Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4408 del 18/02/2021

Cassazione civile sez. lav., 18/02/2021, (ud. 11/12/2019, dep. 18/02/2021), n.4408

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Presidente –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3602-2016 proposto da:

B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA POMPEO

MAGNO 94, presso lo studio dell’avvocato MAURO LONGO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29 presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

avvocati GIUSEPPE MATANO, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE, ESTER

ADA SCIPLINO, CARLA D’ALOISIO e ANTONINO SGROI;

– I.V.R.I. ISTITUTI VIGILANZA RIUNITI ITALIA S.P.A., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 20, presso lo studio dell’avvocato

NICOLA DOMENICO PETRACCA, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato CLAUDIO MORO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 7446/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 31/01/2015, R.G.N. 5498/2011.

 

Fatto

RILEVATO

che la Corte di Appello di Roma, con sentenza pubblicata in data 31.1.2015, ha respinto il gravame interposto da B.G., nei confronti della S.p.A. IVRI-Istituti di Vigilanza Riuniti d’Italia (nel contraddittorio anche dell’INPS e di Accadiesse S.p.A.), avverso la pronunzia del Tribunale della stessa sede n. 1152/2011, depositata il 20.5.2011, con la quale erano state respinte le domande del lavoratore dirette ad ottenere il pagamento di Euro 13.059,65 a titolo di lavoro straordinario per i “turni svolti dalle 6.00 alle 15.00 o dalle 15.00 alle 24.00 dal lunedì al venerdì”, di Euro 75.680,57 per le trasferte quotidiane da (OMISSIS) (luogo di residenza) a (OMISSIS) (luogo di lavoro) e di Euro 41.219,09 a titolo di risarcimento del danno biologico per l’ipertensione arteriosa e la sindrome ansioso-depressiva, insorte quali conseguenze dell’attività lavorativa svolta sin dal 1998;

che la Corte di merito, per quanto ancora di rilievo in questa sede, premesso che la legittimazione passiva spetta, nella fattispecie, alla sola IVRI S.p.A. (v. pag. 4 della sentenza impugnata), ha osservato che “la richiesta di pagamento di somme a titolo di lavoro straordinario non è fondata, in quanto la stessa in primo grado è stata formulata in termini di diritto alla maggiorazione per le ore prestate oltre la 40, laddove l’orario contrattuale per le mansioni di custodia di cui all’inquadramento del lavoratore è di 45 ore settimanali, che non risultano essere state superate; e la tesi che le mansioni fossero in realtà promiscue è stata formulata per la prima volta in appello”; ha, altresì, sottolineato che, “indipendentemente dal luogo di residenza del lavoratore, non ricorrono i presupposti per l’erogazione dell’indennità di trasferta, poichè il medesimo ha sempre prestato la propria attività presso l’aeroporto di (OMISSIS), mentre, secondo l’insegnamento consolidato della S.C., l’istituto della trasferta è caratterizzato dalla temporaneità dell’assegnazione del lavoratore medesimo ad una sede diversa da quella abituale…”; ed ha, infine, rilevato che “nel caso di specie non risulta alcuna allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, di nocività dell’ambiente di lavoro in relazione a patologie di natura notoriamente multifattoriale quali quelle lamentate”;

