finale di un vero e proprio nuovo procedimento paraconcorsuale (v., in tal senso, Cons. Stato, sez. 4, 29 gennaio 2008, n. 270, cit), che non ha alcun legame con l’originario provvedimento di nomina e non ne costituisce, pertanto, la prosecuzione, salva la priorità concessa dalla legge all’esame delle domande degli aspiranti alla medesima conferma (e quindi al nuovo conferimento dell’incarico) rispetto a quelle di coloro che non potevano valutare un precedente incarico in atto. Sebbene i giudici di pace confermati continuino a svolgere senza apparente soluzione di continuità le loro funzioni presso le stesse sedi, essi sono infatti tenuti a presentare le domande per ottenere nuovamente l’incarico e vengono – come posto in risalto – sottoposti ogni volta a nuova valutazione circa il possesso dei menzionati requisiti soggettivi ed oggettivi previsti dalla L. 21 novembre 1991, art. 5 (cfr. Cons. Stato, sez. 4, 12 luglio 2007, n. 3970). In sostanza, il giudice di pace dura in carica quattro anni ma, al termine de quadriennio, ha facoltà di richiedere di essere confermato per un uguale periodo. Al termine del secondo quadriennio egli può ancora essere confermato per un ultimo quadriennio, sicchè la durata ordinaria massima dell’incarico si può protrarre per dodici anni. A tal fine, il giudice di pace è tenuto a presentare, almeno sei mesi prima della scadenza dell’incarico quadriennale, domanda di conferma diretta al C.S.M. e al Presidente della Corte di appello nel cui Distretto è compreso l’ufficio per il quale la conferma è richiesta. Durante l’esame dell’istanza la sede dell’aspirante alla conferma non si considera affatto vacante, così spiegandosi la disposizione contenuta in apposita circolare del C.S.M. (del 1 agosto 2002, n. 15880/2002) secondo la quale le domande di conferma devono essere valutate con priorità rispetto alle domande di ammissione al tirocinio e di trasferimento ad altro ufficio. Alla domanda segue un periodo di istruttoria da parte del Consiglio giudiziario distrettuale, all’esito del quale lo stesso organo rende il parere e lo trasmette al C.S.M., che verifica, in funzione della conferma, la permanenza dei requisiti fondamentali utili ai fini della nomina. In caso di positivo accertamento, il provvedimento di conferma, assunto dal “plenum” del C.S.M. è recepito in decreto del Ministro della Giustizia. E’ possibile che vi sia, per patologici e non infrequenti ritardi nel procedimento di conferma, un’interruzione tra la fine di un quadriennio e l’inizio del successivo. In tali casi, se questo percorso procedimentale si conclude favorevolmente al giudice di pace, egli permane nel diritto di esercitare il quadriennio in modo completo, sicchè il computo del nuovo periodo si effettua a far data dalla sua nuova presa di possesso sulla base del decreto ministeriale di conferma che – per quanto precedentemente evidenziato – ha efficacia costitutiva in relazione alla prosecuzione dell’incarico.

Da ciò consegue che nell’intervallo tra un quadriennio e l’altro, nelle more del procedimento di conferma, deve considerarsi illegittimo l’esercizio di qualsiasi attività giurisdizionale da parte del giudice di pace fino a quando non sia sopravvenuta la nuova immissione in possesso sulla scorta dell’intervenuta emissione del menzionato decreto ministeriale (al quale non può riconoscersi alcun effetto retroattivo).

