Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 441 del 13/01/2021

Cassazione civile sez. lav., 13/01/2021, (ud. 15/10/2020, dep. 13/01/2021), n.441

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Presidente –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25324-2013 proposto da:

A.G., + ALTRI OMESSI, tutti elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA DI PIETRALATA 320, presso lo studio dell’avvocato

GIGLIOLA MAZZA RICCI, rappresentati e difesi dagli avvocati

ELISABETTA MERLINO, FRANCESCO ORECCHIONI;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia

ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– controricorrente –

nonchè contro

DIREZIONE DIDATTICA V CIRCOLO CHIETI;

– intimata –

avverso la sentenza n. 810/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 25/07/2013 R.G.N. 217/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/10/2020 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. i ricorrenti, appartenenti all’area del personale amministrativo tecnico ed ausiliario della scuola, avevano convenuto in giudizio il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e la Direzione Didattica V Circolo di Chieti chiedendo il riconoscimento a fini economici dell’anzianità di servizio maturata alle dipendenze dell’ente locale prima del trasferimento nei ruoli del Ministero, disposto ai sensi della L. 3 maggio 1999, n. 124;

2. il Tribunale adito aveva accolto la domanda ma la sentenza era stata riformata dalla Corte di Appello di L’Aquila, che aveva posto a fondamento della decisione la norma, definita dal legislatore di interpretazione autentica, dettata dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, della quale la Corte Costituzionale aveva escluso l’incostituzionalità;

3. con sentenza n. 25118/2011 questa Corte, ricostruiti i termini della vicenda relativa al trasferimento nei ruoli dello Stato del personale ATA degli enti locali, ha richiamato la pronuncia della Corte di Giustizia del 6 settembre 2011 in causa C – 108/10, e, in accoglimento del ricorso, ha cassato la sentenza gravata, rinviando alla stessa Corte territoriale in diversa composizione per un nuovo esame, finalizzato a “verificare la sussistenza o meno di un peggioramento retributivo sostanziale all’atto del trasferimento”;

4. la sentenza rescindente, in consonanza con i principi affermati dalla Corte di Giustizia, ha indicato i criteri in base ai quali siffatto accertamento avrebbe dovuto essere effettuato ed ha precisato che: a) quanto ai soggetti la cui posizione va comparata, il confronto è con le condizioni immediatamente antecedenti al trasferimento dello stesso lavoratore trasferito e non ostano eventuali disparità con i lavoratori che all’atto del trasferimento erano già in servizio presso il cessionario; b) quanto alle modalità, si deve trattare di peggioramento retributivo sostanziale e la comparazione deve essere globale e, quindi, non limitata allo specifico istituto; c) quanto al momento da prendere in considerazione, il confronto deve essere fatto all’atto del trasferimento;

5. il giudizio di rinvio è stato definito dalla Corte di Appello di L’Aquila con la sentenza qui impugnata che ha ritenuto infondate le originarie domande proposte dai ricorrenti;

6. la Corte territoriale ha premesso che la sentenza rescindente non aveva accertato in via definitiva il diritto dei ricorrenti al riconoscimento integrale dell’anzianità di servizio, ma aveva solo evidenziato, richiamando la statuizione della Corte di Giustizia, che la mancata valorizzazione della pregressa anzianità sarebbe stata illegittima qualora avesse comportato un peggioramento retributivo sostanziale;

7. il giudice del rinvio ha escluso detto peggioramento, evidenziando che i ricorrenti nè con l’originario atto introduttivo nè in sede di riassunzione (“che in sostanza si riferisce al trattamento retributivo che sarebbe loro spettato presso il cessionario se fosse stata loro riconosciuta l’anzianità maturata presso il cedente”) avevano dedotto di avere subito un decremento retributivo, decremento che, comunque, andava escluso sia perchè non provato sia in quanto impedito dal mantenimento del livello retributivo anteriore al trasferimento, garantito attraverso l’assegno ad personam;

