Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4410 del 18/02/2021

Cassazione civile sez. lav., 18/02/2021, (ud. 27/10/2020, dep. 18/02/2021), n.4410

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Presidente –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6410-2019 proposto da:

D.M.L., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato ERIC DELLA VALLE;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ALBA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA FILIPPO NICOLAI n. 70, presso lo studio

dell’avvocato LUCA GABRIELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato

MARCO BARILATI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 692/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 19/12/2018 R.G.N. 675/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/10/2020 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ STEFANO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato GRAZIA TIBERIA POMPONI, per delega verbale Avvocato

ERIC DELLA VALLE;

udito l’Avvocato LUCA GABRIELLI per delega verbale Avvocato MARCO

BARILATI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso al Tribunale di Asti, proposto ai sensi dell’art. 1, comma 47 e segg., L. n. 92 del 2012, D.M.L. impugnava il licenziamento disciplinare intimatole in data 30.3.2016 dal datore di lavoro Comune di Alba, e chiedeva, previa declaratoria di illegittimità del recesso e della sua nullità in quanto ritorsivo e/o discriminatorio e/o vessatorio, la condanna del Comune a reintegrarla nel posto di lavoro e a risarcirle il danno.

All’esito della fase sommaria, nel contraddittorio con la parte convenuta, il Tribunale di Asti rigettava le domande attoree.

Avverso l’ordinanza parte ricorrente proponeva opposizione, che veniva respinta dal Tribunale con sentenza n. 67/2018.

2. Il ricorso in appello era dichiarato inammissibile dalla Corte d’appello di Torino per mancato rispetto del termine di trenta giorni previsto dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58.

Premetteva la Corte territoriale che, nonostante l’intestazione dell’atto introduttivo (ricorso in appellò), l’impugnazione avesse natura di reclamo ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58, (e tale era stata qualificata anche nel decreto presidenziale di assegnazione e fissazione dell’udienza), in quanto avente ad oggetto la sentenza resa all’esito della fase di opposizione nell’ambito del giudizio di primo grado svoltosi nelle forme del rito speciale previsto dalla legge citata.

Quanto alla eccezione di parte ricorrente secondo cui erroneamente il primo grado di giudizio si era svolto con il rito speciale ex L. n. 92 del 2012, con la conseguenza che la sentenza resa all’esito di detto giudizio doveva intendersi come resa all’esito di un giudizio ordinario ed i termini per l’impugnazione dovevano essere quelli ordinari e non quelli brevi stabiliti per tale particolare rito, valorizzava la circostanza che la stessa lavoratrice aveva espressamente qualificato il ricorso introduttivo come “L. n. 92 del 2012, ex art. 1, commi 1, 2 e 3 e commi 46-48”, salvo chiedere di mutare il rito all’udienza del 25.10.2017, nel corso del giudizio di opposizione, motivando detta richiesta con la finalità di consentire l’applicazione della tutela prevista dalla L. n. 300 del 1970, art. 18.

In ogni caso aggiungeva che, quand’anche il giudizio di primo grado si fosse stato celebrato, come sostenuto dalla difesa della lavoratrice, con un rito diverso da quello che avrebbe dovuto correttamente essere applicato, l’impugnazione avrebbe comunque dovuto essere proposta nelle forme del rito seguito in primo grado.

Rilevava che il Giudice di prime cure aveva diffusamente motivato sull’applicabilità del rito speciale ex L. n. 92 del 2012, sicchè l’adozione di detto rito (o meglio, il rigetto dell’istanza di parte ricorrente di mutamento del rito originariamente da lei stessa scelto) appariva evidentemente collegata ad una consapevole scelta.

Evidenziava che dal contenuto del fascicolo telematico di primo grado si evinceva che la cancelleria del Tribunale aveva effettuato la comunicazione della sentenza a mezzo p.e.c. alla reclamante mediante messaggio regolarmente pervenuto nella casella di posta del difensore costituito in data 26.3.2018 (data della ricevuta di avvenuta consegna) e aggiungeva che non era stata sollevata alcuna eccezione sulla regolarità di detta comunicazione.

In conseguenza, alla data del deposito del reclamo (21.9.2018), il termine di trenta giorni previsto dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58, era ampiamente decorso.

2. Per la cassazione della sentenza D.M.L. ha proposto ricorso con due motivi.

3. Il Comune di Alba ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo (sub A) la ricorrente denuncia nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4.

Censura la sentenza impugnata per essere incorsa in plurimi vizi procedimentali.

Assume che il destino della causa è stato erroneamente determinato dal decreto presidenziale di assegnazione e fissazione dell’udienza contenente l’arbitraria qualificazione come reclamo del ricorso proposto dalla D..

Deduce l’erroneità del provvedimento di rigetto dell’istanza di mutamento del rito e sostiene che il processo doveva proseguire nelle forme ordinarie.

Richiama il principio dell’apparenza e sostiene che, in concreto, nel giudizio innanzi al Tribunale era stata del tutto disattesa la particolare celerità nella definizione del procedimento introdotta dalla L. n. 92 del 2012, art. 1 attestandosi, di fatto, il giudizio, nei tempi e nelle modalità di svolgimento, come un normale giudizio ordinario.

2. Con il secondo motivo (sub B) la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (L. n. 92 del 2012, artt. 414 c.p.c. e ss.).

Ripropone le censure di cui al primo motivo come violazione di legge.

3. Al successivo punto sub C la ricorrente reitera i motivi di appello inerenti il merito della controversia sui quali non vi è stata pronuncia alcuna.

4. I due motivi di ricorso, da trattare congiuntamente in ragione della loro connessione logico-giuridica, sono infondati.

Si evince dalla sentenza impugnata che il ricorso introduttivo del giudizio è stato proposto innanzi al Tribunale di Asti, ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 47 e segg..

Del tutto coerente con tale ricorso è stata la successiva opposizione, respinta dal Tribunale con sentenza n. 67/2018.

Così avviato il giudizio secondo il rito Fornero non poteva che seguirne la prosecuzione nelle stesse forme, in ossequio al principio di ultrattività del rito.

L’accertamento di quali siano state le forme processuali in concreto adottate compete al giudice del merito, condizionando anche la valutazione sulla tempestività dell’impugnazione.

E’ stato da questa Corte ripetutamente affermato che l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile avverso un provvedimento giurisdizionale deve essere effettuata, per il principio dell’apparenza, sulla base della qualificazione dell’azione compiuta dal giudice, indipendentemente dalla sua esattezza, sicchè anche in caso di scelta erronea del rito, non corretta dal giudice attraverso ordinanza di mutamento del rito stesso, il giudizio deve proseguire in sede di impugnazione nelle forme adottate, quantunque erronee (si vedano in tal senso Cass. n. 28519/2019; Cass. n. 10463/2019; Cass. 29177/2018; Cass. 23052/2017; Cass. n. 25553/2016).

Ed allora non è meritevole di censura la decisione della Corte territoriale che, sul presupposto dell’avvenuta applicazione del rito speciale di cui alla L. n. 92 del 2012, qualificata l’impugnazione quale reclamo ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58, ed applicato il termine di trenta giorni previsto dalla medesima norma, decorrente dall’avvenuta comunicazione della sentenza del Tribunale (26.3.2018), ha ritenuto che tale reclamo, depositato in data 21.9.2018, fosse inammissibile per tardività.

5. Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.

6. A tale pronuncia consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello prescritto per il ricorso, ove dovuto a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.500,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2021

 

 

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