1.3. Orbene, alla luce delle precedenti complessive considerazioni, è indiscutibile che il dr. M. – quale giudice di pace assegnatario del procedimento al quale si riferisce la sentenza impugnata, il cui primo incarico quadriennale era scaduto il 3 aprile 2004 e che si era immesso nuovamente, per il secondo mandato, nell’esercizio delle funzioni (presso lo stesso ufficio) il 26 aprile 2004 in forza del D.M. di conferma 21 aprile 2004 (per quanto desumibile dagli acquisiti attestati provenienti dalla segreteria amministrativa e dall’Ufficio del Presidente del Tribunale di Rovigo) – abbia esercitato, senza la necessaria investitura della relativa funzione, l’attività giurisdizionale durante l’intervallo intercorrente tra la fine del primo quadriennio e l’inizio del secondo, celebrando, in particolare, l’udienza del 5 aprile 2004, in cui non si era limitato ad un mero differimento dell’udienza, ma aveva provveduto su specifiche istanze istruttorie delle parti, ivi inclusa una richiesta (respingendola) dell’attuale ricorrente diretta all’ottenimento di una rimessione in termini ai sensi dell’art. 184 bis c.p.c., all’epoca applicabile.

Così agendo (senza, perciò, astenersi dall’esercizio delle funzioni giurisdizionali in attesa della riconferma nell’incarico e della nuova presa di possesso dell’ufficio, periodo nel quale avrebbe dovuto informare il giudice di pace coordinatore – od anche il competente Presidente del Tribunale – di tale impossibilità al fine dell’adozione degli eventuali provvedimenti organizzativi del ruolo a lui assegnato), il dr. M. ha esercitato un’attività giurisdizionale in senso proprio in difetto della titolarità dell’inerente funzione, in tal modo ponendo in essere un’attività affetta da una nullità di tipo extraformale assoluta. In altri termini, l’esercizio della funzione in carenza totale di potestà giurisdizionale ha determinato la configurazione di una nullità radicale del procedimento dal quel momento in cui l’attività processuale è stata svolta “a non iudice”, come tale inidonea “ex se” al raggiungimento dello scopo e rilevatale d’ufficio, oltre ad essere deducibile come motivo di impugnazione (come è, in effetti, avvenuto nella specifica fattispecie). Tale nullità – ricollegabile (v., ad es. Cass., S.U., 17 marzo 2004, n. 5414, relativa all’ipotesi della partecipazione alla decisione di un magistrato privo della “potestas iudicandi” per ragioni inerenti alla sua qualità o nomina), sul piano del regime giuridico, a quella derivante dalla costituzione del giudice (prevista dall’art. 158 c.p.c.), in quanto riconducibile alla mancanza del requisito di esistenza del potere esercitato (imputabile, invero, a soggetto privo della legittimazione funzionale secondo l’ordinamento giudiziario e, quindi, temporaneamente estraneo a quest’ultimo) – è, perciò, incasellarle nella categoria delle nullità extraformali assolute ed insanabili (salvo il giudicato). Ad essa si applica il principio dell’estensione di cui all’art. 159 c.p.c., comma 1 (cfr, per riferimenti, Cass., sez. 3, 3 dicembre 2007, n. 25185) riferito agli atti successivi dipendenti e, quindi, anche alla sentenza, quale provvedimento affetto da nullità derivata in conseguenza di una presupposta attività processuale viziata alla quale deve ritenersi inscindibilmente connessa e su cui la sentenza stessa si è basata per la definizione della controversia, senza, perciò, che assuma alcun rilievo la circostanza che il giudice di pace, nel momento in cui ebbe ad emettere la sentenza stessa, si era nuovamente immesso nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali a seguito della sopravvenuta conferma nell’incarico per il successivo quadriennio.

1.4. In definitiva, in dipendenza delle esposte ragioni (e del principio di diritto enucleabile in base al quale il giudice di pace che esercita le funzioni giurisdizionali dopo la scadenza del mandato e nelle more della riconferma prima della nuova immissione in possesso per l’espletamento del successivo incarico pone in essere un’attività giurisdizionale in carenza di “potestas iudicandi” che produce la nullità assoluta del procedimento, la quale si estende alla sentenza conseguente), si deve pervenire all’accoglimento del ricorso, da cui deriva la cassazione della sentenza impugnata con rinvio all’ufficio del giudice di pace di Rovigo, in persona di altro magistrato, il quale provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, al Giudice di pace di Rovigo, in persona di altro magistrato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione civile, il 3 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2011

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