Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4409 del 10/02/2022
Cassazione civile sez. lav., 10/02/2022, (ud. 19/01/2022, dep. 10/02/2022), n.4409
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 19125-2019 proposto da:
C.C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUIGI
CAPUANA n. 10, presso lo studio dell’avvocato SILVIA FRIGGI,
rappresentato e difeso dagli avvocati VINCENZO SANSOBRINO, ANTONIO
VOCE;
– ricorrente principale –
contro
POLIGRAFICI EDITORIALE S.P.A., in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO GRAMSCI
n. 14, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO HERNANDEZ, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO ALVARO;
– controricorrente – ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 357/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,
depositata il 24/04/2019 R.G.N. 97/2019;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
19/01/2022 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
MUCCI ROBERTO che ha concluso per accoglimento del secondo motivo
del ricorso principale, con assorbimento dei rimanenti motivi;
rigetto del primo motivo del ricorso incidentale, con assorbimento
dei rimanenti motivi;
udito l’Avvocato VINCENZO SANSOBRINO;
udito l’Avvocato GABRIELE GATTI per delega verbale Avvocato FRANCESCO
ALVARO.
Fatto
1. Con sentenza 24 aprile 2019, la Corte d’appello di Firenze rigettava il reclamo principale di C.C.F. e incidentale di Poligrafici Editoriale s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che, in esito a rito Fornero, aveva: confermato l’ordinanza dello stesso Tribunale, opposta dal lavoratore, di risoluzione del rapporto di lavoro subordinato tra le parti (per effetto del licenziamento intimatogli per giusta causa dalla società datrice con lettera (OMISSIS), a seguito di tre contestazioni disciplinari) e di condanna della medesima al pagamento, in favore del dipendente, dell’indennità risarcitoria prevista dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5, commisurata a diciotto mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto (pari alla somma di Euro 45.893,88), oltre accessori; inoltre condannato la società al pagamento della somma di Euro 13.730,94 oltre accessori, a titolo di recupero delle somme trattenute dalla stessa al lavoratore in busta paga, essendone venuta meno la ragione disciplinare e dell’indennità di mancato preavviso, in misura di nove mensilità (domande proposte dal lavoratore con l’atto di opposizione).
2. Ribadita l’esclusione della natura né ritorsiva, né discriminatoria del licenziamento intimato per giusta causa, la Corte territoriale condivideva la statuizione del primo giudice, ritenendo: non sussistenti, in esito ad argomentato scrutinio delle risultanze istruttorie, le due contestazioni (la prima, con lettera (OMISSIS); la terza, con lettera (OMISSIS)) relative ad articoli pubblicati dal predetto, giornalista,
sull’edizione di Firenze Città Metropolitana “(OMISSIS)”, contenenti gravi anomalie ed alcuni riguardanti fatti neppure denunciati; integrata invece la seconda contestazione datoriale (con lettera (OMISSIS)), di omessa rivelazione delle fonti di acquisizione delle notizie e dei fatti oggetto degli articoli, non giustificata dal diritto di riservatezza opponibile ai terzi ma non all’editore, né dall’inesistenza di un obbligo di cooperazione dell’incolpato nel procedimento disciplinare, per la collocazione della contestazione a monte di esso.
3. Essa stimava pertanto corretta, indiscussa la sussistenza del fatto contestato, la tutela indennitaria applicata dal Tribunale, pure congrua nella commisurazione e parimenti spettante al giornalista, dipendente inquadrato come corrispondente, l’indennità di preavviso.
4. Con atto notificato il 14 giugno 2019, il lavoratore ricorreva per cassazione con quattro motivi, cui la società resisteva con controricorso, contenente ricorso incidentale con tre motivi.
5. Il P.G. rassegnava conclusioni scritte, a norma del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, inserito da L. conv. n. 176 del 2020, nel senso dell’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale e assorbimento degli altri e del rigetto dell’incidentale.
6. Entrambe le parti comunicavano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Nel rispetto dell’ordine logico-giuridico delle questioni poste, occorre avviare l’esame dal ricorso incidentale della società datrice.
