Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4407 del 24/02/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 4407 Anno 2014
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: TRIA LUCIA

ORDINANZA
sul ricorso 13162-2011 proposto da:
BRUNO VITO (BRNVTI38C11A055Q) elettivamente domiciliato in
ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentato
e difeso dall’avvocato DE VIVO MARCELLO giusta mandato in
calce al ricorso;

– ricorrente contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE 80078750587, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA
17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO,
rappresentato e difeso dagli avvocati CALIULO LUIGI,
CARCAVALLO LIDIA, PREDEN SERGIO, PATTERI

Data pubblicazione: 24/02/2014

ANTONELLA, GIANNICO GIUSEPPINA giusta delega in calce al
ricorso notificato;
– resistente avverso la sentenza n. 4981/2010 della CORTE D’APPELLO di

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/12/2013 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIA TRIA;
udito l’Avvocato Antonella Patteri difensore del resistente che si
riporta agli scritti;
è presente il P.G. in persona del Dott. MAURIZIO VELARDI che
aderisce alla relazione.

Ric. 2011 n. 13162 sez. ML – ud. 12-12-2013
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BARI del 30/09/2010, depositata il 7/10/2010;

Sesta sezione — Sotto Sezione Lavoro
Udienza del 12dicembre 2013 – n. 16 del ruolo
RG n. 13162/11
Presidente: Curzio – Relatore: Tria

Ritenuto che la causa è stata chiamata alla adunanza in Camera di consiglio del
3 ottobre 2013 ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ. sulla base della relazione
redatta a norma dell’art. 380-bis cod. proc. civ., avente il seguente tenore:
«1.— La sentenza attualmente impugnata, accogliendo l’appello dell’Inps
avverso la sentenza resa in data 11 dicembre 2007 dal Tribunale di Bari, rigetta
la domanda proposta da Vito Bruno, operaio agricolo titolare di pensione INPS,
con la quale si chiedeva l’accertamento del diritto alla riliquidazione della
pensione in godimento attraverso l’utilizzo, ai fini della determinazione della
retribuzione media pensionabile, del salario medio convenzionale degli operai
agricoli a tempo determinato, risultante dal decreto ministeriale pubblicato
nell’anno immediatamente successivo a quello di lavoro e/o di disoccupazione,
nonché la condanna dell’Istituto alla predetta riliquidazione, con applicazione
dei criteri di cui sopra, e al pagamento delle consequenziali differenze di
pensione dalla data di maturazione della stessa.
2.— La Corte d’appello di Bari, per quel che qui interessa, precisa che: 1) la tesi
sostenuta dall’INPS nell’atto di appello merita di essere condivisa, alla luce del
recente indirizzo della Corte di cassazione di cui alla sentenza n. 2531 del 30
gennaio 2009, con la quale rimeditando il proprio precedente orientamento
espresso con la sentenza n. 2377 del 5 febbraio 2007, la Corte di cassazione ha
ritenuto che “in tema di pensione di vecchiaia degli operai agricoli a tempo
determinato, la retribuzione pensionabile per gli ultimi anni di lavoro va
calcolata applicando l’art. 28 del d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488 e, dunque, in
forza della determinazione operata anno per anno da decreti ministeriali sulla
media delle retribuzioni fissate dalla contrattazione provinciale nell’anno
precedente”; 2) tale interpretazione troverebbe conferma anche nella legge 23
dicembre 2009, n. 191 (legge finanziaria 2010) che, interpretando
autenticamente l’art. 3 della legge 8 agosto 1972, n. 457, ha inteso estendere ai
lavoratori agricoli a tempo determinato l’applicazione della media della
retribuzione prevista dai contratti collettivi provinciali vigenti al 30 ottobre
dell’anno precedente, già previsto per i salariati fissi; 3) alla luce di questo
orientamento, pertanto, l’INPS ha correttamente calcolato le retribuzioni annue
pensionabili tenendo conto dei salari convenzionali pubblicati con decreto
ministeriale degli anni in cui il lavoro era stato prestato; 4) inoltre, non
appaiono prospettabili dubbi di legittimità costituzionale della suddetta norma
Ric. 2011 n. 13162 sez. ML – ud. 12-12-2013
-3-

