Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4408 del 10/02/2022

Cassazione civile sez. lav., 10/02/2022, (ud. 13/01/2022, dep. 10/02/2022), n.4408

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35661-2018 proposto da:

R.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

PASTEUR, 49, presso lo studio dell’avvocato GIORGIA FALZONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIAMPAOLO BARONE;

– ricorrente –

contro

TRENITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. STOPPANI N. 34 presso lo

studio dell’avvocato CARLO MOLAIOLI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

A.N.S.F. – AGENZIA NAZIONALE PER LA SICUREZZA DELLE FERROVIE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 357/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 22/06/2018 R.G.N. 404/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/01/2022 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte di Appello di Firenze, con la sentenza impugnata, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato il diritto di R.M. ad essere inquadrato da Trenitalia Spa, a decorrere dal 1 luglio 2010, nel livello professionale C-direttivi come “esperto”, secondo il CCNL attività ferroviarie 16.4.2003, e ad essere inquadrato da parte dell’Agenza Nazionale per la Sicurezza delle Ferrovie, presso cui era transitato a decorrere dal 1 ottobre 2012, nella categoria “funzionari”, posizione economica C1, secondo la contrattazione collettiva per il personale non dirigente ENAC;

2. la Corte, pur riconoscendo l’espletamento di mansioni superiori rispetto all’inquadramento formalmente attribuito dalla datrice di lavoro, ha tuttavia negato – per quanto qui ancora rileva – la riconducibilità dei compiti svolti dal R. all’inquadramento nei livelli Quadri A o, subordinatamente, B, pure richiesti dal lavoratore; infatti, la Corte territoriale, richiamato il procedimento giuridico trifasico diretto alla determinazione dell’esatto inquadramento di un lavoratore subordinato, ha esaminato le declaratorie contrattuali collettive applicabili nella fattispecie ed i compiti svolti concretamente dal ricorrente; ha, quindi, escluso che questi avesse “alcuna autonomia nella decisione finale circa il rilascio dei provvedimenti autorizzativi o di diniego o anche solo circa le eventuali integrazioni della documentazione allegata alle istanze di autorizzazione alla messa in servizio del materiale rotabile”; secondo la Corte “la funzione svolta dall’Ing. R. era sicuramente propositiva e consultiva, ma mai decisionale”, perché “la responsabilità di valutazione complessiva sul procedimento rimaneva infatti in capo al dirigente del settore, unico legittimato alla firma del documento in uscita”; dai descritti elementi di fatto, in rapporto con le declaratorie contrattuali, la Corte ha tratto il convincimento che le attività del R. non fossero ascrivibili agli ulteriori livelli superiori rivendicati;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il R. con 2 motivi, illustrati da breve memoria; ha resistito con controricorso Trenitalia Spa; non ha svolto attività difensiva l’A.N.S.F..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo si denuncia: “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la Corte d’Appello ritenuto infondate le domande di accertamento e di condanna formulate in tesi e ipotesi omettendo di dar corretto atto delle risultanze processuali”; si critica la sentenza impugnata perché “la Corte, nello sviluppo della parte motiva, a cominciare dalla pagina 4 terzo capoverso, liquida con poche battute il merito della controversia, utilizzando del corposo materiale istruttorio acquisito in primo grado ed esaminato dettagliatamente dal Tribunale solo pochi e scarni elementi”;

2. la censura è inammissibile;

la stessa, pur formulata invocando l’art. 360 c.p.c., n. 5, non tiene in adeguato conto che le Sezioni unite di questa Corte (Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014) hanno espresso su tale norma i seguenti principi di diritto (principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici): a) la disposizione deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; b) il nuovo testo introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia); c) l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie; d) la parte ricorrente deve indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso;

il motivo in esame risulta irrispettoso di tali enunciati, traducendosi nella sostanza in un diverso convincimento rispetto a quello espresso dai giudici del merito nella valutazione del materiale probatorio, come è conclamato dal riferimento, nell’illustrazione del motivo, a testimonianze e documenti; anzi, la stessa articolazione della censura esclude che ci si possa trovare in un caso nel quale il giudice di merito abbia omesso l’esame di un fatto decisivo, lamentando piuttosto il ricorrente esclusivamente la non compiuta giustificazione motivazionale da parte dei giudici d’appello nel negare i superiori livelli di inquadramento rivendicati;

3. il secondo motivo di ricorso denuncia: “violazione degli artt. 1362,1363 c.c., e del CCNL Settore delle Attività Ferroviarie 16 aprile 2003, art. 21, e del CCNL della Mobilità, art. 27, Area contrattuale “Attività Ferroviarie” (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in relazione alla seconda parte della sentenza che, disattendendo i citati canoni legali di ermeneutica dei contratti e violando le menzionate clausole del CCNL, ha rigettato la prima domanda di lite”; si critica diffusamente la motivazione della sentenza impugnata, definita “scarna e apodittica”; si deduce che la Corte territoriale avrebbe violato plurimi “canoni legali di ermeneutica dei contratti”, sostenendo che “non tutte le attività riportate nella declaratoria del Quadro A” dovevano essere prese in considerazione per il riconoscimento dell’inquadramento superiore e si reputa impensabile che “tutti i Quadri di livello A (ma anche i Quadri B), in un’azienda fortemente strutturata come Trenitalia, siano personalmente chiamati a elaborare le strategie aziendali”;

4. anche tale motivo non può trovare accoglimento;

il motivo non individua concretamente l’errore di diritto che sarebbe stato commesso dalla Corte territoriale, lamentando assai genericamente la violazione dei criteri legali nell’interpretazione dei contratti, piuttosto deducendo vizi motivazionali, che, come tali, possono riguardare solo la motivazione sulla ricostruzione dei fatti, negli angusti limiti ridefiniti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5, e non certo la motivazione in diritto, che può essere sempre suscettibile di integrazione o modifica da parte di questa Corte in caso di error in iudicando;

in realtà la censura proposta, lungi dall’identificare realmente l’errore nell’interpretazione della disciplina contrattuale collettiva che sarebbe stato commesso dalla Corte territoriale, non si misura adeguatamente con l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata laddove la stessa nega, in fatto, che il R. avesse qualsiasi autonomia decisionale, limitandosi ad una funzione “propositiva e consultiva” nell’istruttoria delle pratiche; poteri concessi a questa Corte e il motivo di gravame non il sindacato su questo accertamento di fatto esorbita dai poteri concessi a questa Corte e il motivo di gravame non dimostra efficacemente che detta autonomia decisionale non costituisse connotato essenziale dei superiori inquadramenti rivendicati;

5. conclusivamente il ricorso deve essere respinto; le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo in favore di Trenitalia Spa; non occorre, invece, provvedere sulle spese nei confronti dell’A.N.S.F., che non ha svolto attività difensiva;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 4.000,00, oltre Euro 200,00 per spese, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15% in favore della parte controricorrente.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 13 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2022

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