Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4408 del 23/02/2018


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Cassazione civile, sez. trib., 23/02/2018, (ud. 09/01/2018, dep.23/02/2018),  n. 4408

Fatto

FATTI DI CAUSA

Si legge nella sentenza impugnata che la s.p.a. Mirato aveva stipulato un contratto di compravendita di beni mobili con la s.r.l. Italbalcanica, alla quale aveva altresì concesso l’esclusiva per l’esportazione dei propri prodotti in Albania e alla quale aveva versato un prezzo corrispondente al 50% di quello di mercato.

Il restante 50% del valore di mercato sostanziava, secondo la società Mirato, il corrispettivo che essa si era impegnata a versare alla società albanese Rosiva a titolo di royalties per lo sfruttamento del proprio marchio in territorio albanese.

Il giudice d’appello, nel narrare i fatti, prosegue riferendo che in occasione di ogni fornitura la s.p.a. Mirato fatturava le merci ad Italbalcanica D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 8, comma 1, in forza di una dichiarazione d’intento e emetteva fatture nei confronti di Rosiva per royalties.

Al cospetto di queste operazioni l’Agenzia delle entrate, in relazione all’anno d’imposta 20031 ha contestato la natura della convenzione tra Mirato e Rosiva in ordine alle royalties, in quanto ha sostenuto che essa in realtà schermasse una cessione di beni e a tal fine ha escluso la rilevanza della dichiarazione d’intento inviata a Mirato da Italbalcanica, perchè proveniente da un soggetto terzo.

Ne è scaturito un avviso di accertamento, col quale l’Ufficio ha recuperato la relativa iva, che la società ha impugnato, ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale.

Di contro, quella regionale ha accolto l’appello dell’Ufficio.

Al riguardo, nel ricostruire i rapporti intercorsi tra le parti, il giudice d’appello ha esposto che è in virtù di un unico contratto, denominato “contratto di fornitura e di distribuzione in esclusiva”, che Mirato cedeva alle due società Italbalcanica e Rosiva, le quali dunque assumevano entrambe veste di acquirenti, le merci, ai fini della commercializzazione in Albania; e alle due acquirenti Mirato fatturava, cadauna, il 50% del prezzo normalmente applicato agli altri operatori.

Le merci, tuttavia, ha proseguito la Commissione tributaria regionale, risultavano consegnate in Italia, ad Italbalcanica, che le esportava poi in Albania, fruendo del regime di non imponibilità perchè esportatore abituale.

Nessun titolo per l’applicazione del regime di non imponibilità può, invece, vantare Rosiva, si legge nella sentenza, in mancanza di prova di qualsivoglia prestazione di servizi resi a Mirato; nè la società albanese si può giovare della dichiarazione d’intento emessa da Italbalcanica, che si riferisce ai rapporti tra questa a e Mirato.

Contro questa sentenza propone ricorso s.p.a. Mirato per ottenerne la cassazione, che articola in nove motivi e che illustra con memoria, cui reagisce la sola sede centrale dell’Agenzia.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero, estraneo al giudizio.

Nulla per le spese, in mancanza di attività difensiva.

2.- Il primo motivo di ricorso, col quale la società si duole, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, della nullità della sentenza e del processo, perchè la Commissione tributaria regionale avrebbe omesso di esaminare le domande o eccezioni concernenti l’inammissibilità dell’appello dell’Agenzia, è inammissibile.

L’inammissibilità sta nel fatto che il giudice d’appello ha dato conto in narrativa dell’avvenuta formulazione dell’eccezione, sicchè la pronuncia nel merito ne implica l’implicito rigetto, a fronte del quale non è configurabile il vizio di omessa pronuncia.

2.1.- Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. 4 ottobre 2011, n. 20311; conf., tra varie, 11 settembre 2015, n. 17956 e 28 luglio 2017, nn. 18827 e 18828).

3.- Infondati sono il secondo ed il terzo motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente perchè connessi, con i quali, rispettivamente la ricorrente:

– sebbene evochi in rubrica l’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, lamenta in realtà la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, perchè il giudice d’appello avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità del gravame, in quanto generico, fondato su assenza di motivi specifici e comunque precluso da giudicato interno (secondo motivo);

– ripropone la questione del giudicato interno, deducendo, anche in tal caso a dispetto del richiamo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, la violazione degli artt. 2697 e 2909 c.c., nonchè degli artt. 100,112 e 329 c.p.c. (terzo motivo).

La censura è anzitutto radicalmente contraddittoria là dove lamenta nel contempo la genericità dell’appello, che si sarebbe limitato “…di fatto, a riproporre le tesi sostenute nel primo grado di giudizio…” e la sua inammissibilità per novità dei motivi e dei fatti indicati.

