Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4410 del 10/02/2022

Cassazione civile sez. lav., 10/02/2022, (ud. 13/01/2022, dep. 10/02/2022), n.4410

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 37986-2019 proposto da:

D.A.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ODERISI DA

GUBBIO n. 31, presso lo studio dell’avvocato ASSUNTA BORZACCHIELLO,

rappresentato e difeso dall’avvocato MICHELE TRUPPI;

– ricorrente –

contro

VODAFONE ITALIA S.P.A. (già Vodafone Omnitel N.V.), in persona del

legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA VIRGILIO n. 8, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MUSTI, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCO TOFACCHI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 410/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 06/06/2019 R.G.N. 483/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/01/2022 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’Appello di Potenza, con sentenza n. 566 del 3 gennaio 2012, in accoglimento dell’appello proposto da D.A.C. nei confronti della Vodafone Italia Spa, dichiarò l’illegittimità sia del trasferimento del lavoratore disposto dalla società da Potenza a Pozzuoli sia del conseguente licenziamento intimato in data 12 gennaio 2005, ordinando la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro e nelle mansioni svolte o in altre equivalenti;

2. la società, in esecuzione del comando giudiziale, ripristinò il rapporto di lavoro con il D.A. presso la sede di Pescara a decorrere dal 23 luglio 2012;

3. con ricorso ex art. 414 c.p.c. il D.A. convenne innanzi al Tribunale di Pescara la società Vodafone per sentire accogliere le seguenti conclusioni: 1) dichiarare inefficace, nullo, comunque illegittimo l’impugnato “trasferimento” del ricorrente presso la sede della società convenuta in Pescara, anche previo accertamento e declaratoria, eventualmente pure in via incidentale, della mancata ottemperanza alla sentenza n. 566/2011 della Corte d’Appello di Potenza nonché dell’intervenuto demansionamento nella sede di destinazione del lavoratore; 2) per l’effetto, ordinare alla convenuta di reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro e nelle mansioni già svolte o in mansioni equivalenti presso la sede di Potenza; 3) in via subordinata, nell’eventualità che l’adito giudice avesse respinto le ragioni di invalidità del trasferimento, accertato e dichiarato l’intervenuto demansionamento (presso la sede di Pescara), dichiarare il diritto del ricorrente all’assegnazione alle mansioni da ultimo espletate nella sede di provenienza (Potenza) o in mansioni equipollenti ed ordinare alla società convenuta di provvedere immediatamente a detta assegnazione;

4. nelle more di tale giudizio, con sentenza n. 28791 del 30 novembre 2017, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza della Corte d’Appello di Potenza che aveva dichiarato l’illegittimità del trasferimento e del conseguente licenziamento del D.A.;

5. con sentenza del 6 giugno 2019, la Corte d’Appello di L’Aquila, in “parziale riforma” della pronuncia del Tribunale di Pescara che aveva dichiarato la cessazione della materia del contendere, ha dichiarato “il sopravvenuto difetto di interesse ad agire di D.A.C.”;

6. i giudici d’appello – in sintesi – hanno considerato che, con la Cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Potenza, era venuto meno “l’interesse dell’appellante ad ottenere una pronuncia (anche solo di accertamento)” che dichiarasse “la legittimità o meno delle modalità di attuazione della reintegra adottate dalla società appellata stante che una pronuncia sul punto non può prescindere dalla reintegrazione come disposta dalla sentenza, poi cassata, stante che la legittimità del primo trasferimento presso la sede di Pozzuoli e il successivo licenziamento sono tuttora sub judice”; secondo la Corte distrettuale pertanto “deve pronunciarsi sentenza di improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse ad agire dell’appellante con riguardo alle domande di accertamento della illegittimità del trasferimento presso la sede di Pescara e dell’intervenuto demansionamento con riassegnazioni delle mansioni da ultimo espletate nella sede di provenienza ovvero equivalenti (sia pure espunte delle correlate richieste reintegratorie) indipendentemente dall’originaria fondatezza o meno di dette domande”;

7. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il soccombente con unico articolato motivo; ha resistito controricorso la società intimata;