8. per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso i dipendenti indicati in epigrafe sulla base di tre motivi, ai quali il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha resistito con tempestivo controricorso;

9. non sono state depositate memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 384 c.p.c. perchè la Corte territoriale non poteva rifiutarsi di effettuare l’accertamento richiesto dalla sentenza rescindente, ritenendolo non attinente alla causa petendi della domanda proposta;

così ragionando il Giudice del rinvio ha di fatto disapplicato la sentenza di legittimità, incorrendo nella violazione della norma richiamata in rubrica, in quanto “se la causa petendi non avesse avuto alcuna attinenza con la sentenza della Giustizia Europea il Giudice di legittimità avrebbe rigettato il ricorso”;

2. il secondo ed il terzo motivo denunciano “violazione art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione alla sentenza della CEE del 6.9.2011 C-108/10 Scattolon”;

evidenziano i ricorrenti che il personale ATA dipendente dagli enti locali godeva di una serie di istituti, quali l’incentivo presenza, il livello economico differenziato, l’indennità ex art. 36 c.c.n.l., non previsti dal contratto del comparto scuola;

2.1. aggiungono i ricorrenti che la perdita di detto trattamento accessorio doveva essere compensata dal riconoscimento integrale della anzianità che, infatti, la L. n. 124 del 1999 aveva previsto;

2.2. rilevano, infine, che il peggioramento retributivo, emergente dagli atti, doveva essere ritenuto sostanziale, anche se limitato a qualche decina di Euro al mese, non avendo la Corte di Giustizia richiesto che il decremento fosse anche importante o rilevante;

3. il primo motivo è inammissibile perchè, nell’addebitare alla sentenza impugnata la violazione dell’art. 384 c.p.c., non coglie pienamente la ratio della decisione e, quindi, svolge considerazioni prive della necessaria specifica attinenza al decisum (cfr. fra le tante Cass. n. 20910/2017);

3.1. il richiamo alla causa petendi della domanda è stato fatto dalla Corte territoriale non già per sostenere l’erroneità del principio di diritto affermato dalla sentenza rescindente, bensì per evidenziare, da un lato, che il peggioramento non poteva essere desunto dalla comparazione con il trattamento retributivo che il personale ATA avrebbe percepito in caso di integrale riconoscimento dell’anzianità di servizio, dall’altro che una diminuzione della retribuzione, rilevante ai fini dell’accertamento richiesto, non era mai stata allegata dagli originari ricorrenti nè con l’atto introduttivo del giudizio nè con il ricorso in riassunzione;

3.2. si aggiunga che questa Corte, nel respingere ricorsi analoghi proposti avverso decisioni della medesima Corte territoriale, ha evidenziato che la mancata decisione nel merito da parte del giudice di legittimità, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, pur in una situazione in cui non siano necessari ulteriori accertamenti in fatto, non vizia nè pregiudica il giudizio di rinvio nel senso che ben può il giudice di rinvio, apprezzando le risultanze di causa, ritenere che non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto e decidere il merito della causa senza dare corso ad alcuna attività istruttoria ulteriore (Cass. nn. 24932, 23257, 22610, 22517, 22516, 22515, 22514, 22012 e 22011 del 26 maggio 2015; il principio è stato poi ribadito con le ordinanze nn. 7980, 7566, 7311, 7056, 6604 del 2018 ed ancora con le decisioni nn. 7609, 8213, 8413, 9480 del 2019; si veda anche Cass. n. 6344 del 2019 sulla necessità per la parte di allegare un peggioramento che tenesse conto dei principi affermati dalla Corte di Giustizia e dalla sentenza rescindente);