3.1.- Comunque la lettura dell’avviso di accertamento e dell’appello, integralmente riprodotti in ricorso, evidenzia che la posizione dell’Ufficio è sempre stata la medesima, ossia incentrata sulla qualificazione del vincolo intercorso tra Mirato e Rosiva come cessione di beni e non già come prestazione di servizi, da ritenere interna e per conseguenza imponibile, in ragione dell’avvenuta consegna in Italia delle merci e del fatto che Rosiva non poteva giovarsi di alcun titolo di non imponibilità.

3.2.- E la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel sostenere che, in tema di contenzioso tributario, il carattere devolutivo pieno dell’appello comporti che esso non sia limitato al controllo di vizi specifici, ma sia rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito (tra varie, Cass., ord. 22 gennaio 2016, n. 1200).

3.3.- Quanto all’accezione di giudicato interno, che riguarda l’omessa impugnazione della statuizione di primo grado concernente l’assenza di prove della pretesa tributaria, basti il richiamo alla giurisprudenza, anch’essa consolidata, in base alla quale, ai fini della selezione delle questioni, di fatto o di diritto, suscettibili di devoluzione e, quindi, di giudicato interno se non censurate in appello, la locuzione “minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno” individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, ossia la statuizione che affermi l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico; sicchè sebbene ciascun elemento di detta sequenza possa essere oggetto di singolo motivo di appello, nondimeno l’impugnazione motivata anche in ordine ad uno solo di essi riapre la cognizione sull’intera statuizione (Cass., ord. 4 febbraio 2016, n. 2217 e ord. 16 maggio 2017, n. 12202).

Nel caso in esame l’appello proposto contro la qualificazione dell’operazione come svolta dal giudice di primo grado ha travolto anche la statuizione concernente la mancanza di prova della pretesa impositiva.

4.- Inammissibile è il quarto motivo di ricorso, col quale la società lamenta l’omessa motivazione della sentenza con riguardo all’eccepita inammissibilità dell’appello, in quanto scherma dietro la deduzione di un vizio di motivazione ancora la censura di violazione di legge già proposta con i due motivi precedenti.

5.- Infondato è il quinto motivo di ricorso, col quale la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., per il contrasto della sentenza impugnata con altra sentenza, divenuta cosa giudicata, con la quale la Commissione tributaria regionale del Piemonte ha risolto in senso opposto questioni scaturenti da un contratto identico oggetto del medesimo processo verbale di constatazione dal quale è derivata la pretesa impositiva della quale si discute.

Ciò perchè il giudicato riguarda altra società, che per quanto controllata, in base alla prospettazione offerta in ricorso dalla Mirato, comunque è terza; il che impedisce l’estensibilità del giudicato ad essa riferibile, per mancanza del presupposto dell’identità delle parti.

6.- Inammissibili sono poi il sesto e il settimo motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente perchè connessi, con i quali, rispettivamente, la società lamenta:

– ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1366 e 1367 c.c. nonchè del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7, comma 4, lett. d), per l’erronea ed incompleta interpretazione del contratto intercorso tra le parti, dovuta in particolare alla pretermissione della clausola 8, anche alla luce della condotta complessiva e successiva alla stipulazione di esso -sesto motivo;

– ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il vizio di motivazione, che risiede nell’aver ignorato la circostanza che la Mirato, lungi dall’aver ceduto le merci a Rosiva e a Italbalcanica per il 50% cadauna, le ha consegnate tutte alla seconda, perchè le esportasse in Albania e nell’aver pretermesso il contenuto delle fatture trascritte in ricorso -settimo motivo.

Anzitutto, quanto al profilo concernente la dedotta violazione delle regole ermeneutiche, il motivo non è congruente col contenuto della decisione impugnata, che per l’aspetto in questione non ha riguardo al contenuto del contratto, sibbene alla mancanza “…di ogni traccia di prova di prestazione di servizi”.

Prova, che concerne la fase successiva alla stipulazione del contratto, in quanto riguarda il concreto atteggiarsi del rapporto tra le parti.

6.1.- Anche le deduzioni di vizi di motivazione sono inammissibili:

– è inammissibile quella che fa leva sulla circostanza dell’avvenuta consegna di tutta la merce ad Italbalcanica, perchè di questa circostanza il giudice d’appello tiene conto per affermare la natura di cessioni interne tra Mirato ed Italbalcanica;

– è inammissibile quella che punta sul contenuto delle fatture, in quanto si traduce in un tentativo di rilettura delle risultanze processuali, inibito a questa Corte: il giudice d’appello ha esaminato le fatture ed ha valorizzato la dizione che in esse è riportata, anche in base a quanto si legge dalla loro trascrizione in ricorso, di “merce spedita a Italbalcanica s.r.l.”.