Con il primo motivo, essa deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2727,2729,2697 c.c., degli artt. 115,116 c.p.c., della L. n. 604 del 1966, art. 5, per erronea esclusione della rilevanza di ben sei (su ventotto) articoli, contestati come non veritieri, rimasti privi di riscontro, nell’impossibilità datoriale di fornire una prova diretta, ben attingibile in via presuntiva dai complessivi esiti istruttori e dal comportamento del giornalista.
2. Esso è inammissibile.
3. Non sussiste la violazione di norme di diritto solo apparentemente denunciata, in quanto non integrata dalla deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge, implicante un problema interpretativo; posto che, nel caso di specie, si tratta piuttosto dell’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340), ovviamente nei limiti del novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qui non ricorrente in assenza di un fatto storico, vertendo le censure sulla contestazione della valutazione delle risultanze istruttorie (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053). E ciò, in riferimento tanto alle norme sostanziali sulla prova (Cass. 4 agosto 2017, n. 19485; Cass. 16 novembre 2018, n. 29635; Cass. 13 febbraio 2020, n. 3541), tanto a quelle in rito sul ragionamento probatorio, non essendo dedotto, in riferimento all’art. 115 c.p.c., l’errore di percezione che cada sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, in contrasto con il divieto di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte (Cass. 12 aprile 2017, n. 9356); né ricorrendo una pertinente denuncia di violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale), idonea ad integrare il vizio di error in procedendo, solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero all’opposto valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (Cass. 10 giugno 2016, n. 11892): riservate, in ogni caso, al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, con la conseguenza che è insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto ad un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice (Cass. 28 gennaio 2004, n. 1554; Cass. 10 giugno 2014, n. 13054)
3.1. Il motivo si risolve pertanto nella contestazione della valutazione probatoria alla base dell’accertamento operato dalla Corte territoriale, adeguatamente argomentato, insindacabile da questa Corte (Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 4 novembre 2013, n. 24679), pure sollecitando nella sostanza una rivalutazione critica nel merito, indeferibile in sede di legittimità.
4. Con il secondo, essa deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., per erronea esclusione della giusta causa, nonostante la gravità della condotta del lavoratore incolpato, nelle sue componenti oggettive e soggettive, avendola esclusa la Corte territoriale sulla fondatezza (delle tre contestazioni) della seconda sola, tale da non giustificare la proporzionalità del licenziamento.
5. Anch’esso è inammissibile.
6. La censura non pone (come ancora recentemente ritenuto da: Cass. 10 luglio 2018, n. 18170) una questione sindacabile da questa Corte, sotto il profilo della falsa interpretazione di legge, in quanto relativa al giudizio applicativo di una norma cd. “elastica” (quale indubbiamente è la clausola generale della giusta causa), che indichi solo parametri generali e pertanto presupponga da parte del giudice un’attività di integrazione giuridica della norma, a cui sia data concretezza ai fini del suo adeguamento ad un determinato contesto storico – sociale: in tal caso ben potendo il giudice di legittimità censurare la sussunzione di uno specifico comportamento del lavoratore nell’ambito della giusta causa (piuttosto che del giustificato motivo di licenziamento), in relazione alla sua intrinseca lesività degli interessi del datore di lavoro (Cass. 18 gennaio 1999, n. 434; Cass. 22 ottobre 1998, n. 10514). La Corte di cassazione può, infatti, sindacare l’attività di integrazione del precetto normativo compiuta dal giudice di merito, a condizione che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza del predetto giudizio rispetto agli standards, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale (Cass. 26 aprile 2012, n. 6498; Cass. 2 marzo 2011, n. 5095).