4. diversamente da quanto si sostiene nel ricorso, la Corte territoriale nella definizione della controversia ha tenuto conto dei principi affermati e dei criteri indicati nella sentenza rescindente ed ha compiuto l’accertamento demandato, rilevando innanzitutto che gli attuali ricorrenti non avevano mai dedotto di avere subito, per effetto del trasferimento nei ruoli del Ministero, un decremento della retribuzione, avendo solo allegato di avere diritto ad un inquadramento stipendiale più elevato rispetto a quello riconosciuto al momento del passaggio;

5. il giudice del rinvio, rilevato che difettava la prova del peggioramento retributivo sostanziale subito dai lavoratori all’atto del trasferimento ed evidenziato che nel ricorso in riassunzione non erano state indicate altre forme o ragioni di pregiudizio economico, ha ritenuto, in piena conformità con i principi ed i criteri contenuti nella sentenza rescindente, che il mancato riconoscimento integrale dell’anzianità di servizio ai fini dell’applicazione degli istituti previsti dal c.c.n.l. per il comparto della scuola non integra di per sè “il peggioramento retributivo vietato dalla Direttiva 77/187 CEE, che in tanto può sussistere in quanto si dimostri che la retribuzione goduta presso l’ente di provenienza debba considerarsi superiore a quella riconosciuta presso l’Ente di destinazione”;

6. oltre a ciò, osserva il Collegio che il secondo ed il terzo motivo di ricorso contengono ancora il riferimento a voci retributive asseritamente fisse e continuative percepite prima e non ricevute dopo il trasferimento, con prospettazione già disattesa dalla pregressa sentenza rescindente sul presupposto dell’irrilevanza di tale questione, importando soltanto il verificarsi o meno di un peggioramento retributivo sostanziale in occasione di tale trasferimento;

6.1 d’altra parte la Suprema Corte ha demandato al giudice del rinvio di accertare un dato relazionale e concreto, ovverosia se, di fatto, i trattamenti retributivi, nel loro effettivo ammontare, prima e dopo il trasferimento, fossero diseguali e quindi il richiamo dei ricorrenti a determinati istituti retributivi riconosciuti prima e non attribuiti dopo è in sè sterile ed incoerente con i principi della sentenza rescindente, perchè quello che conta non sono le singole voci retributive, ma il confronto tra i complessivi valori ante e post trasferimento, in quanto discendenti da poste fisse e continuative;

7. la censura formulata con il secondo ed il terzo motivo, nella parte in cui invece assume che “dagli atti di causa è emerso che i ricorrenti hanno effettivamente subito un peggioramento retributivo”, è parimenti inammissibile, perchè attiene all’accertamento di merito ed esorbita dai limiti del controllo consentito in sede di legittimità dall’art. 360 c.p.c., n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, applicabile ratione temporis in quanto la sentenza impugnata è stata pubblicata il 25 luglio 2013;

7.1. il richiamato art. 360 c.p.c., n. 5, nella formulazione attuale, non riguarda la motivazione della sentenza ma concerne, invece, l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia;

7.2. l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti;

7.3. il motivo, quindi, è validamente formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 solo qualora il ricorrente indichi il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività;

7.4. dette condizioni non ricorrono nella fattispecie perchè i ricorrenti si limitano a sostenere che il peggioramento, escluso dalla Corte territoriale, sarebbe stato dimostrato attraverso la produzione documentale, della quale, tra l’altro, in violazione dell’onere di specificazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, non è neppure riportato nel ricorso il contenuto;

8. non è di per sè rilevante il richiamo agli istituti contrattuali previsti dal c.c.n.l. per il personale del comparto degli enti locali perchè, come evidenziato nello storico di lite, la sentenza rescindente ha chiarito, in sintonia con i principi affermati dalla Corte di Giustizia, che il confronto doveva essere globale e non riguardare isolatamente le componenti del trattamento fondamentale o accessorio;

9. sulla scorta delle considerazioni che precedono il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna ex art. 91 c.p.c. dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;

10. ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass., Sez. Un., n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del Miur, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 15 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021

 

 

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