7.- Inammissibile è l’ottavo motivo di ricorso, col quale la società, sotto i profili della violazione di legge, specificamente degli artt. 2697 e 1414 c.c. e della deduzione del vizio di motivazione, impugna la sentenza sostenendo che essa si sia risolta nell’affermazione della fondatezza della pretesa dell’Ufficio in mancanza di prove.

Anzitutto, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, il giudice d’appello non mostra di dubitare che l’onere della prova spetti all’Ufficio; al contrario, egli sostiene che l’Ufficio, onerato di tale prova, l’abbia fornita, in base alla valutazione di contratto e fatture.

7.1.- Di qui la conseguenza che anche con questa censura la ricorrente prova a proporre la lettura che ritiene più consona.

8.- Fondato è, invece, l’ultimo motivo di ricorso, col quale si denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 e della L. n. 413 del 1991, art. 13.

8.1.- Il regime di non imponibilità delle operazioni all’esportazione fuori dell’Unione Europea risponde al principio dell’imposizione dei beni o dei servizi nel loro luogo di destinazione.

Ogni operazione all’esportazione non è imponibile, al fine di garantire che essa sia tassata esclusivamente nel luogo in cui i prodotti considerati saranno consumati (v., quanto all’art. 15 della sesta direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio, Corte giust. 18 ottobre 2007, Navicon, causa C-97/06, punto 29, e 22 dicembre 2010, Feltgen e Bacino Charter Company, causa C-116/10, punto 16, nonchè, quanto all’omologa disposizione contenuta nell’art. 146 della direttiva 2006/112, 29 giugno 2017, causa C-288/16, “Le.” IK c. Valsts iegmumu dienests, punto 18).

8.2.- Il regime di non imponibilità postula dunque che il potere di disporre del bene come proprietario sia stato trasmesso all’acquirente, che il fornitore provi che tale bene sia stato spedito

o trasportato in un altro Stato membro e che, in seguito a tale spedizione o trasporto, esso abbia lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di cessione (Corte giust. 6 settembre 2012, causa C-273/11, Mecsek-Gabona kft; 16 dicembre 2010, causa C430/09, Euro Tyre Holding; 27 settembre 2007, causa C-409/04, Teleos plc, punto 41; per la giurisprudenza interna, cfr. per tutte, sia pure con riguardo alle cessioni intracomunitarie, Cass. 21 aprile 2017, n. 10114).

8.3.- L’espressione “a cura” del cedente, contenuta nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, comma 1, lett. a), che traspone quella, corrispondente, “per suo conto”, contenuta nell’art. 15, comma 1, della sesta direttiva, e quella omologa contenuta nell’art. 146 della direttiva n. 2006/112, risponde difatti allo scopo di evitare operazioni fraudolente, le quali si verificherebbero se il cessionario nazionale potesse decidere di esportare i beni in un altro Stato, unionale o estero, autonomamente, ossia al di fuori di un preventivo regolamento contrattuale con il cedente.

8.4.- Per configurare una cessione di beni non imponibile, in definitiva, non è essenziale, come sostiene il giudice d’appello, che vi sia la prova che il trasporto all’estero sia avvenuto a cura e nome del cedente, quanto, piuttosto, che vi sia la prova che l’operazione, fin dalla sua origine e nella sua rappresentazione documentale, sia stata voluta come cessione nazionale in vista di trasporto a cessionario residente all’estero, nel senso che tale destinazione sia riferibile alla comune volontà degli originari contraenti (in termini, tra le più recenti, Cass. 17 luglio 2014, n. 16328; 25 giugno 2014, n. 14405; 26 ottobre 2011, n. 22233; 24 giugno 2011, n. 13951; 13 marzo 2009, n. 6114).

9.- Nel caso in esame, allora, anche nella prospettazione di fatto assunta dal giudice d’appello, la circostanza che la cessione di beni sia avvenuta in favore di un acquirente estero, che la cessione fosse funzionale alla “commercializzazione” dei prodotti in Albania e che Italbalcanica, alla quale la merce era consegnata “provvedeva poi all’esportazione in Albania” evidenzia l’erroneità della statuizione della sentenza impugnata, che ha escluso l’applicabilità del regime di non imponibilità perchè, da un lato, “l’esportazione in Albania non avviene in nome e per conto di Mirato” e, dall’altro, “il trasporto all’estero non è curato direttamente dall’acquirente non residente Rosiva”.

10.- La sentenza va in conseguenza per quest’aspetto cassata, con rinvio, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Piemonte in diversa composizione, che accerterà se sussistano i presupposti obiettivi dinanzi specificati alla sussistenza dei quali il legislatore unionale ancora il riconoscimento del regime di non imponibilità.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero; accoglie il nono motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Piemonte in diversa composizione.

Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2018

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