che per la cassazione della sentenza ricorre B.G. articolando tre motivi, cui resistono con controricorso la S.p.A. IVRI-Istituti di Vigilanza Riuniti d’Italia e l’INPS;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si censura: 1) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la violazione e falsa applicazione del R.D.L. n. 692 del 1923, art. 3 e del R.D. n. 2657 del 1923, e successive modifiche ed integrazioni, per esclusione della spettanza di maggiorazione per straordinario in relazione alle ore eccedenti la 40 settimanale, sull’erroneo rilievo del superamento di 45 ore settimanali, come da orario contrattuale per mansioni di custodia, senza alcun accertamento in ordine all’effettività delle mansioni svolte (vigilanza sulla regolarità della turnazione e controllo della fila dei taxi presso l’aeroporto di (OMISSIS)), prive del carattere di discontinuità o semplice attesa e, pertanto, non soggette a superiore orario settimanale; 2) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la violazione e falsa applicazione dell’art. 167 del CCNL del Terziario, perchè i giudici di seconda istanza avrebbero erroneamente ritenuto che al lavoratore non spettasse l’indennità di trasferta, “giustificando tale decisione con la mancanza del requisito della temporaneità per avere il B. prestato la propria attività sempre presso l’aeroporto di (OMISSIS) ed a nulla rilevando il luogo di residenza del lavoratore”, senza considerare che “il ricorrente era costretto, giornalmente, a recarsi sul posto di lavoro sito in (OMISSIS), distante numerosi chilometri dal proprio luogo di residenza e maturando così il diritto a percepire un indennizzo per i continui viaggi abituali ai sensi dell’art. 167 del CCNL Terziario”; 3) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, e si deduce che i giudici di appello avrebbero, “con argomentazioni errate e contraddittorie, affrontato in maniera del tutto illogica la questione concernente la richiesta del danno biologico derivante dalla prestazione lavorativa”, omettendo di considerare che “già solo il contenuto del ricorso introduttivo basterebbe a giustificare la richiesta di risarcimento avanzata dal ricorrente, avendo quest’ultimo analiticamente dedotto e documentato le patologie sofferte (ipertensione arteriosa, sindrome ansioso-depressiva), ma anche individuato la causa di esse nel tipo di attività lavorativa e nelle modalità del suo svolgimento”;

che il primo motivo – che, peraltro, censurando, all’evidenza, un errore di sussunzione, avrebbe dovuto essere proposto in riferimento all’art. 360 codice di rito, comma 1, n. 3 – è infondato, in quanto, come sottolineato dai giudici di secondo grado (v. primo capoverso del punto 7 di pag. 4 della sentenza impugnata), “la tesi che le mansioni fossero in realtà promiscue è stata formulata per la prima volta in appello ed è pertanto inammissibile quale domanda nuova a norma dell’art. 345 c.p.c.”; inoltre, l’attività delle guardie giurate non può ritenersi ontologicamente discontinua o di semplice attesa o custodia R.D.L. n. 692 del 1923, ex art. 3 sulla limitazione dell’orario di lavoro, con equiparazione a quella dei custodi e guardiani diurni e notturni, previsti ai nn. 1 e 2 della tabella ex R.D. n. 2657 del 1923 (di carattere tassativo: v. Cass. n. 10669/2004; Cass. n. 11732/2007), potendosi affermare la discontinuità delle loro mansioni solo se risultante da un accertamento in concreto, compiuto caso per caso (Cass. n. 24164/2015); infine, a carico del lavoratore, che chieda in via giudiziale il compenso per lavoro straordinario, grava un onere probatorio rigoroso, che esige il preliminare adempimento di quello di specifica allegazione del fatto costitutivo, senza che al mancato assolvimento di entrambi possa supplire la valutazione equitativa del giudice (v. Cass. n. 16150/2018), non risultante nel caso di specie;

che neppure il secondo motivo può essere accolto; al riguardo va rilevato che la censura (erroneamente sollevata in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anzichè in riferimento al n. 3 cit. articolo) investe l’esegesi dell’art. 167 del CCNL del Terziario (di cui non è neppure specificato l’anno), che non è stato prodotto, nè indicato nell’elenco dei documenti offerti in comunicazione unitamente al ricorso per cassazione, nè trascritto per intero, in violazione del principio (arg. ex art. 366, comma 1, n. 6 codice di rito), più volte ribadito da questa Corte, che definisce quale onere della parte ricorrente quello di indicare lo specifico atto precedente cui si riferisce, in modo tale da consentire alla Corte di legittimità di controllare ex actis la veridicità delle proprie asserzioni prima di esaminare il merito della questione (v., ex plurimis, Cass. n. 14541/2014). Il ricorso per cassazione deve, infatti, contenere tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed a consentire la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio a fonti esterne al ricorso e, quindi, ad elementi o atti concernenti il pregresso grado di giudizio di merito (cfr., tra le molte, Cass. nn. 10551/2016; 23675/2013; 1435/2013). Per la qual cosa, questa Corte non è stata messa in grado di poter apprezzare compiutamente la veridicità della doglianza svolta dal ricorrente;