8. la proposta del relatore ex art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale; parte ricorrente ha formulato istanza di riunione con altro giudizio pendente e la società ha comunicato memoria;

9. con ordinanza interlocutoria n. 20730 del 20 luglio 2021, il Collegio della Sesta sezione civile – Lavoro di questa Corte ha disposto la trasmissione del procedimento alla corrispondente sezione ordinaria “per la valutazione in ordine alla eventuale trattazione congiunta o riunione col proc. R.G. n. 27369/2020”, avente ad oggetto la sentenza n. 207/2019 pronunciata dalla Corte di Appello di Potenza in seguito al rinvio disposto con la sentenza n. 28791/2017 di questa Corte;

10. la causa è stata fissata per la trattazione congiunta nella medesima adunanza camerale con il procedimento R.G. n. 27369/2020 tra le stesse parti, in prossimità della quale la società ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con l’unico motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., e dell’art. 100 c.p.c.; si lamenta che la Corte distrettuale abbia negato la persistenza di un interesse ad agire rispetto all’azione di accertamento della illegittimità del trasferimento e del demansionamento subito dal D.A. presso la sede di Pescara, nel periodo in cui vi era stato un effettivo ripristino del rapporto di lavoro in seguito all’ordine giudiziale, rispetto al quale non produceva effetto caducatorio il successivo annullamento del licenziamento e della reintegrazione; si deduce che l’interesse ad ottenere la pronuncia tendente a rimuovere uno stato di incertezza, anche dopo la sopravvenienza in corso di causa, era riconoscibile anche sulla base della esplicita riserva, formulata sin dall’atto introduttivo del giudizio, di proporre “azione, nei confronti della società datrice, anche di natura risarcitoria, conseguente pure alle domande (e relative pronunce) qui avanzate (“ricorso primo grado pag. 25”);

2. occorre preliminarmente disattendere le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla parte controricorrente in quanto la censura in esame non attiene ad una diversa ricostruzione dei fatti storici che hanno dato origine alla controversia, bensì allo svolgimento del processo, sicché non è neanche opponibile la preclusione da cd. “doppia conforme”;

ciò posto, il motivo è fondato nei sensi espressi dalla motivazione che segue;

opportuno rammentare che la fictio iuris in base alla quale la declaratoria di legittimità del licenziamento, a seguito della riforma della sentenza resa in prime cure, determina l’effetto della risoluzione ex tunc del rapporto di lavoro, non può valere a porre nel nulla l’eventuale condotta illecita tenuta dal datore di lavoro nell’arco temporale coincidente con il periodo in cui il rapporto è stato riattivato (cfr. Cass. n. 14637 del 2016, secondo cui il demansionamento del lavoratore, temporaneamente riammesso in servizio a seguito di pronuncia dichiarativa dell’illegittimità del licenziamento, costituisce fatto illecito suscettibile di tutela risarcitoria anche quando la pronuncia venga successivamente riformata in sede di gravame);

ciò premesso, requisiti per l’attribuzione alla parte del potere di agire in giudizio sono la concretezza e l’attualità dell’interesse di cui all’art. 100 c.p.c., a presidio di un uso responsabile del processo (Cass. n. 16626 del 2016); necessaria presenza, dunque, della possibilità di conseguire un risultato concretamente rilevante, non altrimenti ottenibile se non mediante il processo e l’intervento necessario di un giudice; la concretezza dell’interesse all’agire processuale è misurata dall’idoneità del provvedimento richiesto a soddisfare l’interesse sostanziale protetto, da cui il primo muove, e in tale aspetto l’interesse ad agire è manifestazione del principio di economia processuale; nella medesima prospettiva si pone la risalente e ricorrente affermazione dell’indispensabilità di un interesse attuale, coordinato ad una posizione giuridica già sorta in capo all’interessato e tale che la sua effettiva esistenza escluda il carattere meramente potenziale della lesione, onde evitare che la tutela venga richiesta in vista di situazioni future o meramente ipotetiche (cfr., ex plurimis, Cass. n. 487 del 1980; Cass. n. 6177 del 1985; Cass. n. 1897 del 1988; Cass. n. 10062 del 1998; Cass. n. 13293 del 1999; Cass. n. 5635 del 2002; Cass. n. 24434 del 2007);