ORDINANZA
FATTO E DIRITTO

3.—Per la cassazione della suindicata pronuncia Vito Bruno propone ricorso
sulla base di un motivo; l’INPS non svolge attività difensiva.
4.—Con il motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.
proc. civ., violazione e/o la falsa applicazione delle seguenti norme di legge:
degli artt. 5 e 28 del d.P.R. 488/1968; dell’art. 45, comma 21 della legge n.
144/1999; dell’art. 3, legge n. 297 del 1982 e, infine, dell’art. 3 d.lgs. n. 503 del
1992. Si contesta l’adesione della Corte territoriale a quell’orientamento
giurisprudenziale secondo il quale, ai fini della pensione di vecchiaia a favore
degli operai agricoli a tempo determinato, la retribuzione pensionabile andrebbe
determinata, per ogni anno, sulla media delle retribuzioni fissate dalla
contrattazione provinciale dell’anno precedente. In particolare, a parere della
ricorrente, nessuna disposizione sarebbe idonea a giustificare il sistema di
calcolo della retribuzione pensionabile improntato sulla media vigente
nell’anno precedente, atteso che l’art. 28 del citato d.P.R. rimetterebbe la
determinazione delle retribuzioni medie su cui calcolare la pensione ai decreti
ministeriali prescrivendo, asseritamente senza alcun margine di discrezionalità,
che la media sia quella vigente per ciascun anno.
VI o M

5.—Il motivolppare da accogliere.
5.1.— Infatti, di recente, con la sentenza n. 257 del 30 settembre 2011, la Corte
costituzionale, nel respingere la questione di legittimità costituzionale dell’art.
2, comma 5, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, sollevata dal Tribunale di
Rossano in riferimento agli artt. 3, 38, secondo comma, 53, 111, primo e
secondo commi, e 117, primo comma, Cost., ha confermato che il legislatore,
con l’emanazione della norma censurata, ha voluto perseguire la finalità per
nulla irragionevole di ricondurre il sistema ad una disciplina uniforme,
estendendo la norma già dettata per la liquidazione delle prestazioni temporanee
per gli operai agricoli a tempo determinato alla retribuzione delle prestazioni
pensionistiche e al calcolo delle contribuzioni relative alla medesima categoria
di lavoratori.
In particolare, sotto il profilo della presunta violazione del principio di
irretroattività della legge, la Corte costituzionale, ha precisato che: “il divieto di
Ric. 2011 n. 13162 sez. ML – (id. 12-12-2013
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interpretativa, né sotto il profilo dell’art. 3 Cost., né sotto il profilo dell’art. 38
Cost.; 5) in particolare, va evidenziato che, alla luce della giurisprudenza
costituzionale, nell’attuazione del principio secondo il quale il trattamento
previdenziale deve essere sufficiente ad assicurare le esigenze di vita del
pensionato, al legislatore va riconosciuto un margine di discrezionalità, con il
solo limite della necessaria tutela delle esigenze minime di protezione della
persona; di qui l’accoglimento dell’appello dell’Inps e la conseguente riforma
della sentenza di primo grado.