che, peraltro, i giudici di seconda istanza sono pervenuti alla decisione oggetto del presente giudizio uniformandosi ai consolidati arresti giurisprudenziali della Suprema Corte nella materia, del tutto condivisi da questo Collegio, che non ravvisa ragioni per discostarsene – ed ai quali, ai sensi dell’art. 118 Disp. att. c.p.c., fa espresso richiamo (cfr., in particolare e tra le molte, Cass. nn. 12648/2019; 4837/2013; 24658/2008; 8136/2008) -, secondo cui il diritto all’indennità di trasferta presuppone che il lavoratore venga solo temporaneamente comandato a prestare la propria opera in un luogo diverso da quello in cui deve abitualmente eseguirla, essendo la nozione di “trasferta” caratterizzata dalla temporaneità del mutamento del luogo di esecuzione della prestazione, non rilevando nè la sede aziendale, nè la residenza del lavoratore e neppure l’esistenza di una dipendenza aziendale nel luogo di esecuzione della prestazione; ipotesi che, nella fattispecie, non si è concretizzata, in quanto, come innanzi riferito, il B. ha sempre prestato la propria opera presso l’aeroporto di (OMISSIS); che il terzo motivo non è meritevole di accoglimento, in quanto non si configura alcuna omissione di fatti decisivi da parte della Corte territoriale, la quale ha, invece, correttamente e condivisibilmente, rilevato, sempre in linea con la consolidata giurisprudenza di questa Corte, che è necessario individuare un effetto della violazione su di un determinato bene perchè possa configurarsi un danno e possa poi procedersi alla liquidazione (eventualmente anche in via equitativa) del danno stesso. Al riguardo, il Giudice delle leggi ha chiarito (v. sent. n. 372/1994) che neppure il danno biologico è presunto, perchè se la prova della lesione costituisce anche la prova dell’esistenza del danno, occorre tuttavia la prova ulteriore dell’esistenza dell’entità del danno, ossia la dimostrazione che la lesione ha prodotto una perdita di tipo analogo a quello indicato dall’art. 1223 c.c., costituita dalla diminuzione o privazione di un valore personale (non patrimoniale) alla quale il risarcimento deve essere commisurato. Nello stesso senso, questa Corte ha sottolineato che le allegazioni che devono accompagnare la proposizione di una domanda risarcitoria non possono essere limitate alla prospettazione di una condotta datoriale colpevole, produttiva di danni nella sfera giuridica del lavoratore, ma devono includere anche la descrizione delle lesioni, patrimoniali e non patrimoniali, prodotte da tale condotta, dovendo il ricorrente mettere la controparte in condizione di conoscere quali pregiudizi vengono imputati al suo comportamento, a prescindere dalla loro esatta quantificazione e dall’assolvimento di ogni onere probatorio al riguardo (v., ex multis, Cass. nn. 5590/2016; 691/2012). Grava, quindi, sul lavoratore l’onere di provare l’esistenza del danno lamentato, la natura e le caratteristiche del pregiudizio subito, nonchè il relativo nesso causale con l’inadempimento del datore di lavoro (cfr., tra le altre, Cass. nn. 2886/2014; 11527/2013; 14158/2011; 29832/2008). La qual cosa, nel caso di specie non è avvenuta, in quanto i giudici di merito hanno sottolineato che manca qualunque elemento delibatorio nel ricorso introduttivo del giudizio a sostegno delle pretese del ricorrente; nè quest’ultimo, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, ha prodotto documentazione che potesse dimostrare il contrario;

che, per tutte le considerazioni svolte, il ricorso va rigettato;

che le spese, liquidate come in dispositivo, in favore delle parti controricorrenti, seguono la soccombenza;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, secondo quanto specificato in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore delle parti controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate per ciascuna in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 11 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2021

 

 

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