avuto poi riguardo alle azioni di mero accertamento, secondo un cospicuo orientamento (tra le altre: Cass. n. 12893 del 2015; Cass. n. 16262 del 2015; Cass. n. 24653 del 2015; Cass. n. 13556 del 2008; Cass. n. 17026 del 2006; Cass. n. 4496 del 2008), il requisito dell’attualità dell’interesse ad agire viene temperato, essendo difficile negare che la certezza giuridica sia un bene cui ogni parte possa aspirare, sempre con il limite dell’inammissibilità di azioni autonome di mero accertamento di fatti giuridicamente rilevanti, perché solo l’intera fattispecie, una volta perfezionatasi, può nella sua interezza costituire oggetto di accertamento (ex alias, Cass. n. 10039 del 2002; più di recente: Cass. n. 2051 del 2011; Cass. n. 18511 del 2017);

e’ pacifico, poi, che l’interesse ad agire, in quanto condizione dell’azione, deve sussistere sino al momento della decisione (cfr. fra le tante Cass. n. 6130 del 2018; Cass. n. 11204 del 2017; Cass. SS.UU. n. 25278 del 2006), per cui vanno apprezzati anche i fatti sopravvenuti all’esercizio dell’azione o alla proposizione del gravame, che possono determinare il venir meno dell’interesse, pur originariamente sussistente, ogniqualvolta, a fronte del mutato contesto fattuale e giuridico, la pronuncia o la sua rimozione sarebbero improduttive di conseguenze (da ultimo: Cass. n. 20250 del 2020);

tuttavia, questa Corte ha già affermato che, qualora l’attore abbia chiesto l’accertamento di un diritto e la conseguente condanna del convenuto ad un fare, la circostanza che nel corso del giudizio sia divenuta impossibile l’esecuzione della prestazione non determina la cessazione della materia del contendere né fa estinguere l’interesse ad agire (Cass. n. 28100 del 2017; Cass. n. 23476 del 2010);

più specificamente è stato affermato che, nel caso in cui il lavoratore richieda l’accertamento dell’illegittimità della destinazione ad altre mansioni e del diritto alla conservazione di quelle in precedenza svolte, costituendo il suddetto accertamento la premessa logica e giuridica per ulteriori domande di tipo risarcitorio, l’interesse ad ottenere la pronuncia permane anche dopo l’estinzione del rapporto di lavoro (vedi Cass. n. 12844 del 2003; Cass. n. 9808 del 2006); l’estinzione del rapporto di lavoro, pertanto, può incidere soltanto sull’eventuale domanda di condanna alla reintegrazione nelle mansioni svolte in precedenza, risultando estinta la relativa obbligazione del datore di lavoro a far data dalla cessazione del rapporto di lavoro, fermo restando l’accertamento che tale obbligo sussisteva fino al verificarsi del detto evento, accertamento in relazione al quale resta inalterato l’interesse ad agire (Cass. n. 19009 del 2010);

ciò posto, non può negarsi il perdurante interesse del D.A. ad ottenere non l’accertamento di un mero fatto bensì una pronuncia che accerti se gli atti compiuti dalla Vodafone Italia Spa, quale datore di lavoro, successivamente all’ordine giudiziale contenuto nella sentenza della Corte di Appello di Potenza e prima della caducazione della stessa siano o meno lesivi di diritti soggettivi del lavoratore, anche in considerazione della esplicita riserva di azione di risarcimento del danno contenuta nell’atto introduttivo del giudizio che, proprio per il suo carattere di “riserva”, non rendeva necessarie ulteriori specificazioni;

il verificare, poi, se tali illeciti denunciati si fossero consumati o meno è – questa sì – questione di merito successiva, erroneamente preclusa dalla decisione della Corte di Appello che ha dichiarato, in limine litis, il sopravvenuto difetto di interesse ad agire;

3. conclusivamente il ricorso deve essere accolto, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio al giudice indicato in dispositivo che si uniformerà a quanto statuito e provvederà anche a liquidare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di L’Aquila, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 13 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2022

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