6.1. Nel caso di specie, la ricorrente incidentale ha invece censurato l’apprezzamento in fatto della Corte territoriale, essendo insindacabile in sede di legittimità la valutazione di gravità della condotta, operata nella consapevolezza dello standard integrante la nozione di giusta causa (Cass. 6 settembre 2019, n. 22358), in base a congruo ragionamento argomentativo aderente alle circostanze accertate (al terz’ultimo capoverso di pag. 11, anche in riferimento all’ultimo capoverso, penultimo periodo di pag. 4 della sentenza)
6.2. Neppure, infine la Corte territoriale ha smentito il principio secondo cui, nell’ipotesi in cui il licenziamento per giusta causa venga intimato a fronte di più condotte inadempienti addebitate, non necessariamente l’esistenza della giusta causa debba essere ritenuta solo con riferimento al complesso dei fatti contestati, potendo ciascuno di essi essere idoneo a giustificare la massima sanzione espulsiva (Cass. 1062/2012, Cass. n. 12195/2014; Cass. 2 maggio 2019, n. 11539): con un accertamento in fatto insindacabile (al terz’ultimo capoverso di pag. 11 della sentenza), essa ha infatti escluso una tale idoneità.
7. Con il terzo motivo, la ricorrente incidentale deduce violazione e falsa applicazione del CCNL Giornalisti (Fieg – Fnsi), artt. 1, 2, 7, 12, 27, per erronea attribuzione dell’indennità di preavviso al lavoratore, non avendone egli diritto in quanto corrispondente, alla luce della sua qualificazione dal CCNL, art. 12, diversa da quella dei prestatori di attività giornalistica quotidiana con carattere di continuità e vincolo di dipendenza e dei collaboratori fissi, cui soli è riservata (per espresso richiamo del CCNL, artt. 1 e 2, ad essi relativo) l’indennità di mancato preavviso.
8. Esso è infondato.
9. Giova premettere che “nel caso in esame” (avente ad oggetto licenziamento intimato dalla società datrice a lavoratore subordinato) “non è in discussione che il C.C. fosse un dipendente della Poligrafici Editoriali” (ai primi due alinea di pag. 12 della sentenza).
9.1. E la qualifica di corrispondente (CCNL di lavoro giornalistico, art. 12, applicabile ratione temporis) rientra nella categoria del collaboratore fisso, ai sensi del CCNL Giornalisti, art. 2, come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 15 gennaio 2019, n. 839: p.to 7 in motivazione; Cass. s.u. 28 gennaio 2020, n. 1867: in particolare, ai p.ti 9.1, 9.2, 9.7 motivazione): sicché, al ricorrente principale spetta l’indennità di preavviso, correttamente riconosciuta dalla Corte territoriale (agli ultimi due capoversi pg. 11 sentenza).
10. Venendo ora al ricorso principale, con il primo motivo il lavoratore deduce omesso esame di un fatto decisivo ai fini del giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione alla collocazione, nella illustrata scansione del carteggio tra le parti a far data dalla (prima) contestazione disciplinare con lettera (OMISSIS), della mancata collaborazione contestata dalla società datrice con la lettera (OMISSIS), insieme con quella 1 luglio 2016, “all’interno” e non già “a monte” del procedimento disciplinare: con decisività della circostanza, per inesistenza di un tale obbligo dell’incolpato, pertanto inesigibile e non punibile se omesso.
11. Esso è inammissibile.
12. Ricorre nel caso di specie, l’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5, applicabile ratione temporis nella quale il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo dedotto ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774; Cass. 6 agosto 2019, n. 20994); ciò che non ha invece fatto il ricorrente.
12.1. In ogni caso, neppure si configura un “fatto storico” di cui sia stato omesso l’esame (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053), in difetto peraltro di una tale omissione, trattando piuttosto la censura di una rivisitazione critica della valutazione operata dalla Corte territoriale.
13. Con il secondo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost., comma 2, della L. n. 604 del 1966, art. 5, in combinato disposto con l’art. 7 1. 300/1970, per erronea esclusione di insussistenza del fatto contestato, sulla base di un’inversione dell’onere probatorio, a carico datoriale, in ordine alla dimostrazione di veridicità di fatti oggetto di articoli pubblicati, intesi piuttosto a valutare il comportamento del giornalista (nonostante l’assenza di azioni risarcitorie contro l’editore del giornale), non tenuto a rivelare la propria fonte confidenziale, in violazione del T.U. Giornalismo, art. 9, n. 5, e della facoltà di esercitare nel modo più opportuno il diritto di difesa, secondo il principio giurisprudenziale “nemo tenetur contra se edere”.