Ancora, sotto un ulteriore profilo, il Giudice delle leggi ha escluso che
l’opzione ermeneutica prescelta dal legislatore abbia introdotto nella
disposizione interpretata un elemento ad essa del tutto estraneo (come rilevato,
nel caso di specie, dalla ricorrente), essendosi limitato ad assegnarle un
significato riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario.
A ulteriore conferma della ragionevolezza dell’intervento del legislatore
nell’interpretazione autentica della predetta norma la Corte costituzionale ha
ricordato i contrastanti orientamenti fatti propri dai giudici di legittimità, i quali,
in un primo momento, avevano affermato che in tema di pensione di vecchiaia
degli operai agricoli a tempo determinato, la retribuzione pensionabile degli
ultimi anni di lavoro andasse calcolata sulla base delle retribuzioni medie
annualmente vigenti, laddove, a partire della citata pronuncia n. 2531 del 2009,
rimeditato il precedente orientamento, hanno poi affermato che la retribuzione
pensionabile degli ultimi anni di lavoro degli operai agricoli di cui si tratta
andasse calcolata in forza della determinazione operata anno per anno da un
d.m., sulla media delle retribuzioni fissate dalla contrattazione provinciale
dell’anno precedente, ciò ponendosi in linea con la disposizione di cui all’art.
45, comma 21, della legge n. 144/99, che, com’è noto, ha inteso estendere ai
lavoratori agricoli precari l’applicazione della media della retribuzione prevista
dai contratti collettivi provinciali vigenti al 30 ottobre dell’anno precedente, già
prevista per i salariati fissi.
5.2.— A seguito dell’entrata in vigore della legge di interpretazione autentica qui
esaminata e della successiva pronuncia del Giudice delle leggi n. 257 del 2011,
l’orientamento più recente — che l’attuale ricorrente contesta — è andato
Ric. 2011 n. 13162 sez. ML – ud. 12-12-2013
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irretroattività della legge … non è stato elevato a dignità costituzionale, salva,
per la materia penale, la previsione dell’art. 25 Cost. Pertanto il legislatore, nel
rispetto di tale previsione, può emanare sia disposizioni di interpretazione
autentica, che determinano la portata precettiva della norma interpretata,
fissandola in un contenuto plausibilmente già espresso dalla stessa, sia norme
innovative con efficacia retroattiva, purché la retroattività trovi adeguata
giustificazione sul piano della ragionevolezza … Sotto l’aspetto del controllo
della ragionevolezza … in particolare, la norma che deriva dalla legge di
interpretazione autentica non può dirsi irragionevole qualora si limiti ad
assegnare alla disposizione interpretata un significato già in essa contenuto,
riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario”. Pertanto, a
parere della Corte, la norma censurata non presenterebbe alcun carattere
irragionevole, inserendosi in un orientamento legislativo già in precedenza
espresso che, con riferimento alla liquidazione delle prestazioni temporanee,
aveva già previsto per gli operai agricoli a tempo determinato il medesimo
criterio di cui all’art. 3, secondo comma, della legge n. 457 del 1972 dettato per
gli operai a tempo indeterminato.

ulteriormente consolidandosi (ex plurimis, Cass. 28 gennaio 2013, n. 1906;
Cass. 21 febbraio 2012, n. 2509; Cass. 3 febbraio 2009, n. 2596; Cass. 23
febbraio 2009, n. 4355; Cass. 28 luglio 2009, n. 17504).

Ciò determina l’infondatezza di tutte le censure avanzate dall’attuale ricorrente.
8.— In conclusione, per le suesposte ragioni, si propone la trattazione del ricorso
in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 cod. proc.
civ., per esservi rigettato»;
che sono seguite le rituali comunicazione e notifica della suddetta relazione,
unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di
consiglio.
Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella
relazione ex art. 380-bis cod. proc. civ.;
che, pertanto, il ricorso deve essere respinto perché infondato;
che nulla si deve disporre per le spese del presente giudizio di cassazione, in
perché l’Istituto intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di
cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile,
il 12 dicembre 2013.

La Corte d’appello barese è pervenuta alla conclusione dell’accoglimento
dell’appello proposto dall’Istituto, correttamente uniformandosi al suindicato
orientamento, ormai assurto al rango di “diritto vivente”, anche in conseguenza
dell’indicata sentenza della Corte costituzionale.

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