14. Con il terzo motivo, egli deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 69 del 1963, art. 2, per il presidio della libertà di informazione con la tutela del diritto del giornalista alla riservatezza della fonte, erroneamente ritenuta dalla Corte territoriale cedere a un dovere, inesistente, di cooperazione tra quegli e il suo editore, pur in assenza di una contestazione di terzi di infondatezza di una notizia.
15. Essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati.
16. Neppure qui si configura un vizio di sussunzione, essendo le violazioni di norme di diritto solo apparentemente denunciate, per le ragioni illustrate al superiore punto 3.
16.1. Neppure vi è stata un’inversione dell’onere della prova, a carico del datore di lavoro a norma della L. n. 604 del 1966, art. 5 (Cass. 7 febbraio 2011, n. 2988; Cass. 2016, n. 17108; Cass. 29 marzo 2018, n. 7830), posto che la società datrice ha allegato (con la lettera di contestazione (OMISSIS): dal quarto al nono alinea di pag. 4 della sentenza) e provato, come accertato dalla Corte territoriale sulla base degli elementi scrutinati (dal primo capoverso di pag. 10 al primo di pag. 11 della sentenza), l’inadempimento disciplinare del lavoratore, consistente nell’omessa indicazione delle fonti informative richieste per la verifica di veridicità degli articoli segnalati come relativi a fatti, pur gravi, non denunciati alle autorità e quindi di dubbio accadimento, in violazione dei canoni di correttezza e buona fede nell’esercizio della professione.
16.2. Sussiste pertanto la violazione della L. n. 63 del 1969, art. 2, comma 3, secondo cui “Giornalisti e editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse, e a promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi, la cooperazione fra giornalisti e editori, e la fiducia tra la stampa e i lettori”, a servizio del diritto insopprimibile dei giornalisti di libertà di informazione e di critica (citata L., art. 2, comma 1 e T.U. dei doveri del giornalista approvato il 27 gennaio 2016, art. 1), essendo anzi stabilito l’obbligo di “rispetta(re) il segreto professionale e da(re) notizia di tale circostanza nel caso in cui le fonti chiedano di rimanere riservate; in tutti gli altri casi” da “cita(re) sempre e tale obbligo persiste anche quando si usino materiali – testi, immagini, sonoro – delle agenzie, di altri mezzi d’informazione o dei social network” (citato T.U., art. 9, lett. e). Sicché, la citazione della fonte, in funzione di verificabile documentazione della notizia divulgata, costituisce la regola, che qualifica la serietà dell’esercizio della professione; la sua omissione invece l’eccezione (come puntualizzato anche dalla Corte fiorentina: al primo capoverso di pag. 11 della sentenza), non ricorrente nel caso di specie.
16.3. Appare pertanto inconferente la lamentata lesione del diritto di difesa e così pure ogni questione sull’obbligo di cooperazione dell’incolpato nel procedimento disciplinare (con correzione della motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u. c., sul punto: al secondo capoverso di pag. 11), rilevando l’inosservanza di un tale dovere quale inadempimento del canone deontologico suindicato, previsto dall’art. 2, comma 3 1. 63/1969, quale specificazione per i giornalisti del canone di correttezza e buona fede.
17. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 1, della L. n. 300 del 1970, art. 18, per la negazione della tutela reintegratoria, pure nella ricorrenza di un fatto contestato materialmente sussistente, ma privo del carattere di antigiuridicità per l’esercizio dal giornalista incolpato del diritto di difesa e di non rivelare le proprie fonti confidenziali, quale espressione della sua libertà di informazione e di critica.
18. Esso è assorbito dal ribadito, con il rigetto dei superiori motivi, carattere di antigiuridicità della condotta del giornalista, che esclude l’applicazione del novellato testo della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4 (Cass. 17 maggio 2018, n. 2102; Cass. 10 febbraio 2020, n. 3076).
19. Dalle argomentazioni sopra svolte discende allora il rigetto di entrambi i ricorsi, principale e incidentale, con la compensazione delle spese del giudizio tra le parti e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
PQM
La Corte:
rigetta entrambi i ricorsi e dichiara interamente compensate le spese del giudizio tra le parti.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2022